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CONVERSAZIONI JUNGHIANE – ANCHE L’ANALISTA E’ FIGLIO DEL SUO TEMPO – A tu per tu con PAOLA TERRILE sul tema delle identità contemporanee e dei soggetti imago-genici

16 Ott 15

A cura di Valeria Bianchi

Conversazioni Junghiane nasce oggi all’interno di questa rubrica e diventerà un appuntamento fisso per accompagnare ogni tematica trattata.
 

 
Di lei mi restano in mente i colori. Il rosso dei suoi capelli. Gli spunti di arancione sul nero. Questo incontro per #conversazionijunghiane non è stato il mio primo incrocio con Paola Terrile; ci siamo conosciute qualche anno fa ad una tavola rotonda organizzata da Wilma Scategni al Salone del libro di Torino. Oggi è la prima volta che conversiamo a tu per tu. Lei ha accolto volentieri il mio invito, dopo uno scambio di e-mail relative al tema che ho approfondito negli ultimi due articoli, ovvero i soggetti imago-genici. Ci ritroviamo adesso, davanti ad un caffè, ed io la scopro fuoco temperato di energie vitali. Ci mettiamo comode nel calore del suo studio e riprendiamo il filo rosso del tema, dal vivo.
 
Valeria Bianchi Mian:Che cosa ne pensi, Paola, di questo concetto dei soggetti-imagogenici, con il quale intendo indicare individui identificati con le immagini interiori in maniera tale da rappresentarle in modo dirompente a livello della Persona, in modo da trasformarsi letteralmente in quelle stesse immagini e rappresentarle nel mondo esterno, diventando simulacri nella fascinazione che esercitano? Il termine è molto in sintonia con ciò che Camille Paglia intendeva con Sexual Personae ma non si esaurisce nel focalizzare su Eros. Sono comunque individui mediatici, questi personaggi: attirano l’occhio contemporaneo. Vedi l’esempio Zombie Boy del quale ho trattato nell’ultimo articolo. Uno schermo perfetto per le proiezioni, una divinità perduta nella carne, sulla pelle?
 
Paola Terrile: “Questo tema mi fa proprio pensare all’identità fittizia contemporanea. Quella che passa attraverso le immagini, alle identità inflazionate e ferme. D’altronde, siamo in un’epoca di simboli morti, bombardati di immagini e, se all’inizio queste immagini  evocano un qualche cosa dentro di noi, e risuonano, fanno presto a fermarsi e bloccarsi nel nulla. E il potere del nulla è ipnotico. Da un lato, questi soggetti di cui parli evocano, e magari riprendono in parte, il tema dei riti di passaggio, ma diventano una specie di identità perdendo parti del significato di quel rito e mantenendo vive solo alcuni frammenti. Sono quindi identità parziali. Viene perduta la dinamicità della ricerca identitaria, la vitalità delle immagini interne in favore della staticità esteriore.
 
Valeria Bianchi Mian: “Riprendiamo un attimo il testo da te curato, ovvero Dentro il presente (La biblioteca di Vivarium, 2001). Quali sono le sfide della contemporaneità in tal senso? Qual è il compito o meglio la ricerca che la psicologia analitica può compiere oggi rispetto alle identità? Questi soggetti imago-genici, è ovvio, sono estremi ma oggi si parla tanto di diritto a costruire un’identità come la si vuole, ad essere quel che si desidera, salvo poi ritrovarsi attanagliati nelle spire della Persona statica. Non è il manager d’assalto, è l’incarnazione del mostro o del dio. Eppure, sempre Persona è.
 
