L’UOMO CHE CLASSIFICAVA I SOGNI. I sogni: messaggi dal subconscio o atavico meccanismo di difesa? La storia del professore americano che ne raccolse cinquantamila per cercare una risposta
di Giovanni Zagni, linkiesta.it, 21 novembre 2015
Come ben sanno gli esperti di marketing sul web, poche cose attirano la nostra attenzione di navigatori online come le liste (sembra, tra l’altro, che quelle che l’attirano di più abbiano dieci elementi). Abbiamo Una lista dei motivi per cui il nostro cervello ama le liste, i57 modi diversi di firmare una mail in inglese, la prossima ventura invasione delle classifiche di fine anno, l’intero sito di Buzzfeed – così variegato da permettere una serie di liste per ogni secondo del giorno– e il sardonico Dieci paragrafi sulle liste di cui hai bisogno proprio adesso nella tua vita di una firma del New Yorker. Tra le molte ossessioni della nostra epoca, si può concludere senza timore di smentita, c’è quella per gli elenchi e le classificazioni. Dopotutto, l’ultimo articolo della lista del paragrafo precedente riporta l’opinione di Don DeLillo, secondo cui «le liste sono una forma dell’isteria culturale». È facile concludere che il nostro amore per le liste discenda almeno in parte dall’impressionante mole di notizie, dati e amenità a cui ci sottopone quotidianamente la società dell’informazione. Meno scontato è capire come questa necessità di fare ordine nel caos abbia modificato il modo in cui concepiamo il mondo che ci circonda.
La possibilità di avere accesso a una quantità di dati senza precedenti nella storia è una delle facce del trionfo della scienza e della tecnologia nella nostra società. Anche i campi dell’esperienza umana che, per secoli, erano sfuggiti all’investigazione razionale cominciano a venire portati sotto la lente dell’analisi scientifica – e della classificazione. Uno degli esempi più affascinanti è il sonno. La parte della nostra vita in cui la coscienza è spenta, o per lo meno sopita, è stata fatta oggetto a partire dagli anni Cinquanta di una lunga serie di studi, che hanno approcciato scientificamente quello che succede nel nostro cervello mentre dormiamo, i molti problemi che lo possono inquietare e, soprattutto, le moltissime cose che ancora non abbiamo scoperto su questa misteriosa fase della nostra esperienza umana. Parecchi di questi dubbi, e qualcuna delle nuove certezze, sono state riassunte poco tempo fa dal giornalista statunitense David K. Randall nel suo bel libro Dreamland: Adventures in the Strange Science of Sleep (W.W. Norton, 2012). Tra le molte storie che racconta Randall ce n’è soprattutto una che ci interessa qui, e che riguarda un approccio originale al grande mistero dei sogni. Fin dagli albori dell’umanità, gli episodi onirici sono sempre stati considerati come carichi di significato: messaggi dalle divinità, previsioni inattese del futuro, presagi delle fortune o delle disgrazie a venire. L’assunto fondamentale è stato, per secoli, che i sogni fossero al tempo stesso profetici e simbolici: che cioè nei sogni comparissero oggetti, animali o persone che potevano essere collegate a un significato preciso e universale, valido per tutti. L’idea è alla base di una quantità infinita di libri che hanno fornito le “chiavi” per decifrare quei simboli, dall’Onirocritica di Artemidoro di Daldi (II secolo a.C.) fino ai “dizionari dei sogni” che si possono trovare ancora oggi in qualsiasi libreria.
Poi, nel 1899 a Vienna, Sigmund Freud pubblicò L’interpretazione dei sogni, che modificò profondamente il modo in cui consideriamo – tuttora – i nostri episodi onirici. I sogni, sosteneva Freud, sono una sorta di messaggio del nostro inconscio, che lavora per risolvere i conflitti e i desideri non soddisfatti nella vita ad occhi aperti. Questa nuova interpretazione dei sogni all’interno della teoria psicanalitica ha reso un riflesso condizionato la ricerca di un “significato” per tutte le immagini che ricordiamo al risveglio e, al tempo stesso, ha eliminato il suo aspetto profetico, l’antica idea che i sogni fossero finestre aperte sul futuro.
Segue qui:
http://www.linkiesta.it/it/article/2015/11/21/luomo-che-classificava-i-sogni/28202/
Come ben sanno gli esperti di marketing sul web, poche cose attirano la nostra attenzione di navigatori online come le liste (sembra, tra l’altro, che quelle che l’attirano di più abbiano dieci elementi). Abbiamo Una lista dei motivi per cui il nostro cervello ama le liste, i57 modi diversi di firmare una mail in inglese, la prossima ventura invasione delle classifiche di fine anno, l’intero sito di Buzzfeed – così variegato da permettere una serie di liste per ogni secondo del giorno– e il sardonico Dieci paragrafi sulle liste di cui hai bisogno proprio adesso nella tua vita di una firma del New Yorker. Tra le molte ossessioni della nostra epoca, si può concludere senza timore di smentita, c’è quella per gli elenchi e le classificazioni. Dopotutto, l’ultimo articolo della lista del paragrafo precedente riporta l’opinione di Don DeLillo, secondo cui «le liste sono una forma dell’isteria culturale». È facile concludere che il nostro amore per le liste discenda almeno in parte dall’impressionante mole di notizie, dati e amenità a cui ci sottopone quotidianamente la società dell’informazione. Meno scontato è capire come questa necessità di fare ordine nel caos abbia modificato il modo in cui concepiamo il mondo che ci circonda.
La possibilità di avere accesso a una quantità di dati senza precedenti nella storia è una delle facce del trionfo della scienza e della tecnologia nella nostra società. Anche i campi dell’esperienza umana che, per secoli, erano sfuggiti all’investigazione razionale cominciano a venire portati sotto la lente dell’analisi scientifica – e della classificazione. Uno degli esempi più affascinanti è il sonno. La parte della nostra vita in cui la coscienza è spenta, o per lo meno sopita, è stata fatta oggetto a partire dagli anni Cinquanta di una lunga serie di studi, che hanno approcciato scientificamente quello che succede nel nostro cervello mentre dormiamo, i molti problemi che lo possono inquietare e, soprattutto, le moltissime cose che ancora non abbiamo scoperto su questa misteriosa fase della nostra esperienza umana. Parecchi di questi dubbi, e qualcuna delle nuove certezze, sono state riassunte poco tempo fa dal giornalista statunitense David K. Randall nel suo bel libro Dreamland: Adventures in the Strange Science of Sleep (W.W. Norton, 2012). Tra le molte storie che racconta Randall ce n’è soprattutto una che ci interessa qui, e che riguarda un approccio originale al grande mistero dei sogni. Fin dagli albori dell’umanità, gli episodi onirici sono sempre stati considerati come carichi di significato: messaggi dalle divinità, previsioni inattese del futuro, presagi delle fortune o delle disgrazie a venire. L’assunto fondamentale è stato, per secoli, che i sogni fossero al tempo stesso profetici e simbolici: che cioè nei sogni comparissero oggetti, animali o persone che potevano essere collegate a un significato preciso e universale, valido per tutti. L’idea è alla base di una quantità infinita di libri che hanno fornito le “chiavi” per decifrare quei simboli, dall’Onirocritica di Artemidoro di Daldi (II secolo a.C.) fino ai “dizionari dei sogni” che si possono trovare ancora oggi in qualsiasi libreria.
Poi, nel 1899 a Vienna, Sigmund Freud pubblicò L’interpretazione dei sogni, che modificò profondamente il modo in cui consideriamo – tuttora – i nostri episodi onirici. I sogni, sosteneva Freud, sono una sorta di messaggio del nostro inconscio, che lavora per risolvere i conflitti e i desideri non soddisfatti nella vita ad occhi aperti. Questa nuova interpretazione dei sogni all’interno della teoria psicanalitica ha reso un riflesso condizionato la ricerca di un “significato” per tutte le immagini che ricordiamo al risveglio e, al tempo stesso, ha eliminato il suo aspetto profetico, l’antica idea che i sogni fossero finestre aperte sul futuro.
