Tuttavia, anche in questo caso la memoria è corta, e si trascurano i tanti precedenti, talvolta nobilitati da prestigiose cornici letterarie
Ma un'altra vicenda, ancora più orribile e meno comprensibile, avrebbe scosso la Francia 80 anni dopo la storia di Rivière. Il 30 settembre 1913 Marcel Redureau, un ragazzo quindicenne, garzone presso una fattoria di contadini possidenti nelle campagne della Loira – come è d’uso in quei tempi – al termine di una delle tante dure giornate di lavoro legate alle settimane della vendemmia, viene rimproverato dal padrone che gli rinfaccia di non impegnarsi abbastanza. Marcel, che proviene da una “famiglia rispettabile”, è un ragazzo taciturno, anche troppo serio, che nei pochi anni in cui ha potuto frequentare la scuola e conseguire il diploma di studi primari si è dimostrato, come ricorderà il maestro, di «intelligenza superiore ai compagni». Se gli capita, ama anche leggere.
Anche la vicenda di Redureau, come quella di Rivière, attirò un grande nome della cultura, in questo caso André Gide, verosimilmente intrigato dalla incomprensibilità del gesto, lui che aveva già introdotto il delitto gratuito ne I sotterranei del Vaticano e che avrebbe ispirato Albert Camus e Jean Paul Sartre. Gide rievocò la storia ne Il caso Redureau, volumetto pubblicato nel 1930 in cui si sforzava di interpretare gli eventi non come frutto di patologia, ma delle dinamiche psicologiche dell’adolescenza (3).
Dobbiamo leggere i casi di ieri e gli attuali come uno dei segni di crisi dei modelli sociali nella tarda modernità, proprio come taluni hanno associato l’assassinio seriale alla rivoluzione industriale?
In realtà occorrerebbe riflettere sulla circostanza che le vicende esplorate da Gide e Foucault si collocano nel cuore arcaico della campagna francese e che elementi significativi emergono evidenti se appena esaminiamo le tradizioni tramandate da quella straordinaria memoria collettiva della cultura contadina che sono le fiabe popolari. E’ noto come le analisi antropologiche e psicoanalitiche (in particolare quelle di matrice junghiana) abbiano posto in evidenza i tratti di crudeltà presenti in tante narrazioni, riferite proprio ai legami familiari e che sono in parte sopravvissute nelle trasposizioni letterarie “colte” dei modelli originari.
E che dire dei genitori di Pollicino e dei suoi fratelli? Una coppia di brave persone che però, di fronte all’impossibilità di sfamare i sette figli in un tempo di carestia, progettano semplicemente di liberarsene: «oramai io sono risoluto a menarli nel bosco e a farveli sperdere» – dice il taglialegna. Ma grazie all’espediente dei sassolini bianchi i sette fanciulli riusciranno a ritrovare la via di casa. Il padre e la madre, che avevano inaspettatamente riscosso un vecchio debito ed avevano potuto saziarsi con un gran pranzo, riaccolgono volentieri i figli. Ma «la contentezza durò finché durarono i dieci scudi. Quando questi finirono, tornarono al sicutera delle miserie, e allora decisero di smarrirli daccapo; e per andare sul sicuro, pensarono di condurli molto più lontani della prima volta». Il seguito è noto.
Alla fine la famiglia riaccoglierà definitivamente i sette fratellini «con grandissima festa», ma anche perché Pollicino (Puccettino nella versione di Collodi), torna «col carico addosso di tutte le ricchezze dell’Orco».
«Via via nelle successive edizioni, a partire già dalla seconda del 1815, alcune storie scompaiono, altre vengono rimaneggiate, trasformate, rese edificanti, fino a quella che è giunta a noi del 1857, preziosa gemma letteraria, su cui hanno lavorato anche Marie Louise Von Franz e Bruno Bettelheim nell’interpretazione e lettura delle fiabe, o lo storico Propp nei suoi testi sulla morfologia della fiaba e sulle radici storiche dei racconti di fate. Le fiabe sconosciute dei Grimm nelle versioni del 1812 e in parte del 1815 non sono né rozze né grossolane, al contrario sono forti e in qualche modo imperdibili e sorprendenti, non purgate dalla successiva ideologia puritana, dal bagno purificatore in cui i due fratelli hanno immerso le storie, ma ancora frutto della tradizione orale che era stata collezionata dai numerosi raccoglitori e informatori a cui i Grimm facevano riferimento. Un bagno a cui forse sono giunti dopo molte riflessioni per le critiche e il rifiuto del materiale proposto, di cui all’inizio erano comunque forti difensori, e con motivazioni precise. (…)
Vale la pena di riportarne una, brevissima, dalla prima edizione del 1812, epitome quanto mai pertinente al tema delle stragi familiari:
«Una volta un padre di famiglia aveva ammazzato un maiale in presenza dei figli; quando nel pomeriggio i bambini si misero a giocare, uno disse all’altro: tu fa’ il maialino e io il macellaio, quindi prese un coltello e lo cacciò in gola al fratellino».
«La madre, che era seduta di sopra nella stanza e faceva il bagnetto al più piccolo in un catino, alle grida degli altri scese subito di sotto e quando vide l’accaduto estrasse il coltello dalla gola del figlioletto, e per la rabbia colpì dritto al cuore l’altro che aveva giocato al macellaio. Poi corse in fretta in casa per controllare il piccolino nel catino, ma nel frattempo quello era annegato; allora la donna per lo spavento e la disperazione, rifiutando ogni conforto della servitù, si impiccò. Il marito tornò dai campi e a quella vista di lì a poco morì di crepacuore».
(1) FOUCAULT M. (2000) a cura di: Io, Pierre Rivière , avendo sgozzato mia madre, mia sorella e mio fratello… Un caso di parricidio del XIX secolo [1973], Einaudi, Torino. Nel 1976 la vicenda venne portata sullo schermo dal regista Renè Allio.
(2) Si veda OLLIVE B. (1914): “L'affaire Redereau”, in Archives d'anthropologie criminelle de médecine légale et de psychologie normale et pathologique, 625 ss.
(3) GIDE A. (2003), Il caso Redereau [1930], Sellerio, Palermo.
(4) La versione toscaneggiante di Collodi risulta assai efficace nel trasmettere il cinismo beffardo che attraversa il testo di Perrault: COLLODI C. (1976), I racconti delle fate [1875], Adelphi, Milano, p. 44 ss.
(5) Cfr. GRIMM J. e GRIMM W., Principessa Pel di topo e altre 41 fiabe da scoprire [1812], a cura di Jack Zipes, Donzelli editore, Roma, 2012
(6) RAVASI BELLOCCHIO L. (2014): “Le fiabe del focolare o l’horror del focolare”, in Rivista di Psicologia Analitica, 89.
L’opinione di Jacob Grimm:
L’opinione di Jacob Grimm: “Le fiabe per bambini sono mai state concepite e inventate per i bambini?” (…) Non si inventano le fiabe per loro ma forse per l’infanzia dell’umanità a cui tutti apparteniamo….” andrebbe forse oggi ripensata, rianalizzando le fiabe anche alla luce del contesto attuale.