Paola Terrile: riportare movimento dove c’è immobilità è fondamentale, più del rapporto con l’inconscio che molti pazienti non sanno nemmeno cosa sia. Accompagnare le persone a non essere aderenti alla semplice visione oggettiva della vita, ma a diventare individui in movimento e anche esseri umani che riescono ad avere uno sguardo introspettivo e un po’ più critico su se stessi e sulle relazioni. Dalla mobilità immobile bisogna ritornare al movimento. Occorre aiutare le persone a ritornare in contatto con l’energia che le rivivifica.
Negli anni ‘80 e ‘90 il malessere psichico si manifestava sovente nell’identificazione dell’individuo in ruoli fissi e la psicologia analitica cercava di accompagnare gli individui oltre le gabbie del ruolo sociale. Le persone venivano in analisi col loro ruolo personale e sociale rigido e poi si liberavano, questo era il percorso, entrando in contatto con le radici inconsce. Col loro vero io, con la personalità autentica, che è un po’ quello che diceva lo stesso Carl Gustav Jung.
Questo discorso non vale più, secondo me. No, oggi non si può attualizzare con i pazienti che arrivano in studio e che sono ben lontani dal rendersi conto di avere un mondo interno. Così bloccati nelle immagini di se stessi ma non consapevoli, sono immedesimati con esse. L’esempio che hai fatto tu, i soggetti imago-genici, è chiaro.
Oggi tutto questo discorso sui limiti e le gabbie del ruolo è superato perché c’è un eccesso di caos identitario. Alcuni ne sono consapevoli, altri meno. Ma se scavi un po’ dietro lo fragile, c’è il rischio che tutto crolli. Hai la sensazione che non ci sia nulla, sotto. In un quadro simile, per molti pazienti non ci sono le condizioni per poter puntare allo sguardo introspettivo, mentre da subito può emergere una tensione verso la relazione autentica.
Ad esempio il sogno. Molti non sognano. Zero. E tu cosa fai? Chiacchieri della loro vita quotidiana e lavorativa. Parli del niente. Per anni, non per giorni. Ma ad un certo punto loro stanno meglio. Perché? Come fanno a stare meglio, se abbiamo parlato del più e del meno? Perché continuano a venire, oltretutto, se il sintomo è già andato via? Ed ecco che, dopo tantissimo tempo magari sognano, portano un sogno. E continuano a venire da te.
 
Valeria Bianchi Mian: “Stiamo parlando di un risveglio…”
 
Paola Terrile: “Un risveglio nella relazione. Nella relazione gli individui oggi trovano, o possono trovare nello spazio analitico, il soddisfacimento di un bisogno primario di ascolto, e lo trovano anche senza sapere che cosa stanno incontrando. E’ il bisogno di ascolto e di relazione, del ricevere e del prendersi cura: ciò è di fatto molto elementare. Una presenza che sa guidare. Questo è il valore del tuo essere presente come analista.
Tu mostri le tue sensazioni, compresa la noia, inevitabile quando ti ripetono per tre anni le stesse identiche cose. Loro ti rimandano: dottoressa, si annoia? Io sorrido. Tu rispondi allegramente, anche scherzando. Rimandi il tuo stare. D’altronde, vogliamo passare bene queste sedute, no? Poi, lentissimamente – perché in analisi si scopre il tempo lento, circolare, prospettico, così distante da quello schiacciato sul qui ed ora dell’epoca in cui viviamo), qualcosa emerge dal profondo. Senti che c’è qualcosa di autentico ed ecco io sto con loro fino a che emerge qualcosa. Prepariamo il terreno, insomma: è come dissodare.
L’aspetto comune di questi pazienti è la rigidezza, ma poi nel tempo vedi che cambia, si scioglie qualcosa, pur se in tempi lunghissimi. La dimensione affettiva arriva con il tempo ad essere più cosciente. I pazienti stanno lì anche se i sintomi spariscono perché capiscono che questo spazio li aiuta. Magari ad un certo punto arriva la parola simbolica e molte cose cambiano.
I pazienti cambiano anche fisicamente, a proposito di immagini. Il non verbale è importantissimo. Insomma, alla dimensione inconscia ci devi arrivare con il tempo, magari anni e anni; ti muovi a partire dall’identità fittizia e li accompagni ad acquisire uno spazio che prima non avevano, perché all’inizio loro non sanno nemmeno di cosa parli se dici Ombra o mondo interno. In questo percorso la psicologia analitica ha una marcia in più.
 