Segue qui:
http://www.linkiesta.it/it/article/2015/11/21/luomo-che-classificava-i-sogni/28202/
COSA CHIEDONO GLI ITALIANI ALLO PSICANALISTA. Siamo meno depressi, ma più ansiosi. E andiamo in crisi per colpa dell’amore e del sesso. Mentre in tv torna la serie In Treatment, abbiamo indagato sulle nuove paure che confessiamo solo sul lettino
di Mattia Carzaniga, donnamoderna.com, 19 novembre 2015
«Sono stato in analisi per anni. Non è successo niente. Il mio analista, per la frustrazione, cambiò attività: aprì un self-service vegetariano». Così parlava Woody Allen nel film del 1986 Hannah e le sue sorelle. A distanza di 30 anni, le cose sembrano essere cambiate. Anche da noi. L’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di psicologi e psicoterapeuti: quasi 90.000 iscritti all’albo secondo gli ultimi dati dell’Ordine nazionale. E la psicanalisi, da “sport” per i pochi che potevano permetterselo e comprenderlo, è sempre più popolare. Il merito va dato anche a serie tv come In Treatment, diretta da Saverio Costanzo: i 35 episodi della seconda stagione, che parte il 23 novembre su Sky Atlantic (dal lunedì al venerdì alle 19.40 e alle 23.10), cercano di fotografare le angosce e i non-detti dell’Italia di oggi.
Segue qui:
http://www.donnamoderna.com/attualita/italiani-dallo-psicanalista-ansia-amore-sesso
«Sono stato in analisi per anni. Non è successo niente. Il mio analista, per la frustrazione, cambiò attività: aprì un self-service vegetariano». Così parlava Woody Allen nel film del 1986 Hannah e le sue sorelle. A distanza di 30 anni, le cose sembrano essere cambiate. Anche da noi. L’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di psicologi e psicoterapeuti: quasi 90.000 iscritti all’albo secondo gli ultimi dati dell’Ordine nazionale. E la psicanalisi, da “sport” per i pochi che potevano permetterselo e comprenderlo, è sempre più popolare. Il merito va dato anche a serie tv come In Treatment, diretta da Saverio Costanzo: i 35 episodi della seconda stagione, che parte il 23 novembre su Sky Atlantic (dal lunedì al venerdì alle 19.40 e alle 23.10), cercano di fotografare le angosce e i non-detti dell’Italia di oggi.
Segue qui:
http://www.donnamoderna.com/attualita/italiani-dallo-psicanalista-ansia-amore-sesso
CASTELLITTO E “IN TREATMENT 2”: “LA PAROLA È UN EFFETTO SPECIALE”. Nuovi personaggi nella serie diretta da Saverio Costanzo da lunedì su Sky Atlantic HD. L’attore è lo psicanalista Mari: “Recitando ci mettiamo a nudo e sveliamo qualcosa”
di Silvia Fumarola, repubblica.it, 21 novembre 2015
Lo psicanalista Giovanni Mari si è separato. Nel salotto-studio della nuova casa fa i conti con la sua vita e con le vite degli altri. Il padre di un paziente, Dario (Guido Caprino), convinto che il figlio si sia suicidato perché l’analista non ha saputo aiutarlo, l’ha denunciato. Sarà Irene (Maya Sansa), avvocato e sua ex paziente, a difenderlo. La seconda stagione di In treatment di Saverio Costanzo da lunedì su Sky Atlantic HD (19.40 e alle 23.10) è emozionante. “Abbiamo lavorato quasi in presa diretta “, racconta Costanzo “con lunghi ciak per non spezzare la tensione”. Nel cast Licia Maglietta (mentore di Mari), la coppia in crisi Adriano Giannini-Barbora Bobulova porta in terapia il figlio considerato “debole” che si consola col cibo. Isabella Ferrari è un ex amore dello psicanalista. Tra i nuovi pazienti l’ingegnere Michele Placido: tiene tutto sotto controllo – anche il cappotto di cachemire sul divano, nel timore che glielo rubino – ha un rapporto conflittuale con la figlia Alba Rohrwacher e soffre di attacchi di panico; la studentessa Greta Scarano non vuole sottoporsi alla chemioterapia che potrebbe salvarla, durante la seduta non ce la fa a pronunciare la parola “cancro “, la scrive su un foglietto.
Segue qui:
http://www.repubblica.it/spettacoli/tv-radio/2015/11/22/news/castellitto_e_in_treatment_2_la_parola_e_un_effetto_speciale_-127907145/?refresh_ce
Lo psicanalista Giovanni Mari si è separato. Nel salotto-studio della nuova casa fa i conti con la sua vita e con le vite degli altri. Il padre di un paziente, Dario (Guido Caprino), convinto che il figlio si sia suicidato perché l’analista non ha saputo aiutarlo, l’ha denunciato. Sarà Irene (Maya Sansa), avvocato e sua ex paziente, a difenderlo. La seconda stagione di In treatment di Saverio Costanzo da lunedì su Sky Atlantic HD (19.40 e alle 23.10) è emozionante. “Abbiamo lavorato quasi in presa diretta “, racconta Costanzo “con lunghi ciak per non spezzare la tensione”. Nel cast Licia Maglietta (mentore di Mari), la coppia in crisi Adriano Giannini-Barbora Bobulova porta in terapia il figlio considerato “debole” che si consola col cibo. Isabella Ferrari è un ex amore dello psicanalista. Tra i nuovi pazienti l’ingegnere Michele Placido: tiene tutto sotto controllo – anche il cappotto di cachemire sul divano, nel timore che glielo rubino – ha un rapporto conflittuale con la figlia Alba Rohrwacher e soffre di attacchi di panico; la studentessa Greta Scarano non vuole sottoporsi alla chemioterapia che potrebbe salvarla, durante la seduta non ce la fa a pronunciare la parola “cancro “, la scrive su un foglietto.
Segue qui:
http://www.repubblica.it/spettacoli/tv-radio/2015/11/22/news/castellitto_e_in_treatment_2_la_parola_e_un_effetto_speciale_-127907145/?refresh_ce
TORNA «IN TREATMENT». LO PSICANALISTA CASTELLITTO STAVOLTA SI METTE A NUDO. Su Sky Atlantic la seconda stagione della serie
di Giulia Bianconi, iltempo.it, 21 novembre 2015
Due anni dopo il successo della prima stagione, torna «In Treatment» la serie prodotta da Sky e realizzata dalla Wildside che ha portato la psicanalisi sul piccolo schermo italiano. Dal 23 settembre su Sky Atlantic va in onda la seconda stagione della serie diretta da Saverio Costanzo con protagonista Sergio Castellitto, che nei panni del dottor Mari avrà a che fare con vecchi e nuovi pazienti.
Per sette settimane nei trentacinque episodi, in programma dal lunedì al venerdì alle ore 19.40 e 23.10 su Sky Atlantic e alle 20.30 su Sky Cinema Cult, vedremo alternarsi sul divano del nuovo studio dello psicanalista (che si è trasferito dopo la separazione dalla moglie) ogni giorno un paziente diverso che dovrà fare i conti con tormenti, conflitti e segreti. In questa stagione vedremo anche il protagonista mettersi sempre più a nudo, svelando il proprio lato umano. «Il dottor Mari diventa più fragile, ma anche più aggressivo – racconta Castellitto – Quando va dalla sua terapeuta, tira fuori una rabbia che lo rende umano». Per l’attore romano il successo di questa serie «è di aver riconsegnato alla parola un primato eccezionale, dandogli il significato di un effetto speciale». «Abbiamo lavorato quasi sempre in presa diretta, con lunghissimi ciak che ci permettevano di entrare nei personaggi senza interruzioni – spiega il regista della serie, Saverio Costanzo – E in più, all’interno di questo spazio enorme fatto a volte anche di 30 minuti di girato, capitava all’attore qualcosa di imprevisto».
