Una situazione diversa di anoressia per procura, riferita al mondo degli adulti, è invece quella del film “Primo Amore” di Matteo Garrone (2004) recensito a suo tempo sulla rivista. Mi sembra utile soffermarmi su questo film per alcune considerazioni riguardanti non solo l’anoressia, ma anche altri aspetti psicopatologici dei protagonisti.
Lui, Vittorio, è il personaggio apparentemente forte, assillato dal pensiero della purezza e dell’essenzialità delle cose e delle persone. C’è un parallelo tra il suo mestiere di orafo e il suo pensiero sulla perfezione dell’essere umano. I suoi prodotti di oreficeria sono realizzati attraverso un paziente lavoro di scavo dei materiali usati. E’ in particolare ossessionato dalla produzione di piccole statuette d’oro raffiguranti figurine di corpi femminili molto magri. Allo stesso modo deve scavare il corpo di 57 chili della sua ragazza, Sonia, per levare pazientemente il superfluo e arrivare all’essenza del suo corpo idealizzato (40 chili), punto dal quale secondo lui partirà una nuova vita. Il suo amore è condizionato dalla sua forma corporea, non è un amore reale per la persona, ma l’amore per la propria idealizzazione del corpo di lei.
Poiché Sonia, probabilmente per un amore sincero, si fa complice di questa esigenza ed inizia a dimagrire, il rapporto si trasforma rapidamente in quello tra un carnefice e la sua vittima. La modalità narcisistica di lui (del tipo “bad you”, ovverossia sostenuta dalla necessità di considerare negativamente l’altra) è venata da un sadismo rilevante, non solo nelle scene in cui lui la rimprovera, vestendo i panni del buon consigliere, ma anche quando lei è costretta (o si costringe) ad un piatto di insalata e lui si permette di mangiare piatti molto saporiti.
In Sonia invece non troviamo istanze anoressiche, ma solo il desiderio di compiacere il suo uomo. Perché una donna può giungere a tanto? Non conosciamo la sua storia, ma vediamo uno stretto rapporto con il fratello, che è forse andato a compensare un rapporto con genitori non esistito o interrotto. Bisogno di uscire all’aperto, fuori dai vincoli familiari? Non lo sappiamo.
Il suo ruolo di vittima mi fa comunque venire in mente le tante storie di ragazze che si legano a uomini violenti, non essendo capaci di riconoscere le loro valenze distruttive. Rapporti che esitano in percosse, persecuzioni da stalker, omicidi, come proposto frequentemente dalle notizie di cronaca. L’idealizzazione dell’uomo anaffettivo da parte della donna, anche quando sarebbe evidente la sua negatività narcisistica, rimane un po’ un mistero, pur se è chiaro il ruolo delle istanze materne riparative.
Come nel film “Hungry Hearts” il film si conclude in modo consolatorio, con l’eliminazione del “cattivo”. Non è quello che accade di solito, ed è la soluzione drammaturgicamente più semplice e banale, ma certo usciamo dal racconto con un senso di sollievo, dopo un’ora di pesante senso di disagio per lo stato di sofferenza espresso da entrambi i protagonisti.
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