Valeria Bianchi Mian: “Sono contenta che tu lo dica. La psicologia analitica ha una marcia in più. Ho letto diversi interventi sulla presunta fine della psicologia del profondo in favore di counselling filosofico, eccetera…”
 
Paola Terrile: “Non sono d’accordo. Io non credo che sia finita, superata, eccetera, in favore di tecniche quali ad esempio il counselling filosofico o altro. Anzi, è proprio la psicologia analitica che oggi può funzionare grazie alla sua versatilità, alla sua fluidità, perché si presta alle variazioni dell’epoca contemporanea grazie alla sua metodologia empiristica, perché il portare al qui ed ora è fondamentale o si rischia di saturare con le immagini archetipiche.
Secondo me gli aspetti irrinunciabili di Carl Gustav Jung sono proprio quegli aspetti clinici ed empiristici, il contestualizzare, il portare al qui e ora. E’ un aspetto moderno e adatto all’uomo di oggi. Non arrivi mai ad afferrare l’inconscio ma ti avvicini e cerchi di cogliere qualcosa. Dai senso a ciò che ti accade ed è questo il percorso veramente dinamico. Non siamo mai “finiti”, siamo sempre in percorso. Jung lo traduciamo nelle cose concrete.

Valeria Bianchi Mian: “Parliamo dunque del simbolo vivo che non è teoria o bombardamento di segni. Possiamo vedere la psicologia analitica contemporanea come un percorso di ri-attribuzione di senso al segno…”
 
Paola Terrile: “Sono domande di senso per l’uomo contemporaneo quelle che nel percorso terapeutico junghiano vengono sollevate. L’uomo di oggi è onnivoro, eppure così in difficoltà con la dimensione dell’autentico perché il suo Io è fittizio, fragilissimo.”
 
Valeria Bianchi Mian: “Prendiamo un attimo in considerazione un testo che sappiamo aver interessato molto entrambe, parlo de L’Io a più dimensioni – La formazione dell’Io in un mondo che cambia (Edizioni Red). I contributi degli autori mi hanno coinvolta perché focalizzano su queste tematiche in modo chiaro e nuovo. Silvia Di Lorenzo, Claudio Risé, la Valcarenghi e gli altri ragionano sull’Io fragile, borderline, transitorio, ecc. Che cosa ne pensi di quanto afferma Claudio Risé, ovvero che l’analista contemporaneo non può essere “fissato” di fronte a questi soggetti che vanno e vengono, che non hanno più una dimensione chiara?”
 
Paola Terrile: “Decisamente sono cambiate le modalità del setting, non solo per una questione economica. I pazienti hanno richieste precise, magari chiedono una seduta ogni quindici giorni e spesso le persone quando hanno terminato il percorso tornano una volta al mese. Il nostro tempo offre l’idea della velocità, ma poi si dilata e richiede un rallentamento. Fino anche a quindici anni fa non succedeva. Una delle mie ipotesi è che questo cambiamento nella modalità e nei ritmi dell’analisi abbia a che fare col nostro vissuto del tempo, che è velocissimo, ma una volta che hai trovato accesso al tempo lento non lo vuoi più perdere e vuoi tenere il filo. L’analista non è più solo il contenimento ma si adatta: anche noi siamo figli del nostro tempo. Siamo qui, nel 2015.
Abbiamo una varietà di pazienti amplissima. Basta pensare all’arrivo dei migranti, a come arriveranno anche da noi, in futuro, a come già arrivano in realtà territoriali pubbliche: tu sei figlio del tuo tempo come tutti, ma ne sei più consapevole.
Molti analisti in formazione si pongono il problema: come faccio ad applicare il linguaggio junghiano? Trasmettere valori mediante il proprio esserci diventa fondante per la relazione. Lo stare in gioco, il cercare insieme un senso al dolore, al vivere, nel gioco della relazione. Il bisogno di relazione può infatti essere letto come manifestazione dell’aspetto affettivo ed etico nel relazionarsi ad altri esseri umani. La ricerca del senso nella relazione è un’esperienza antica, che non può essere spiegata ma riscoperta, nel suo valore benefico: ed è quello che si fa sin dall’inizio della terapia.
 