Le sedute del dottor Mari iniziano lunedì con Maya Sansa, nei panni di un’avvocato di successo. Irene (questo il nome del personaggio) oltre a occuparsi della difesa del terapeuta nel caso di morte dell’ex paziente Dario Tebaldo (interpretato da Guido Caprino nella prima stagione), tornerà ad andare in analisi dal dottore, come aveva fatto vent’anni prima. Dei vecchi pazienti di Mari, ritroviamo ogni martedì Lea e Pietro che, dopo la crisi coniugale della prima stagione, hanno deciso di separarsi. Ma in terapia con loro questa volta c’è anche il figlio Mattia (interpretato dal giovane Francesco De Miranda) che non riesce ad accettare la fine del matrimonio dei genitori tanto da riversare il suo dispiacere nel cibo. «Devo ammettere che è stato più complesso interpretare il mio personaggio» confessa Adriano Giannini. Per Barbara Bobulova è stato il contrario: «Conoscevo il meccanismo, quindi sapevo a cosa andavo incontro. Poi amo gli imprevisti e con la presenza di Francesco, ce ne potevano essere ancora di più».
Segue qui:
http://www.iltempo.it/cultura-spettacoli/2015/11/21/torna-in-treatment-lo-psicanalista-castellitto-stavolta-si-mette-a-nudo-1.1481523
Due anni dopo il successo della prima stagione, torna «In Treatment» la serie prodotta da Sky e realizzata dalla Wildside che ha portato la psicanalisi sul piccolo schermo italiano. Dal 23 settembre su Sky Atlantic va in onda la seconda stagione della serie diretta da Saverio Costanzo con protagonista Sergio Castellitto, che nei panni del dottor Mari avrà a che fare con vecchi e nuovi pazienti.
Per sette settimane nei trentacinque episodi, in programma dal lunedì al venerdì alle ore 19.40 e 23.10 su Sky Atlantic e alle 20.30 su Sky Cinema Cult, vedremo alternarsi sul divano del nuovo studio dello psicanalista (che si è trasferito dopo la separazione dalla moglie) ogni giorno un paziente diverso che dovrà fare i conti con tormenti, conflitti e segreti. In questa stagione vedremo anche il protagonista mettersi sempre più a nudo, svelando il proprio lato umano. «Il dottor Mari diventa più fragile, ma anche più aggressivo – racconta Castellitto – Quando va dalla sua terapeuta, tira fuori una rabbia che lo rende umano». Per l’attore romano il successo di questa serie «è di aver riconsegnato alla parola un primato eccezionale, dandogli il significato di un effetto speciale». «Abbiamo lavorato quasi sempre in presa diretta, con lunghissimi ciak che ci permettevano di entrare nei personaggi senza interruzioni – spiega il regista della serie, Saverio Costanzo – E in più, all’interno di questo spazio enorme fatto a volte anche di 30 minuti di girato, capitava all’attore qualcosa di imprevisto».
Le sedute del dottor Mari iniziano lunedì con Maya Sansa, nei panni di un’avvocato di successo. Irene (questo il nome del personaggio) oltre a occuparsi della difesa del terapeuta nel caso di morte dell’ex paziente Dario Tebaldo (interpretato da Guido Caprino nella prima stagione), tornerà ad andare in analisi dal dottore, come aveva fatto vent’anni prima. Dei vecchi pazienti di Mari, ritroviamo ogni martedì Lea e Pietro che, dopo la crisi coniugale della prima stagione, hanno deciso di separarsi. Ma in terapia con loro questa volta c’è anche il figlio Mattia (interpretato dal giovane Francesco De Miranda) che non riesce ad accettare la fine del matrimonio dei genitori tanto da riversare il suo dispiacere nel cibo. «Devo ammettere che è stato più complesso interpretare il mio personaggio» confessa Adriano Giannini. Per Barbara Bobulova è stato il contrario: «Conoscevo il meccanismo, quindi sapevo a cosa andavo incontro. Poi amo gli imprevisti e con la presenza di Francesco, ce ne potevano essere ancora di più».
Segue qui:
http://www.iltempo.it/cultura-spettacoli/2015/11/21/torna-in-treatment-lo-psicanalista-castellitto-stavolta-si-mette-a-nudo-1.1481523
SERGIO CASTELLITTO TERAPEUTA CURA I MALI DI VIVERE IN TV. Lunedì torna su Sky la seconda edizione di “In Treatment”: un linguaggio attento e preciso e, come pazienti, Licia Maglietta, Maya Sansa, Michele Placido, Isabella Ferrari e Viola di “Suburra”
di Monica Granchi, bo.unita.tv, 21 novembre 2015
In treatment”: vere e proprie sedute di analisi in tempo reale. Un terapeuta, i suoi quattro pazienti, anzi cinque perché una seduta è di coppia, il suo supervisore e uno studio. Tutto qui. Torna, dal 23 novembre, l’apparente semplicità del format più bello e complesso della tv. Ogni giorno, alle 19.40, su Sky Atlantic. Tornano il dottor Mari, uno strepitoso ed intimo Sergio Castellitto, la coppia in crisi Giannini- Bobulova e l’analista dell’analista, Licia Maglietta. Grande l’attesa per il resto del cast composto da Michele Placido, Isabella Ferrari, Alba Rohrwacher, Maya Sansa e Greta Scarano, agli onori della cronaca per l’interpretazione della tossica Viola in Suburra. Fin dalla prima stagione, quello del dottor Mari è un successo. Ma è un appuntamento impegnativo quello con l’analisi in tv, quasi una vera terapia: si devono rispettare gli orari cinque giorni su sette e si deve chiedere alla concentrazione uno sforzo aggiuntivo perché la serie va in onda nella fascia preserale, quando l’attenzione prende un po’ di respiro, tra gli impegni quotidiani e il telegiornale, apparecchiando la tavola. Ma, a giudicare dai risultati, In treatment pare una vera e propria cura. Per la televisione stessa. Dopo gli adrenalinici serial dedicati al crimine, dopo i reality ed i talent, Sky torna all’uomo e alla sua centralità.
Psicanalisi per un vasto pubblico
Ma come può la tv, da sempre costruita su “caratteri” al limite dello stereotipo che gli consentono allo spettatore un meccanismo di immedesimazione, abbandonare la consueta lente di ingrandimento per il microscopio dell’analisi senza rinunciare ad un pubblico vasto? E come può la scienza della psicoanalisi riuscire ad ambientarsi in tv, mezzo di comunicazione di massa per eccellenza? Nell’epoca della rete, degli sms, della velocità di comunicazione, nell’epoca in cui anche il cinema ha sostituito la trama con il mero ma dinamico susseguirsi di azioni e colpi di scena, la tv torna ad utilizzare il linguaggio più antico, aprendo le porte al teatro e al suo linguaggio. E anche se sembra un paradosso, visto che il teatro vive una crisi che sembra insanabile, è proprio questa la sua carta vincente. Il rapporto tra teatro e televisione non è nuovo. Sì, perché fin da suoi albori, la tv assolve a una funzione pedagogica e l’arte drammatica copre buona parte del palinsesto. Un primato che, purtroppo, oggi spetta a una tv privata. Un rapporto che, nel 1975, dopo la messa in onda dello storico Orlando Furioso, capolavoro di Ronconi, si salda in maniera sostanziale sancendo la nascita del teatro per la tv, ben diverso dal teatro in tv. Uno sforzo immane per un tentativo riuscito solo per metà. Ma una via segnata. E anche l’analisi non è nuova in tv. Ospitata, di fatto, attraverso il cinema, proiettato verso l’inconscio da un’attrazione fatale. Dallo storico Freud, passioni segrete, di John Huston, al più recente A Dangerous Method di Cronenberg, passando per Hitchcock. Da sempre il cinema racconta l’analisi. Un racconto per immagini. Qui, invece, tutto è diverso. In treatment è la tv che non si fa scrupolo di utilizzare e mescolare diversi elementi di forza: che si tratti di cinema, teatro o psicoanalisi. Perché è così che nasce la televisione, come mezzo inclusivo. Del cinema non tiene poi molto: abbandona l’azione, la scenografia e gli effetti speciali; abbandona soprattutto il suo schema narrativo. Smette di mostrare. Nulla, tranne la seduta stessa, accade nello studio del dottor Mari. E nulla di ciò che viene detto viene mai mostrato davvero. Ma, del cinema, la tv si tiene i primi piani. Gli occhi, si sa, sono lo specchio dell’anima. E se non è lecito confondere anima ed inconscio, in In treatment quegli occhi hanno il loro valore.
