NON ME NE PUÒ FREGAR DI MENO DEI MIGRANTI, PERÒ LI AIUTO. Seduta psicanalitica (più o meno) immaginaria con un uomo che vuole comprarsi il paradiso
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 8 settembre 2015
Non me ne può fregar di meno”, mi dice L. agitandosi sulla chaise-longue. “Non me ne può fregar di meno dei migranti o profughi o rifugiati come diavolo li si chiama. La loro vita e la loro morte mi lasciano del tutto indifferente. Eppure…”
“Eppure?”.
“Eppure ne ospito una diecina in uno dei miei alberghi e ho donato centomila euro a una casa di ricovero per mamme e bambini”.
“Un burbero benefico!”.
“Assolutamente no. Di costoro non m’interessa niente, anzi, li odio per i problemi che mi creano, per i soldi che mi costringono a versare”. L’uomo è rosso e sudato come un Bacco di Rubens.
“Lei non è obbligato”.
“Invece sì. Sapesse le mie notti… A un certo punto mi arrivano i fantasmi dei morti e mi trascinano giù nel profondo delle acque a imputridire con loro. Mi sveglio con un rigurgito esofageo che per poco non crepo nel mio vomito”.
“Si sente in colpa?” gli chiedo guardandomi le unghie.
“Io sono in colpa. Se non aiuto i migranti una di queste notti finisco annegato o con la testa tagliata e la bocca piena di sabbia. I migranti sono la mia assicurazione per la vita”.
“Dio mio, li fa sembrare dei ricattatori!”.
“Lo sono. Crede che non conoscano i loro poteri magici, i poteri dei martiri? Mi hanno in pugno, ci hanno in pugno, altro che le nostre terre, le nostre anime stanno conquistando, perfino la Merkel si è convertita e i tedeschi sono diventati santi”.
“Non tutti”.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2015/09/08/non-me-ne-pu-fregar-di-meno-dei-migranti-per-li-aiuto___1-vr-132534-rubriche_c127.htm
AMARSI SIGNIFICA CRESCERE
di Michela Marzano, vanityfair.it, 9 settembre 2015
«Viviamo addormentati in un mondo che ristagna sotto la coltre del sonno», scrive il filosofo francese Gaston Bachelard. «Ma quando un tu mormora al nostro orecchio, l’io si risveglia. L’incontro ci crea: non eravamo niente – o nient’altro che delle cose – prima di essere riuniti». L’amore, quindi, come occasione per crescere, maturare e capire ciò che si vuole. Ma anche come stimolo per costruire con l’altra persona una relazione di riconoscimento reciproco: non si chiede all’altro di essere in un certo modo o in un altro; lo si riconosce e lo si accoglie esattamente come l’altro ci riconosce e ci accoglie, scoprendone pian piano l’unicità e la non-intercambiabilità.
Quando ci innamoriamo di qualcuno, d’altronde, non sappiano mai bene perché è proprio quella persona lì che cominciamo ad amare. Anche quando ci sforziamo di capire le ragioni per le quali è lei e non un’altra, e cominciamo a raccontare, ad esempio, che siamo incantati di fronte al suo modo di parlare o di muovere la testa, tutto quello che possiamo dire resta vago. «È perché è lui, è perché sono io», diceva Montaigne parlando della sua amicizia con La Boétie, proprio per mostrare che è impossibile spiegare fino in fondo le ragioni del nostro amore. Freud direbbe che amiamo qualcuno perché ci ricorda l’oggetto del nostro primo grande amore, colui o colei che abbiamo amato quando eravamo piccoli. Secondo il padre della psicanalisi, «trovare» un oggetto d’amore, infatti, significa sempre «ritrovare» l’oggetto perso quando eravamo bambini.