Valeria Bianchi Mian: “In conclusione, di fronte a soggetti come Zombie Boy e gli altri che ho descritto, così affascinanti e particolari, possiamo fare ancora qualche riflessione? Non si tratta solo di individui singoli ma anche di gruppi che si sostengono, di vere e proprie controculture, ed è un insieme di culture delle differenze. Essendo noi otto miliardi di umani, questa ricerca di differenziarci a tutti i costi porta a forme di omologazione. Zombie Boy, l’uomo gatto, la donna vampira, tutti i soggetti che ho nominato nei miei articoli usano il corpo per dirsi. Portano all’estremo sulla pelle la propria ricerca di identità. Certamente alcuni sono veri e propri casi psichiatrici. A livello di gruppo, invece, troviamo insiemi di persone che si danno sostegno e si scambiano conoscenze tecniche, gruppi i cui membri si appendono insieme al soffitto attraverso i piercing o, andando sempre più all’estremo, si scambiano consigli circa il modo più rapido e indolore per amputarsi le dita o gli arti e per conservare, come un cimelio, pezzi di sé staccati dal corpo. Poi, certamente, c’è l’uso della chirurgia plastica in generale, il quale a volte anche nella cultura popolare – che non è contro ma è dominante – diventa eccesso, estremo.”
 
Paola Terrile: “Io differenzierei le questioni. Le immagini che hai messo, quelli che chiami i soggetti imago-genici sono difficili da dimenticare.
Non riesco a pensarmi e lavoro sul corpo: c’è in questo, che mi pare un operare trasudante disperazione, un tendere verso l’unicità, il che viene percepito come un diritto di ogni individuo. Si percepisce l’angoscia, anche se le persone non se ne rendono conto. Mediante il corpo, sempre plasmato all’estremo, prende forma la ricerca dell’unicità, di quel che l’individuo non riesce a diventare, e si agisce l’onnipotenza, anche grazie alla chirurgia. Onnipotenza versus impotenza.
Il paziente contemporaneo non rischia la nevrosi, come cento e più anni fa, ma la psicosi.
 
Valeria Bianchi Mian: “Siamo molto più ammalati rispetto all’epoca di Jung…”
 
Paola Terrile: “Si ma non riusciamo facilmente a curarci. Sovente occorrono tempi lunghissimi. E allora, dopo anni di apprendistato alla relazione autentica avviene che l’angoscia si abbassa, si passa dall’immobilità ad una situazione in cui l’energia psichica riacquista movimento dinamica; occorre non andar di fretta e non limitarsi alla considerazione del corpo come ricettacolo dell’angoscia, non lasciarsene affascinare.
Questo discorso non vale però per la chirurgia estetica in generale, se pensiamo alla gente che per non invecchiare diventa “uguale”. Mi sembra che in questi individui si manifesti piuttosto una tendenza verso l’omologazione.
Gli imago-genici agiscono forse guidati da una ricerca storpiata di identità, di onnipotenza: il loro implicito è “io posso fare quello che voglio”.  Questo Zombie col tumore al cervello ha toccato l’esperienza estrema della morte e successivamente ha trasformato il proprio corpo in Persona rigida e immutabile.
Non si torna indietro, gli atti di impotenza come questo sono per sempre.
Se la fissità dei corpi iper-carichi di immagini può anche essere vista come la versione contemporanea della scissione psicotizzante tra coscienza e mondo interno, allora il compito terapeutico, più che cercare di ricomporre, oggi consiste nel cercare di tradurre. Tradurre le immagini fisse – incarnate in gesti o sintomi – in parola simbolica che evoca al tempo stesso dolore e tensione trasformativa può sembrare quasi impossibile. E’ tuttavia non di rado la sola ricerca di senso percorribile ed è quello che implicitamente molti pazienti chiedono.
Come si diceva, il paziente contemporaneo è a rischio scissione perché il suo Io è troppo fragile: se non hai idea che dentro hai pensieri emozioni sentimenti con cui entri in contatto, il corpo va per conto proprio, pensiamo alla frammentazione dei soggetti anoressici e bulimici.  