Segue qui:
http://www.unita.tv/focus/sergio-castellitto-terapeuta-cura-i-mali-di-vivere-in-tv
In treatment”: vere e proprie sedute di analisi in tempo reale. Un terapeuta, i suoi quattro pazienti, anzi cinque perché una seduta è di coppia, il suo supervisore e uno studio. Tutto qui. Torna, dal 23 novembre, l’apparente semplicità del format più bello e complesso della tv. Ogni giorno, alle 19.40, su Sky Atlantic. Tornano il dottor Mari, uno strepitoso ed intimo Sergio Castellitto, la coppia in crisi Giannini- Bobulova e l’analista dell’analista, Licia Maglietta. Grande l’attesa per il resto del cast composto da Michele Placido, Isabella Ferrari, Alba Rohrwacher, Maya Sansa e Greta Scarano, agli onori della cronaca per l’interpretazione della tossica Viola in Suburra. Fin dalla prima stagione, quello del dottor Mari è un successo. Ma è un appuntamento impegnativo quello con l’analisi in tv, quasi una vera terapia: si devono rispettare gli orari cinque giorni su sette e si deve chiedere alla concentrazione uno sforzo aggiuntivo perché la serie va in onda nella fascia preserale, quando l’attenzione prende un po’ di respiro, tra gli impegni quotidiani e il telegiornale, apparecchiando la tavola. Ma, a giudicare dai risultati, In treatment pare una vera e propria cura. Per la televisione stessa. Dopo gli adrenalinici serial dedicati al crimine, dopo i reality ed i talent, Sky torna all’uomo e alla sua centralità.
Psicanalisi per un vasto pubblico
Ma come può la tv, da sempre costruita su “caratteri” al limite dello stereotipo che gli consentono allo spettatore un meccanismo di immedesimazione, abbandonare la consueta lente di ingrandimento per il microscopio dell’analisi senza rinunciare ad un pubblico vasto? E come può la scienza della psicoanalisi riuscire ad ambientarsi in tv, mezzo di comunicazione di massa per eccellenza? Nell’epoca della rete, degli sms, della velocità di comunicazione, nell’epoca in cui anche il cinema ha sostituito la trama con il mero ma dinamico susseguirsi di azioni e colpi di scena, la tv torna ad utilizzare il linguaggio più antico, aprendo le porte al teatro e al suo linguaggio. E anche se sembra un paradosso, visto che il teatro vive una crisi che sembra insanabile, è proprio questa la sua carta vincente. Il rapporto tra teatro e televisione non è nuovo. Sì, perché fin da suoi albori, la tv assolve a una funzione pedagogica e l’arte drammatica copre buona parte del palinsesto. Un primato che, purtroppo, oggi spetta a una tv privata. Un rapporto che, nel 1975, dopo la messa in onda dello storico Orlando Furioso, capolavoro di Ronconi, si salda in maniera sostanziale sancendo la nascita del teatro per la tv, ben diverso dal teatro in tv. Uno sforzo immane per un tentativo riuscito solo per metà. Ma una via segnata. E anche l’analisi non è nuova in tv. Ospitata, di fatto, attraverso il cinema, proiettato verso l’inconscio da un’attrazione fatale. Dallo storico Freud, passioni segrete, di John Huston, al più recente A Dangerous Method di Cronenberg, passando per Hitchcock. Da sempre il cinema racconta l’analisi. Un racconto per immagini. Qui, invece, tutto è diverso. In treatment è la tv che non si fa scrupolo di utilizzare e mescolare diversi elementi di forza: che si tratti di cinema, teatro o psicoanalisi. Perché è così che nasce la televisione, come mezzo inclusivo. Del cinema non tiene poi molto: abbandona l’azione, la scenografia e gli effetti speciali; abbandona soprattutto il suo schema narrativo. Smette di mostrare. Nulla, tranne la seduta stessa, accade nello studio del dottor Mari. E nulla di ciò che viene detto viene mai mostrato davvero. Ma, del cinema, la tv si tiene i primi piani. Gli occhi, si sa, sono lo specchio dell’anima. E se non è lecito confondere anima ed inconscio, in In treatment quegli occhi hanno il loro valore.
Segue qui:
http://www.unita.tv/focus/sergio-castellitto-terapeuta-cura-i-mali-di-vivere-in-tv
ANCHE ISABELLA PAZIENTE DI "IN TREATMENT"
di Barbara Nevosi, metronews.it, 22 novembre 2015
Selvaggia, Giovanna, Emma, Orietta, Claudia, adesso Mara. Sono tantissime le donne che Isabella Ferrari ha portato sullo schermo in 34 anni di carriera: belle, sofferenti, tormentate, malate, maltrattate. L’attrice, piacentina, romana di adozione, arriva nella seconda stagione di “In Treatment”, la serie diretta da Saverio Costanzo al via da stasera ore 19.40 e ore 23.10 (da lunedì a venerdì) su Sky Atlantic e su Sky Cinema Cult (ore 20.30) per portare scompiglio nella vita dello psicanalista Giovanni Mari-Sergio Castellitto.
Signora Ferrari, chi è Mara?
Un personaggio in crisi col marito, in crisi di mezza età e in terapia da Anna (Licia Maglietta). Mara e Giovanni sono stati felici in gioventù, si rincontrano fuori dallo studio della psicanalista. Lei è alle prese con una madre ossessiva e dominante, lui con una troppo debole.
Non ha mai fatto mistero di essere stata in analisi…
La prima volta avevo 27 anni, l’ho fatta in diversi periodi della vita e ne posso pensare solo bene: fare analisi è come imparare un’altra lingua.
Segue qui:
http://www.metronews.it/15/11/22/anche-isabella-paziente-di-treatment.html
Selvaggia, Giovanna, Emma, Orietta, Claudia, adesso Mara. Sono tantissime le donne che Isabella Ferrari ha portato sullo schermo in 34 anni di carriera: belle, sofferenti, tormentate, malate, maltrattate. L’attrice, piacentina, romana di adozione, arriva nella seconda stagione di “In Treatment”, la serie diretta da Saverio Costanzo al via da stasera ore 19.40 e ore 23.10 (da lunedì a venerdì) su Sky Atlantic e su Sky Cinema Cult (ore 20.30) per portare scompiglio nella vita dello psicanalista Giovanni Mari-Sergio Castellitto.
Signora Ferrari, chi è Mara?
Un personaggio in crisi col marito, in crisi di mezza età e in terapia da Anna (Licia Maglietta). Mara e Giovanni sono stati felici in gioventù, si rincontrano fuori dallo studio della psicanalista. Lei è alle prese con una madre ossessiva e dominante, lui con una troppo debole.
Non ha mai fatto mistero di essere stata in analisi…
La prima volta avevo 27 anni, l’ho fatta in diversi periodi della vita e ne posso pensare solo bene: fare analisi è come imparare un’altra lingua.
Segue qui:
http://www.metronews.it/15/11/22/anche-isabella-paziente-di-treatment.html
COSTANZO: LA PSICANALISI IN TV? ESERCIZIO D’ASCOLTO DEGLI ALTRI. Il regista di “In Treatment 2”: Castellitto sempre emozionante
di Fulvia Caprara, lastampa.it, 23 novembre 2015
Il grande show della psicanalisi, con i suoi personaggi tormentati, i nodi da sciogliere, le rivelazioni, le tragedie annunciate. Dopo il successo della prima stagione, Saverio Costanzo ha diretto la seconda serie di In Treatment (da oggi su Sky Atlantic Hd alle 19,40) imparando a muoversi sempre meglio dentro una «struttura drammaturgica classica, da tragedia greca, che prevede un prologo, un primo atto, un colpo di scena e un epilogo». Una costruzione che affascina i telespettatori, perchè guardare In Treatment è un po’ «come spiare le sedute di analisi di qualcuno . Non ci sono pretese scientifiche, ma ci si sente accompagnati in una specie di seducente voyeurismo». Al centro della solida impalcatura di In Treatment c’è di nuovo il Dottor Mari, colpito dalle «tempeste delle vita», la fine del matrimonio, l’allontanamento dai figli, il trasloco in un nuovo appartamento e soprattutto il processo che dovrà affrontare dopo essere stato accusato dal padre di un suo paziente, di non aver saputo evitare il suicidio del figlio: «Castellitto è un attore sorprendente, ha una maturità, un carisma, una grande dolcezza negli occhi e una capacità di dare energia a tutto il set. Di Mari sa rendere al meglio il tono di distacco partecipato e, quando fa venir fuori il suo “Io paterno”, è davvero emozionante». Stavolta dovrà vedersela con temi spinosi come l’«elaborazione del lutto» e perfino ingaggiare una corsa contro il tempo per convincere la giovane studentessa Elisa (Greta Scarano) a curarsi il cancro che le è appena stato diagnosticato: «Guardare In Treatment può essere utile come esercizio di ascolto delle persone, una pratica che restituisce sempre qualcosa. È una televisione intelligente, che si propone al pubblico in modo onesto».