Segue qui:
http://www.vanityfair.it/news/italia/15/09/09/marzano-rubrica-amore
COSÌ TOLKIEN E BETTELHEIM “SMONTANO” LE FIABE POLITICALLY CORRECT
di Elisabetta Sala, ilsussidiario.net, 9 settembre 2015
Parlando di fiabe, Tolkien paragonò la tradizione popolare, che con la sua logica arcana trattiene gli elementi simbolici e archetipici universalmente validi e scarta quelli contingenti e insignificanti, a un calderone che, con il ribollire dei secoli, elabora il mondo parallelo di “Faerie”. Fu anche a partire dal famoso saggio tolkeniano che Bruno Bettelheim, il controverso psicologo ebreoaustroamericano, elaborò negli anni Settanta il suo grande classico sulla fiaba, The Uses of Enchantment, tradotto in italiano come Il mondo incantato (Feltrinelli, 1977). La sua analisi psicoanalitica potrà non convincere in toto: non sarà facile per tutti, ad esempio, credere che la pianta di fagioli su cui si arrampica Jack sia un simbolo fallico. Ciò nonostante, il libro offre alcuni spunti parecchio interessanti. Egli asserisce innanzitutto che la funzione principale delle fiabe sia quella di tenere a bada le paure di ogni bambino. La struttura tipica di una fiaba, con il piccolo e debole protagonista (come Pollicino) che trionfa su nemici terrificanti e potenti, dà un messaggio forte e chiaro: le difficoltà della vita si possono superare e, soprattutto, c’è sempre speranza, anche in situazioni apparentemente disperate (cosa che Bettleheim, reduce da Dachau e Buchenwald, aveva toccato con mano). C’è di più. Il tolkeniano “calderone” dei secoli, asserisce Bettelheim, ne sa di più della limitata esperienza dei nostri moderni narratori, che, temendo di spaventare i bambini “di oggi”, edulcorano il racconto, eliminando così aspetti simbolici importantissimi come ad esempio la punizione esemplare (e a volte truculenta) dei cattivi.
Segue qui:
http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2015/9/9/LETTURE-Cosi-Tolkien-e-Bettelheim-smontano-le-fiabe-politically-correct/636852/
LE MAMME DI ELENA FERRANTE E LE INFANZIE FERITE DI ZWEIG. Passeggiate d’amore a #LaGrandeMadre
di Roberta Scorranese, 27esimaora.corriere.it, 9 settembre 2015
C’è la mamma di Freud. C’è la mamma di Umberto Boccioni, che il pittore si ostinava a ritrarre in pose diverse. C’è Marcel Duchamp in versione Rose Sélavy – lo pseudonimo femminile con il quale l’artista firmò alcune opere. C’è Cindy Sherman nei panni (raffaelleschi e improbabili) di una dama. La Grande Madre, la mostra in corso a Palazzo Reale firmata da Massimiliano Gioni per la Fondazione Nicola Trussardi, non è una mostra sulla maternità, ma una mostra sul potere creativo, dell’arte e delle donne. Un lungo racconto che parte dalle icone della fertilità create dalla cubana Ana Mendieta fino ad arrivare a un bellissimo ritratto di Virginia Woolf vestita come sua madre. Ecco perché abbiamo deciso di aprire le Passeggiate alla Grande Madre (il ciclo di incontri previsto ogni giovedì alle 19 a cominciare dal 10 settembre), con il tema letterario. Faremo un percorso scegliendo alcune delle opere in mostra e riannodando i fili tra l’arte e la letteratura. Cominciando da Mendieta e dalle sue piccole sculture che richiamano le statuette preistoriche, simboli di generazione. Richiamano un racconto di Aldo Palazzeschi, dal titolo Maria, dove una donna, pur essendo dotata di seno prosperoso e di tutti gli attributi fisici adatti alla prolificazione, si sente colpevole per non poter generare figli, come se tra il corpo e la funzione riproduttiva vi fosse una corrispondenza evidente e condizionante.
Segue qui:
http://27esimaora.corriere.it/articolo/le-madri-di-elena-ferrante-e-le-infanzie-ferite-di-zweig-passeggiate-dautore-a-lagrandemadre/
FOREST: «SCRIVERE È TESTIMONIARE»
di Alessandro Zaccuri, avvenire.it, 9 settembre 2015
Il gatto è vivo, il gatto è morto. Non è un gioco di prestigio e neppure un cartone animato, ma un celebre paradosso della fisica quantistica. Le cui leggi, sosteneva già negli anni Trenta lo scienziato Erwin Schrödinger, non sono immediatamente traducibili nell’esperienza quotidiana. Se così fosse, dovremmo immaginare un marchingegno capace di mantenere il famoso gatto in una condizione che non è vita né morte, ma un’ineffabile compresenza di entrambe. Molto citato da narratori e teorici della narrazione, Il gatto di Schrödinger è il titolo dell’ultimo libro di Philippe Forest (Del Vecchio, traduzione di Gabriella Bosco, pagine 320, euro 15,50). Che è un teorico della narrazione, appunto, ma anche un narratore.