Valeria Bianchi Mian: “Faccio una parentesi, proponendomi di riprendere il tema. Queste soluzioni rapide, corporee e letterali del percorso interiore, soluzioni molto contemporanee, mi fan pensare che il boom di interventi di counselling e, ancor di più, il successo del coaching siano proprio legati alle oscurità dello spirito del tempo. La psicologia analitica, in questo senso, è davvero un risorsa per il mondo di oggi…”
 

NOTE BIOBIBLIOGRAFICHE

Paola Terrile è nata a Torino. Dopo la laurea in Filosofia presso l’Università di Pisa ha svolto il percorso formativo come Psicologa Analista al C.G. Jung Institut di Zurigo. Iscritta all’albo degli Psicologi e degli Psicoterapeuti del Piemonte, lavora a Torino come libero professionista. Dal 1989 è socio analista, Docente e Supervisore presso la Scuola di Psicoterapia del Centro Italiano di Psicologia Analitica; è inoltre socio analista dell’IAAP. Tra le sue esperienze professionali, una consulenza psicologica nel carcere femminile. Lavora inoltre nell’ambito delle Associazioni Internazionali e si occupa in particolare di postadozione, sia in senso clinico che di ricerca teorica.

Tra i suoi testi ricordiamo:
Voci dal vuoto. La creatività femminile in analisi. Moretti e Vitali, Bergamo 1997.
All’incrocio per la vita. Vivarium, Milano 2010.
Figli che trasformano (con Patrizia Conti). Franco Angeli, Milano 2014.
Dentro il presente – La psicologia analitica di fronte ai conflitti contemporanei (a cura di). Vivarium, Milano 2001.
Coautrice nei volumi 2 e 3 di Dentro il presente. Vivarium, Milano, 2003 e 2007.
Nel testo a cura di Nicolò Doveri: Pazienti postmoderni, vedi l’articolo: Lo psicologo analista e gli orfani dell’Io. Vivarium, Milano 2012.
Il processo individuativo all’epoca degli attimi – ne Atti del XVI Convegno Nazionale CIPA, Palermo  2013.
Modelli relazionali in psicoterapia: la bellezza di ragionare nell’etica – Pratica analitica, Vivarium, Milano 2014.

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2 Commenti

  1. drmassimolanzaro

    Il tema dell’identità
    Il tema dell’identità fittizia contemporanea è interessantissimo. E’ importante notare come, sebbene la coscienza dell’Io si identifichi inizialmente con la Persona, cioè con quella figura di compromesso sotto la quale ciascuno appare di fronte alla collettività, il (vero) Sé inconscio non può venire totalmente rimosso. La sua influenza si manifesterà anzitutto nella particolare natura delle varie manifestazioni contrastanti e compensatorie dell’inconscio stesso (“il paziente contemporaneo è a rischio scissione perché il suo Io è troppo fragile”). In questo, i social media agiscono al servizio dell’ego, il quale interagisce con essi come estensione dei modi in cui negozia ogni giorno con il mondo per ottenere riconoscimento, talvolta a spese del più autentico e complesso Sé (esattamente quello che postulava Jung). Così in parte si spiega forse anche l’esistenza di “pazienti che arrivano in studio e che sono ben lontani dal rendersi conto di avere un mondo interno”.

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    • bianchivaleria

      Buongiorno Massimo,
      grazie

      Buongiorno Massimo,
      grazie per aver letto l’articolo e per il commento e per lo spunto relativo ai social media, decisamente da approfondire.

      Rispondi

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