Segue qui:
http://www.lastampa.it/2015/11/23/spettacoli/costanzo-la-psicanalisi-in-tv-esercizio-dascolto-degli-altri-w9Ur90YqmoECyImP0ibsxJ/pagina.html
Il grande show della psicanalisi, con i suoi personaggi tormentati, i nodi da sciogliere, le rivelazioni, le tragedie annunciate. Dopo il successo della prima stagione, Saverio Costanzo ha diretto la seconda serie di In Treatment (da oggi su Sky Atlantic Hd alle 19,40) imparando a muoversi sempre meglio dentro una «struttura drammaturgica classica, da tragedia greca, che prevede un prologo, un primo atto, un colpo di scena e un epilogo». Una costruzione che affascina i telespettatori, perchè guardare In Treatment è un po’ «come spiare le sedute di analisi di qualcuno . Non ci sono pretese scientifiche, ma ci si sente accompagnati in una specie di seducente voyeurismo». Al centro della solida impalcatura di In Treatment c’è di nuovo il Dottor Mari, colpito dalle «tempeste delle vita», la fine del matrimonio, l’allontanamento dai figli, il trasloco in un nuovo appartamento e soprattutto il processo che dovrà affrontare dopo essere stato accusato dal padre di un suo paziente, di non aver saputo evitare il suicidio del figlio: «Castellitto è un attore sorprendente, ha una maturità, un carisma, una grande dolcezza negli occhi e una capacità di dare energia a tutto il set. Di Mari sa rendere al meglio il tono di distacco partecipato e, quando fa venir fuori il suo “Io paterno”, è davvero emozionante». Stavolta dovrà vedersela con temi spinosi come l’«elaborazione del lutto» e perfino ingaggiare una corsa contro il tempo per convincere la giovane studentessa Elisa (Greta Scarano) a curarsi il cancro che le è appena stato diagnosticato: «Guardare In Treatment può essere utile come esercizio di ascolto delle persone, una pratica che restituisce sempre qualcosa. È una televisione intelligente, che si propone al pubblico in modo onesto».
Segue qui:
http://www.lastampa.it/2015/11/23/spettacoli/costanzo-la-psicanalisi-in-tv-esercizio-dascolto-degli-altri-w9Ur90YqmoECyImP0ibsxJ/pagina.html
COME FUNZIONA UNA FAMIGLIA ADOLESCENTE. Lo psicoanalista Massimo Ammaniti spiega cosa è cambiato nel rapporto fra genitori e figli, nel suo ultimo libro
di Redazione, Massimo Ammaniti, ilpost.it, 23 novembre 2015
La famiglia adolescente è il titolo del nuovo libro di Massimo Ammaniti, appena pubblicato da Laterza. Nel libro Ammaniti, psicoanalista autore di diversi libri su genitori, maternità e adolescenza, analizza i cambiamenti avvenuti nei rapporti fra genitori e figli negli ultimi anni, causati anche dalla riduzione della natalità e dall’aumento dell’età media in cui si fanno i figli, per cui si sono molto ridotte le differenze nel comportamento fra ragazzi e adulti, che sembrano vivere adesso invece in una specie di perenne adolescenza, e i due mondi – quello dei genitori e quello dei figli – sono ormai diventati una cosa sola. La distanza, che favoriva anche però la costruzione di una propria autonomia da parte dei figli, è stata sostituita da un’intimità e una condivisione che rendono molto più confusa la distinzione fra il “mondo dei grandi” e quello dei ragazzi. Questo è il capitolo del libro intitolato “I genitori tornano adolescenti”.
«L’adolescenza è una ‘malattia’ normale. Il problema riguarda piuttosto gli adulti e la società: se sono abbastanza sani da poterla sopportare». Qualunque genitore dovrebbe imparare a memoria la massima dello psicoanalista inglese Donald Winnicott, perché quando parliamo di «famiglia adolescente» è soprattutto ai genitori che bisogna guardare. Quando i nostri figli diventano adolescenti, l’effetto è ambivalente: siamo felici di vederli crescere, ma allo stesso tempo abbiamo paura di non riuscire a fornire loro tutto il sostegno di cui hanno bisogno. Abbiamo paura che possano prendere una strada indesiderata e pericolosa.
L’adolescenza non è il semplice passaggio dall’incantevole meraviglia del bambino alla rassicurante indipendenza dell’adulto, come vorremmo che fosse. Di certo non lo è mentre la si vive. La sottrazione dell’intimità, fisica ancor prima che comunicativa, ci disorienta. Giorno dopo giorno, fatichiamo sempre di più a capire quello che passa per la mente dei nostri figli, anche perché sono molto abili a evitare ogni confronto e a ritirarsi nella propria stanza, magari appendendo sulla porta il cartello «Non disturbare!». E così, quando a noi genitori la sera capita di trovarci nel silenzio della camera da letto, continuiamo a pensare a loro. «Perché è ancora fuori?». «Aveva detto che sarebbe ritornato a casa presto!». «Se continua a non studiare, che cosa succederà a scuola?». «Perché è diventata così cupa?». «Ha problemi con i suoi amici?». Nostro figlio e nostra figlia diventano un puro mistero ai nostri occhi, che non riescono più a leggere dentro i loro.
E finiamo per comportarci come amanti traditi, ci scopriamo a rovistare nello zaino dei nostri figli, a origliare qualche telefonata dietro la porta della loro stanza, rigorosamente chiusa a marcare il territorio, a carpire qualche sms agli amici, a entrare sotto falso nome nella loro pagina Facebook. Escamotage, ingenui e indiscreti, che testimoniano il nostro smarrimento di fronte a figli che non siamo più sicuri di saper comprendere, di cui non riusciamo a controllare i sentimenti, a lenire i dolori, a prevenire gli errori che, per la prima volta, stanno compiendo in autonomia.
Ricordo una coppia di genitori che si rivolse a me per affrontare il caso di una figlia che, dopo essere stata una bambina modello, capace di ripagare tutti gli sforzi della famiglia, era diventata intrattabile. Compiuti i tredici anni, aveva iniziato a passare intere giornate ascoltando gli One Direction con le amiche, parlando in continuazione di un ragazzo del gruppo, Niall, che sognava di sposare. Una vera e propria ossessione. I genitori, due funzionari pubblici entrambi oltre i cinquant’anni, all’improvviso non erano più in grado di comunicare con lei. E quando la band sbarcò in Italia per un concerto a Torino, Olga si mise in testa di andare ad ascoltarli, a tutti i costi, nonostante la contrarietà dei genitori: «Hai solo tredici anni, come fai ad andare a Torino? Dove pensi di dormire? E poi con chi?». La ferma ostinazione di Olga mise i genitori con le spalle al muro. Mettendo i genitori l’uno contro l’altro, la minaccia della figlia di scappare di casa fu risolutiva: la madre decisa a impedire la trasferta, il padre disposto a trattare. Nonostante la madre non smettesse di rimproverare al marito di avere una reazione debole di fronte al comportamento ostinato della figlia, fu la seconda la linea vincente. Il padre finì per accompagnare la figlia a Torino, con il preciso accordo di aspettarla in albergo.
La storia di Olga è solo una delle tante storie che ci raccontano come l’ingresso dei figli nell’adolescenza getti scompiglio tra gli stessi coniugi. Ciascuno di loro sperimenta singolarmente l’inedito rifiuto del figlio e cerca di scaricare sul partner la propria impotenza. Eccole, allora, le accuse: «Sei troppo debole». «Sei tu che gli permetti di essere come è», oppure «Ma perché sei così ottuso e non capisci come si sente?». Insomma, capita di non sentirsi sostenuti dall’altro in un momento di così grande timore e smarrimento, e la vita familiare viene messa inevitabilmente a dura prova.