Domani alle 14,30 Forest sarà al Palazzo Ducale di Mantova, per dialogare con Luca Scarlini sulle prospettive del romanzo filosofico in uno degli incontri più attesi del Festivaletteratura, la cui diciannovesima edizione prende il via oggi. Anche in Italia, infatti, lo scrittore francese è seguito da una comunità di lettori sempre più numerosa, che ha imparato a conoscerlo fin dal suo primo romanzo, Tutti i bambini tranne uno, apparso originariamente nel 1997 e portato in Italia nel 2005 da Alet, piccola e intelligente casa editrice padovana che nel frattempo ha interrotto l’attività. Al centro di quel libro, come dei successivi, la figlia di Forest, Pauline, morta di cancro a soli quattro anni. Una ferita di cui anche Il gatto di Schrödinger conserva la cicatrice, in un continuo alternarsi di autobiografia, speculazione filosofica e riflessione scientifica. Come se i diversi linguaggi non fossero che gli strumenti di una stessa ricerca. «Sì, la penso così – risponde Forest –. Si tratta di confrontarsi, ogni volta, con l’enigma del mondo. Ogni disciplina lo fa nel modo che le è proprio. Di solito si tende a metterle in contrapposizione: l’arte e la letteratura mostrano, si dice, mentre la scienza e la filosofia dimostrano. Le prime fanno domande, le seconde danno risposte. La vera scienza e la vera filosofia, invece, sono contraddistinte da un atteggiamento di inquietudine e di perplessità del tutto simile a quello dell’arte e della letteratura».
In questione, dunque, c’è sempre il nostro rapporto con la realtà?
«Nei miei saggi e nei miei romanzi ho ripreso un’idea della teoria della letteratura oggi trascurata, ma che in Francia è stata formulata in particolare da Georges Bataille e da Jacques Lacan. Il punto sta nel distinguere la “realtà” dal “reale”. La “realtà” è ciò che può essere oggetto di rappresentazione; il “reale”, al contrario, è ciò che sfugge alla rappresentazione, ciò che la perfora ampliando l’area del non simbolico, dell’inintelligibile. “Il reale è l’impossibile”, afferma Lacan. Il romanzo, dal mio punto di vista, risponde all’appello che questa impossibilità ci rivolge. Ma il “reale” non è un privilegio esclusivo degli scrittori: è il dato costitutivo dell’esperienza umana. Direi che corrisponde alla prova del lutto e del desiderio, ossia alla prova che ci rende davvero umani».
Segue qui:
http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/FOREST-.aspx
IL DIRITTO DI SOGNARE
di Slavoj Žižek, la Repubblica, 11 settembre 2015
Nel suo saggio “La morte e il morire” Elisabeth Kübler- Ross proponeva il famoso schema delle cinque fasi con le quali reagiamo alla notizia di avere una malattia terminale. Ovvero negazione, rabbia, negoziazione (la speranza di poter rimandare in qualche modo il fatto), depressione, accettazione.
La reazione dell’opinione pubblica e delle autorità dell’Europa occidentale al flusso di rifugiati proveniente da Africa e Medio Oriente non è una mescolanza alquanto simile di reazioni disparate? C’è (sempre meno) la negazione: «Non si tratta di un fenomeno così serio, basta ignorarlo». C’è la rabbia: «I rifugiati sono una minaccia per il nostro stile di vita, tra di loro si nascondono fondamentalisti musulmani, dovrebbero essere fermati a tutti i costi». C’è la negoziazione: «Va bene, stabiliamo delle quote e diamo un sostegno economico per realizzare campi profughi nei loro stessi Paesi». C’è la depressione: «Siamo perduti, l’Europa si sta trasformando nell’Europastan». Unica assente è l’accettazione che, in questo caso, avrebbe voluto dire mettere a punto un piano pan-europeo coerente che prevedesse le modalità con le quali affrontare il flusso di rifugiati.
La prima cosa da fare è rammentare che la maggior parte dei rifugiati proviene da “stati falliti”, stati nei quali l’autorità pubblica è più o meno inerte, quanto meno in ampie zone (Siria, Libano, Iraq, Libia, Somalia, Congo). Questa disintegrazione del potere statale non è un fenomeno locale, bensì la conseguenza di pratiche economiche e politiche internazionali, e in alcuni casi, come in Libia e Iraq, è la conseguenza diretta degli interventi occidentali. L’ascesa degli “stati falliti” non è una disgrazia casuale ma uno dei modi con i quali le grandi potenze esercitano il loro colonialismo economico. Oltre a ciò, si dovrebbe tenere presente che i semi degli “stati falliti” mediorientali vanno fatti risalire all’arbitrario disegno dei confini dopo la Prima guerra mondiale a opera di Regno Unito e Francia: in definitiva, unendo i sunniti in Siria e in Iraq, l’Is sta rimettendo insieme ciò che fu diviso dalle potenze coloniali.
Segue qui:
http://www.dirittiglobali.it/2015/09/il-diritto-di-sognare/
“INSIDE OUT” SCATENA EMOZIONI. REGISTA: DA FREUD A MONDO DISNEY
di Redazione, askanews e ilsole24ore.com, 14 settembre 2015
Le emozioni si animano e riempiono lo schermo nel nuovo film Disney “Inside out”, presentato a Roma dal regista premio Oscar Pete Docter, nelle sale dal 16 settembre. Protagonista della nuova avventura Disney-Pixar è una bambina di 11 anni, Riley, ma soprattutto le emozioni che la animano: gioia, paura, rabbia, disgusto, tristezza nel film diventano personaggi pieni di invenzioni. Docter, premio Oscar per “Up”, regista di “Monsters & co.”, autore di “Toy story”, ha affermato: ”I bambini sono ben in grado di leggere le nostre emozioni: quello delle emozioni è il primo linguaggio che imparano. Per questo credo che questo film li tocchi direttamente. Per dare corpo si sentimenti, ai ricordi, all’inconscio, al mondo dei sogni, i creatori si sono ben documentati: “Ci siamo molto divertiti a leggere Freud, Jung, abbiamo studiato il ragionamento, le emozioni, come si ricordano, ma trattandosi di un film d’animazione abbiamo scelto degli aspetti divertenti. Per inconscio e subconscio abbiamo realizzato una versione pop di quello che dice Jung. Per i sogni, ci siamo chiesti da dove escano fuori… E allora abbiamo immaginato una strana troupe, con poco tempo e poco budget a disposizione, che ogni notte deve inventare una nuova storia”. Gioia è il personaggio che trascina la storia del film, e cerca di arginare tutti i sentimenti negativi della protagonista, ma in “Inside out” ci sono diversi chiaroscuri e nel corso del film la piccola Riley si scopre un po’ più adulta.” Tutti noi vorremmo avere una vita sempre felice – conclude Docter – ma nella nostra esistenza ci sono la gioia, la delusione, la perdita, e tutte queste emozioni negative ci servono ad affrontare le difficoltà. Siamo tutti cresciuti con i film Disney, ameremmo tutti sempre avere il lieto fine, ma ci sono anche questi sentimenti con i quali bisogna imparare a convivere”.
Per il video:
http://video.ilsole24ore.com/TMNews/2015/20150914_video_17023051/00035359-inside-out-scatena-emozioni-regista-da-freud-a-mondo-disney.php
PRE-PSICOANALISI E PRE-PSICOANALISTE
di Apostolos Apostolou, ilgiornaledelfriuli.net, 12 settembre 2015
Possiamo parlare di una pre-psicoanalisi? Esisteva una terapia, o meglio una condizione di quiete come la psicoanalisi oggi che esprimeva una realtà: curare, educare, e governare? Già ha finito il primo secolo di vita della psicoanalisi che si vuole apparsa nel 1900, ma ancora la psicanalisi è l’ultima avventura della razionalità occidentale e si conferma la sua debolezza, ma anche la sua forza. Sicuramente prima di Freud non esisteva la psicoanalisi però esisteva una analisi e un raggiungimento della normalità psichica come pacificazione di ogni conflitto. Freud sosteneva nel 1922 che «la psicoanalisi è il nome: I) di un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe pressoché impossibile accedere; II) di un metodo terapeutico basato su indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici; III) di una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica.» ( S. Freud, Teoria della libido, 1932, Vol, IX)
Ogni manifestazione umana può essere letta come discorso manifesto che rimanda ad un discorso latente che ne detiene il senso. Il discorso cerca il riconoscimento: L’Origine ama nascondersi (diceva Eraclito fr. 116) è una verità che conosciamo quasi 3.000 anni dalla filosofia greca antica. Ma tale senso non è già la come nell’ ermeneutica filosofica, non si tratta solo di scoprire una verità velata ma di costruire un senso attuale secondo psicoanalisi. Anche Eraclito diceva: la ψυχή (psichè) è un principio di automovimento. L’anima ha un λόγος (logos) e quest’ultimo s’accresce mediante una sempre più profonda conoscenza delle cose: ciò significa che l’uomo deve approfondire tale λόγος (logos) “cercando in se stesso”.