Queste dinamiche, tuttavia, non sono certo nuove. E allora? Dove sta il fatto nuovo? Che cos’è cambiato per i genitori di un figlio adolescente?
Parafrasando la battuta di Curt Valentin, il futuro dei nuovi cinquantenni non è più quello di una volta. A cinquant’anni tutto sembra poter ancora cambiare, persino la famiglia, che – come abbiamo detto – non è più un’entità data una volta per tutte. Persino l’identità personale non è più concepita in modo rigido: è qualcosa che, sì, porta i segni delle scelte passate, ma è ancora aperta a metamorfosi future. I cinquantenni di oggi sentono di avere ancora una parte della vita da giocarsi pienamente. Il senso delle possibilità offerte dalla vita, tipico della giovinezza, resta spiccato. Ed ecco che, in qualche modo strambo, genitori e figli si trovano a vivere una vita parallela. Diversamente giovani e adolescenti entrambi. E così, anche quando hanno dei figli, i cinquantenni attuali non si sentono più soltanto genitori, ma persone con davanti una vita piena di opportunità che possono coinvolgerli a tutto tondo. Insomma, genitori, sì, ma genitori «moderni».
Le ricerche più recenti nel campo della neurobiologia forniscono evidenza scientifica a questa condizione. Hanno dimostrato, infatti, che a quest’età il nostro cervello non subisce l’involuzione che un tempo si pensava, ma va incontro ad un’ulteriore crescita. L’aumento della mielina, l’involucro lipidico che avvolge le fibre nervose, stimola un atteggiamento più riflessivo. Un atteggiamento che però non si traduce più in una tranquilla e saggia rielaborazione del nostro passato, come accade quando ci si sente alla fine del gioco e non ci resta altro che guardare indietro e rimpiangere quello che siamo o non siamo stati.
Dunque, la prima trasformazione si misura sull’autopercezione dei genitori. Che ha come conseguenza che, almeno psicologicamente, la figura uomo/padre e donna/madre coincidano solo in parte, seppure per una parte importante; in altri termini, pur essendo importante il ruolo di genitore, si ricerca una realizzazione personale come uomo o donna.
Segue qui:
http://www.ilpost.it/2015/11/23/la-famiglia-adolescente/
La famiglia adolescente è il titolo del nuovo libro di Massimo Ammaniti, appena pubblicato da Laterza. Nel libro Ammaniti, psicoanalista autore di diversi libri su genitori, maternità e adolescenza, analizza i cambiamenti avvenuti nei rapporti fra genitori e figli negli ultimi anni, causati anche dalla riduzione della natalità e dall’aumento dell’età media in cui si fanno i figli, per cui si sono molto ridotte le differenze nel comportamento fra ragazzi e adulti, che sembrano vivere adesso invece in una specie di perenne adolescenza, e i due mondi – quello dei genitori e quello dei figli – sono ormai diventati una cosa sola. La distanza, che favoriva anche però la costruzione di una propria autonomia da parte dei figli, è stata sostituita da un’intimità e una condivisione che rendono molto più confusa la distinzione fra il “mondo dei grandi” e quello dei ragazzi. Questo è il capitolo del libro intitolato “I genitori tornano adolescenti”.
«L’adolescenza è una ‘malattia’ normale. Il problema riguarda piuttosto gli adulti e la società: se sono abbastanza sani da poterla sopportare». Qualunque genitore dovrebbe imparare a memoria la massima dello psicoanalista inglese Donald Winnicott, perché quando parliamo di «famiglia adolescente» è soprattutto ai genitori che bisogna guardare. Quando i nostri figli diventano adolescenti, l’effetto è ambivalente: siamo felici di vederli crescere, ma allo stesso tempo abbiamo paura di non riuscire a fornire loro tutto il sostegno di cui hanno bisogno. Abbiamo paura che possano prendere una strada indesiderata e pericolosa.
L’adolescenza non è il semplice passaggio dall’incantevole meraviglia del bambino alla rassicurante indipendenza dell’adulto, come vorremmo che fosse. Di certo non lo è mentre la si vive. La sottrazione dell’intimità, fisica ancor prima che comunicativa, ci disorienta. Giorno dopo giorno, fatichiamo sempre di più a capire quello che passa per la mente dei nostri figli, anche perché sono molto abili a evitare ogni confronto e a ritirarsi nella propria stanza, magari appendendo sulla porta il cartello «Non disturbare!». E così, quando a noi genitori la sera capita di trovarci nel silenzio della camera da letto, continuiamo a pensare a loro. «Perché è ancora fuori?». «Aveva detto che sarebbe ritornato a casa presto!». «Se continua a non studiare, che cosa succederà a scuola?». «Perché è diventata così cupa?». «Ha problemi con i suoi amici?». Nostro figlio e nostra figlia diventano un puro mistero ai nostri occhi, che non riescono più a leggere dentro i loro.
E finiamo per comportarci come amanti traditi, ci scopriamo a rovistare nello zaino dei nostri figli, a origliare qualche telefonata dietro la porta della loro stanza, rigorosamente chiusa a marcare il territorio, a carpire qualche sms agli amici, a entrare sotto falso nome nella loro pagina Facebook. Escamotage, ingenui e indiscreti, che testimoniano il nostro smarrimento di fronte a figli che non siamo più sicuri di saper comprendere, di cui non riusciamo a controllare i sentimenti, a lenire i dolori, a prevenire gli errori che, per la prima volta, stanno compiendo in autonomia.
Ricordo una coppia di genitori che si rivolse a me per affrontare il caso di una figlia che, dopo essere stata una bambina modello, capace di ripagare tutti gli sforzi della famiglia, era diventata intrattabile. Compiuti i tredici anni, aveva iniziato a passare intere giornate ascoltando gli One Direction con le amiche, parlando in continuazione di un ragazzo del gruppo, Niall, che sognava di sposare. Una vera e propria ossessione. I genitori, due funzionari pubblici entrambi oltre i cinquant’anni, all’improvviso non erano più in grado di comunicare con lei. E quando la band sbarcò in Italia per un concerto a Torino, Olga si mise in testa di andare ad ascoltarli, a tutti i costi, nonostante la contrarietà dei genitori: «Hai solo tredici anni, come fai ad andare a Torino? Dove pensi di dormire? E poi con chi?». La ferma ostinazione di Olga mise i genitori con le spalle al muro. Mettendo i genitori l’uno contro l’altro, la minaccia della figlia di scappare di casa fu risolutiva: la madre decisa a impedire la trasferta, il padre disposto a trattare. Nonostante la madre non smettesse di rimproverare al marito di avere una reazione debole di fronte al comportamento ostinato della figlia, fu la seconda la linea vincente. Il padre finì per accompagnare la figlia a Torino, con il preciso accordo di aspettarla in albergo.
La storia di Olga è solo una delle tante storie che ci raccontano come l’ingresso dei figli nell’adolescenza getti scompiglio tra gli stessi coniugi. Ciascuno di loro sperimenta singolarmente l’inedito rifiuto del figlio e cerca di scaricare sul partner la propria impotenza. Eccole, allora, le accuse: «Sei troppo debole». «Sei tu che gli permetti di essere come è», oppure «Ma perché sei così ottuso e non capisci come si sente?». Insomma, capita di non sentirsi sostenuti dall’altro in un momento di così grande timore e smarrimento, e la vita familiare viene messa inevitabilmente a dura prova.
Queste dinamiche, tuttavia, non sono certo nuove. E allora? Dove sta il fatto nuovo? Che cos’è cambiato per i genitori di un figlio adolescente?
Parafrasando la battuta di Curt Valentin, il futuro dei nuovi cinquantenni non è più quello di una volta. A cinquant’anni tutto sembra poter ancora cambiare, persino la famiglia, che – come abbiamo detto – non è più un’entità data una volta per tutte. Persino l’identità personale non è più concepita in modo rigido: è qualcosa che, sì, porta i segni delle scelte passate, ma è ancora aperta a metamorfosi future. I cinquantenni di oggi sentono di avere ancora una parte della vita da giocarsi pienamente. Il senso delle possibilità offerte dalla vita, tipico della giovinezza, resta spiccato. Ed ecco che, in qualche modo strambo, genitori e figli si trovano a vivere una vita parallela. Diversamente giovani e adolescenti entrambi. E così, anche quando hanno dei figli, i cinquantenni attuali non si sentono più soltanto genitori, ma persone con davanti una vita piena di opportunità che possono coinvolgerli a tutto tondo. Insomma, genitori, sì, ma genitori «moderni».
Le ricerche più recenti nel campo della neurobiologia forniscono evidenza scientifica a questa condizione. Hanno dimostrato, infatti, che a quest’età il nostro cervello non subisce l’involuzione che un tempo si pensava, ma va incontro ad un’ulteriore crescita. L’aumento della mielina, l’involucro lipidico che avvolge le fibre nervose, stimola un atteggiamento più riflessivo. Un atteggiamento che però non si traduce più in una tranquilla e saggia rielaborazione del nostro passato, come accade quando ci si sente alla fine del gioco e non ci resta altro che guardare indietro e rimpiangere quello che siamo o non siamo stati.
Dunque, la prima trasformazione si misura sull’autopercezione dei genitori. Che ha come conseguenza che, almeno psicologicamente, la figura uomo/padre e donna/madre coincidano solo in parte, seppure per una parte importante; in altri termini, pur essendo importante il ruolo di genitore, si ricerca una realizzazione personale come uomo o donna.
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LO PSICANALISTA VERDIGLIONE AD AFFARI: “CONTRO DI ME UNA PERSECUZIONE”. “Il fantasma e il processo”. Su Affari l’appello del famoso filosofo e psicanalista Armando Verdiglione: “Da 7 anni un piano distruttivo, sotto il pretesto fiscale, contro di me. È stato inseguito un fantasma, il fantasma del dominus, del guru, dello stregone. E la materia intellettuale è divenuta demoniaca e criminale. Una persecuzione vera e propria. Un processo totalmente demonologico”
di Armando Verdiglione, affaritaliani.it, 24 novembre 2015
Da sette anni un piano distruttivo, sotto il pretesto fiscale, è stato attuato contro di me, contro tutto ciò che in quarant’anni ho potuto, con migliaia di altre persone, fondare e costruire: imprese, case editrici, associazioni, centri scientifici, culturali, artistici, musei viventi. Ormai quasi tutto è stato distrutto o tolto. Anche la salute. Anche la vita di molti. Nessun diritto civile è stato rispettato. Nessuna verifica è stata condotta. Nessun contraddittorio. È stato inseguito un fantasma, il fantasma del dominus, del guru, dello stregone. E la materia intellettuale è divenuta demoniaca e criminale. Una persecuzione vera e propria. Un processo totalmente demonologico. Oggi, alla vigilia della sentenza, spero e confido che i giudici abbiano ascoltato il dibattimento, abbiano letto i documenti prodotti e abbiano inteso che l’arte, i libri, i congressi, i monumenti restaurati, i servizi intellettuali alle imprese, gli avvenimenti in Italia e in ogni parte del mondo in quarantatré anni, quindi anche negli ultimi venti, siano effettivi e che non vada annientato un movimento scientifico, culturale e artistico internazionale, che ha prodotto opere d’ingegno oltre ogni avanguardia e che ha favorito l’incontro e dispositivi di valore nella città planetaria. Intanto, qui propongo una notazione in materia.
Nel suo recente intervento, Bernard-Henri Lévy cita un brano del diario di Paul Claudel del 21 maggio 1935: “Il discorso di Hitler? Si sta creando al centro dell’Europa una sorta d’islamismo”. Lo stato nazista come stato islamico. Oggi, viene rovesciata l’affermazione: lo stato islamico come stato nazista. Ma l’islamismo non è il nazismo. Un minimo comune fra nazismo e islamismo è dato, però, dal principio del purismo, il purismo ideologico della razza o il purismo ideologico religioso. Oggi, l’Europa si trova fra il secondo rinascimento e il principio del purismo. Il principio del purismo, prima ancora che apra le porte all’islamismo, è il principio del purismo fiscale, della severità fiscale, dell’ambientalismo fiscale, il principio di sostenibilità fiscale, il principio di accettabilità e di rispettabilità fiscale, il principio di credibilità fiscale, il principio dell’immaginabile fiscale, il principio del fondamentalismo fiscale. Promotrice di questo principio è la Germania dopo l’unificazione tedesca e dopo Maastricht, giunta all’apogeo con Angela Merkel. Hitler, il nazismo per la Germania? Un brutto ricordo! Dunque, le frontiere aperte. Le frontiere aperte ai siriani. Le frontiere aperte all’islamismo. Nel centro dell’Europa. E una condanna moderata, calma, equilibrata, di quanto da diversi anni sta accadendo in ogni parte d’Europa rispetto all’aggressione dell’islamismo, non soltanto dello Stato islamico.
Segue qui:
http://www.affaritaliani.it/cronache/lo-psicanalista-verdiglione-ad-affari-contro-di-me-una-persecuzione-394367.html?refresh_ce
Da sette anni un piano distruttivo, sotto il pretesto fiscale, è stato attuato contro di me, contro tutto ciò che in quarant’anni ho potuto, con migliaia di altre persone, fondare e costruire: imprese, case editrici, associazioni, centri scientifici, culturali, artistici, musei viventi. Ormai quasi tutto è stato distrutto o tolto. Anche la salute. Anche la vita di molti. Nessun diritto civile è stato rispettato. Nessuna verifica è stata condotta. Nessun contraddittorio. È stato inseguito un fantasma, il fantasma del dominus, del guru, dello stregone. E la materia intellettuale è divenuta demoniaca e criminale. Una persecuzione vera e propria. Un processo totalmente demonologico. Oggi, alla vigilia della sentenza, spero e confido che i giudici abbiano ascoltato il dibattimento, abbiano letto i documenti prodotti e abbiano inteso che l’arte, i libri, i congressi, i monumenti restaurati, i servizi intellettuali alle imprese, gli avvenimenti in Italia e in ogni parte del mondo in quarantatré anni, quindi anche negli ultimi venti, siano effettivi e che non vada annientato un movimento scientifico, culturale e artistico internazionale, che ha prodotto opere d’ingegno oltre ogni avanguardia e che ha favorito l’incontro e dispositivi di valore nella città planetaria. Intanto, qui propongo una notazione in materia.
Nel suo recente intervento, Bernard-Henri Lévy cita un brano del diario di Paul Claudel del 21 maggio 1935: “Il discorso di Hitler? Si sta creando al centro dell’Europa una sorta d’islamismo”. Lo stato nazista come stato islamico. Oggi, viene rovesciata l’affermazione: lo stato islamico come stato nazista. Ma l’islamismo non è il nazismo. Un minimo comune fra nazismo e islamismo è dato, però, dal principio del purismo, il purismo ideologico della razza o il purismo ideologico religioso. Oggi, l’Europa si trova fra il secondo rinascimento e il principio del purismo. Il principio del purismo, prima ancora che apra le porte all’islamismo, è il principio del purismo fiscale, della severità fiscale, dell’ambientalismo fiscale, il principio di sostenibilità fiscale, il principio di accettabilità e di rispettabilità fiscale, il principio di credibilità fiscale, il principio dell’immaginabile fiscale, il principio del fondamentalismo fiscale. Promotrice di questo principio è la Germania dopo l’unificazione tedesca e dopo Maastricht, giunta all’apogeo con Angela Merkel. Hitler, il nazismo per la Germania? Un brutto ricordo! Dunque, le frontiere aperte. Le frontiere aperte ai siriani. Le frontiere aperte all’islamismo. Nel centro dell’Europa. E una condanna moderata, calma, equilibrata, di quanto da diversi anni sta accadendo in ogni parte d’Europa rispetto all’aggressione dell’islamismo, non soltanto dello Stato islamico.