Nella grammatologia greca antica troviamo testi che descrivano una metodologia analitica secondo l’analitica della psicoanalisi, un lavoro analitico di scomposizione e ricomposizione dell’evidente. Per esempio troviamo il medico Melabodas che aveva la capacità di indurre stati estatici, poteri taumaturgici con cui davano prova delle qualità “divine”. Secondo la grammatologia greca antica lui ha curato il Re di Megara Alcathoe. Melabodas era il padre della tribù dei Melabodini e il maestro di medico Amphiaraos. I Melabodini erano i medici dell’anima. Con i Melabodini la medicina si stacca dalla scienza del corpo per farsi tendenzialmente scienza dell’anima. Amphiaraos esisteva sciamano medico e curatore dell’anima. Fuori dai teatri greci antichi esistevano i discepoli di Amphiaraos che curavano gli spettatori dopo la fine dello spettacolo. I discepoli di Amphiaraos avevano una connotazione ed un’azione specifica quando correttamente praticato, del tutto sovrapponibili a quella della psicologia analitica e terapeutica.
Segue qui:
http://www.ilgiornaledelfriuli.net/cult/pre-psicoanalisi-e-pre-psicoanaliste-di-apostolos-apostolou/#ixzz3lV787bZp
RODOTÀ, LA SOCIETÀ CHE CAMBIA E LA SOLIDARIETÀ “SPESSO USATA IN MODO IPOCRITA”. E lo psicanalista Zoja fotografa il cambio di prospettiva: “In vent’anni si sono dimezzate le ore passate con altre persone”
di Gilberto Scudieri, gazzettadimantova.gelocal.it, 12 settembre 2015
Solidarietà e ospitalità sono alle porte. Sta noi respingere o accogliere lo straniero, quello che sentiamo appartenere a un’altra specie animale, non alla nostra. Il giurista Stefano Rodotà e lo psicanalista Luigi Zoja in piazza Castello hanno parlato di “una solidarietà da rifondare” presentando reciprocamente i loro libri: “La morte del prossimo” di Zoja e “Solidarietà un’utopia necessaria” di Rodotà. Insieme con loro, il giornalista Alessandro Zaccuri ha subito dato una scossa al popolo del Festival prospettando la scelta cui i profughi ci obbligano: la mano tesa o la gamba tesa come ha fatto la reporter ungherese sotto lo sguardo di milioni di telespettatori, più o meno indifferenti come forse è accaduto col bambino annegato sulla spiaggia. È l’anonimato della società di massa unito all’eccesso di tecnologia, di cui ha parlato Zoja, che per altri versi porta alla falsità online di avere migliaia di amici quando “il nostro sistema nervoso, immutato da millenni” è fatto per avere contatti veri con una media di non più di “200 persone nel corso dell’intera vita”. Ne consegue che “non abbiamo più delle vere empatie”, ha detto lo psicanalista dopo avere accennato al crollo dell’etica tradizionale ebraico cristiana che imponeva di amare Dio e il prossimo come se stessi. Zoja ha proseguito: “In 20 anni si sono dimezzate le ore passate con altri esseri umani e sono raddoppiate quelle con mezzi che illudono di stare con altre persone”. La solidarietà è davvero un’utopia? “È spesso usata in modo ipocrita”, ha detto Rodotà. Quasi di regola, infatti, alle dichiarazioni di solidarietà non segue nulla, sebbene esista “una forte solidarietà tra gruppi, escludendo gli altri” ha ribadito il giurista che ha anche rilevato che “ridurre tutto alla pura logica finanziaria non è compatibile con la solidarietà”. Eppure, con “intuizione precoce”, la solidarietà è tra gli “inderogabili doveri” sanciti dalla nostra Costituzione, ma per essere messa in pratica ci vuole “un reciproco riconoscimento che implica una consapevolezza comune”, ha detto ancora Rodotà. Bisogna andare oltre l’individualità. Bene lo ha sintetizzato Zoja parlando del “disagio della civiltà” presente come tematica sia in Freud che in Jung. Nello stesso tempo fare del bene trova una gratificazione morale e psicologica anche individualmente: “Far bene fa bene al beneficiario, ma anche al beneficiante”, ha detto Zoja. Quindi la solidarietà sarebbe un fatto naturale: siamo portati a essere solidali, così come l’uomo primitivo, per poter sopravvivere condivideva l’acqua e il fuoco con gli altri. Cosa ci frena allora? Citando lo psicanalista Erik Erikson, Zoja ha detto che la nostra specie animale è l’unica che può concepire i propri simili come appartenenti ad altre specie: lo straniero veste diversamente, parla una lingua diversa, “l’istinto non ci permette di riconoscerlo”. Il grande filosofo Kant ammetteva che non abbiamo un tabù che ci impedisce di aggredirci, di farci male fino all’inverosimile. C’è dunque bisogno di rifondare su nuove basi la solidarietà tra noi esseri umani.
http://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2015/09/12/news/festivaletteratura-la-societa-che-cambia-in-vent-anni-si-sono-dimezzate-le-ore-passate-con-altre-persone-1.12081283
CASAROLI, BALLERINI: "BENE CAMBIARE CONTESTO, MA OCCORRE VOLER RICOMINCIARE"
di Paolo Casaroli, Luigi Ballerini, avvenire.it, 16 settembre 2015
Le scrivo per avere un conforto da parte sua riguardo una decisione che io e mia moglie stiamo prendendo. Il nostro figlio maggiore, di diciotto anni, quest'anno è stato bocciato per la seconda volta, nonostante sia da tutti riconosciuto come molto dotato. Ha espresso il desiderio di recuperare l'anno iscrivendosi per l'anno prossimo a un biennio. Io e mia moglie, addolorati di questa situazione, abbiamo capito che l'esito scolastico è secondario a una presa di coscienza di sé….
L'esito scolastico è secondario, è stato scritto nella mail ricevuta. Mi sento di sottoscriverlo. Se non siamo in presenza di deficit personali oggettivi o di altrettante oggettive situazioni esterne sfavorevoli, le difficoltà scolastiche vedono sempre nell'inibizione la loro causa, ossia non sono primarie. Potremmo definire questa inibizione come l'indisponibilità del pensiero ad apprendere. Il pensiero è infatti come una poltrona, se è occupata da qualcuno non può sedercisi un altro. Fuor di metafora, se il pensiero è impegnato, anzi pre-occupato, in attività infruttuose non è disponibile ad applicarsi su ciò che è richiesto dalla scuola. Questa situazione pone l'indicazione a cambiare qualcosa.
La lettera e la risposta seguono qui:
http://www.avvenire.it/rubriche/Pagine/Giovani%20storie/Bene%20cambiare%20contesto%20%20ma%20occorre%20voler%20ricominciare_20150916.aspx?rubrica=Giovani+storie
VIDEO
FAMIGLIA: VOCAZIONE E SFIDE, livestream.com/laciviltacattolica, 12 settembre 2015
Interventi: Pierangelo Sequeri a 15′ 16” dall’inizio del video; Massimo Recalcati a 42′ 28” dall’inizio del video; Chiara Giaccardi a 1h 14′ 11” dall’inizio del video. Modera Antonio Spadaro.
http://livestream.com/accounts/8266363/events/4318133/videos/98996312/player?width=960&height=540&autoPlay=false&mute=false
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
Da segnalare le seguenti rubriche: "Laicamente, Dialoghi su psichiatria, arte e cultura" di Simona Maggiorelli, al link
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/5673
"Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com)
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