Segue qui:
http://www.affaritaliani.it/cronache/lo-psicanalista-verdiglione-ad-affari-contro-di-me-una-persecuzione-394367.html?refresh_ce
“MARINA ABRAMOVIC, COME SI PUÒ IMPARARE A PERDONARE?”
di Luigi Campagner, ilsussidiario.net, 25 novembre 2015*
Al Moma i visitatori entrano colmi di attesa per “l’incontro” con alcuni tra i maggiori capolavori dell’arte pittorica: la Notte Stellata di Van Gogh, il Grande Nudo Disteso di Modigliani, Gli Amanti di Magritte, con un Picasso giovane non ancora cubista, o con Pollock e Rothko, i primi due pittori autenticamente americani. E restano stupiti quando finiscono “prigionieri” tra enormi schermi che proiettano (ripetutamente) la stessa scena in bianco e nero: un uomo e una donna nudi seduti su divani bianchi che si lanciano lentamente una grande palla. Mentre ancora guizza indecifrata l’emozione provata per le potenti opere, il pensiero che si presenta alla mente degli astanti è proprio quello che state pensando: “che palla!”, nel senso esplicito dell’esclamazione popolare, ovvero: “che noia!”. Un velo di vergogna impedisce al pensatore recondito che è in ciascuno – visitatore occasionale incluso – di accorgersi di aver espresso un pertinente giudizio estetico, certificando che l’autore della video installazione sia riuscito a veicolare il proprio messaggio sullo “stato dell’arte” del rapporto uomo-donna. Un’installazione sul magro (e scolorito) bilancio dei loro affari amorosi. È l’arte contemporanea, che come spiega chi la conosce e la studia: “non è un genere d’arte, ma l’arte dei contemporanei”, in qualche misura l’arte di tutti: a patto di non dislocare, melanconicamente, la propria esistenza in un costante altrove.
Tra le maggiori performance consacrate dal Moma spiccano le opere di Marina Abramovic nata nel cuore della Belgrado comunista sessantanove fa: nomade d’animo, newyorkese d’adozione e Leone d’Oro 1997 alla Biennale di Venezia con Balcan Baroque, l’impressionante (e nauseante) performance dedicata alla “macelleria” della guerra nei Balcani, dove l’artista spazzola per giorni un imponente cumulo di ossa di manzo insanguinate.
Considerata la “matriarca” della Perfomance Art, Marina Abramovic ha realizzato proprio nelle sale del museo della Fondazione Rockefeller The artist is present (2010), la maggiore delle sue opere recenti, a cui anche la mostra Tenere vivo il fuoco (Rimini 2015) ha dedicato uno spazio importante.
L’opera ricapitola un lavoro avanguardistico realizzato in oltre quattro decenni dall’artista da sola, in coppia con l’ex marito Ulay e poi ancora da sola, utilizzando per le esecuzioni il proprio corpo: “la mia casa è il mio corpo”, inteso come voce – ma non parola – pelle, capelli, sangue, bellezza, voce, sensualità, bocca, dolore e relazione: perché l’altro nella Performance Art fa parte dell’opera: “nel mio caso se non c’è pubblico non c’è arte”. In The artist is present la Abramovic “performa” per tre mesi consecutivi rimanendo seduta immobile per sette ore ogni giorno, senza mangiare, bere, o altro, a completa disposizione del pubblico attirato dalla sua forza e dal suo sguardo dimesso, a sederle di fronte per pochi intensissimi minuti, costantemente ripresi dalla telecamera. Per diverse migliaia di persone perdersi nello sguardo dell’artista fu un’esperienza catartica: di autenticità e purificazione, cifra di una performance clamorosamente riuscita. Anche l’artista la descrive come “la performance più radicale della mia vita” aggiungendo nella conversazione autobiografica con Alessandra Farkas sul Corriere dal significativo titolo Sono nata a sessant’anni che “il rigore di quei tour de force ha impresso in me una metamorfosi mentale e fisica profonda, trasformandomi come persona”.
Segue qui:
http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2015/11/25/ARTE-Marina-Abramovich-come-si-puo-imparare-a-perdonare-/65842
*L’autore ha segnalato di aver rivisto il testo: “masochismo etico” è diventato “masochismo” (L. R.).
Al Moma i visitatori entrano colmi di attesa per “l’incontro” con alcuni tra i maggiori capolavori dell’arte pittorica: la Notte Stellata di Van Gogh, il Grande Nudo Disteso di Modigliani, Gli Amanti di Magritte, con un Picasso giovane non ancora cubista, o con Pollock e Rothko, i primi due pittori autenticamente americani. E restano stupiti quando finiscono “prigionieri” tra enormi schermi che proiettano (ripetutamente) la stessa scena in bianco e nero: un uomo e una donna nudi seduti su divani bianchi che si lanciano lentamente una grande palla. Mentre ancora guizza indecifrata l’emozione provata per le potenti opere, il pensiero che si presenta alla mente degli astanti è proprio quello che state pensando: “che palla!”, nel senso esplicito dell’esclamazione popolare, ovvero: “che noia!”. Un velo di vergogna impedisce al pensatore recondito che è in ciascuno – visitatore occasionale incluso – di accorgersi di aver espresso un pertinente giudizio estetico, certificando che l’autore della video installazione sia riuscito a veicolare il proprio messaggio sullo “stato dell’arte” del rapporto uomo-donna. Un’installazione sul magro (e scolorito) bilancio dei loro affari amorosi. È l’arte contemporanea, che come spiega chi la conosce e la studia: “non è un genere d’arte, ma l’arte dei contemporanei”, in qualche misura l’arte di tutti: a patto di non dislocare, melanconicamente, la propria esistenza in un costante altrove.
Tra le maggiori performance consacrate dal Moma spiccano le opere di Marina Abramovic nata nel cuore della Belgrado comunista sessantanove fa: nomade d’animo, newyorkese d’adozione e Leone d’Oro 1997 alla Biennale di Venezia con Balcan Baroque, l’impressionante (e nauseante) performance dedicata alla “macelleria” della guerra nei Balcani, dove l’artista spazzola per giorni un imponente cumulo di ossa di manzo insanguinate.
Considerata la “matriarca” della Perfomance Art, Marina Abramovic ha realizzato proprio nelle sale del museo della Fondazione Rockefeller The artist is present (2010), la maggiore delle sue opere recenti, a cui anche la mostra Tenere vivo il fuoco (Rimini 2015) ha dedicato uno spazio importante.
L’opera ricapitola un lavoro avanguardistico realizzato in oltre quattro decenni dall’artista da sola, in coppia con l’ex marito Ulay e poi ancora da sola, utilizzando per le esecuzioni il proprio corpo: “la mia casa è il mio corpo”, inteso come voce – ma non parola – pelle, capelli, sangue, bellezza, voce, sensualità, bocca, dolore e relazione: perché l’altro nella Performance Art fa parte dell’opera: “nel mio caso se non c’è pubblico non c’è arte”. In The artist is present la Abramovic “performa” per tre mesi consecutivi rimanendo seduta immobile per sette ore ogni giorno, senza mangiare, bere, o altro, a completa disposizione del pubblico attirato dalla sua forza e dal suo sguardo dimesso, a sederle di fronte per pochi intensissimi minuti, costantemente ripresi dalla telecamera. Per diverse migliaia di persone perdersi nello sguardo dell’artista fu un’esperienza catartica: di autenticità e purificazione, cifra di una performance clamorosamente riuscita. Anche l’artista la descrive come “la performance più radicale della mia vita” aggiungendo nella conversazione autobiografica con Alessandra Farkas sul Corriere dal significativo titolo Sono nata a sessant’anni che “il rigore di quei tour de force ha impresso in me una metamorfosi mentale e fisica profonda, trasformandomi come persona”.
Segue qui:
http://www.ilsussidiario.net/News/Cultura/2015/11/25/ARTE-Marina-Abramovich-come-si-puo-imparare-a-perdonare-/65842
*L’autore ha segnalato di aver rivisto il testo: “masochismo etico” è diventato “masochismo” (L. R.).
LAICO E “FEMMINILE”. IL FUTURO DELL’ORIENTE SECONDO ADONIS. Il poeta siriano mostra il nesso tra violenza e islam. Per superarlo, è centrale la libertà della donna
di Giuseppe Conte, ilgiornale.it, 26 novembre 2015
Il 14 novembre scorso tutto era chiuso a Parigi, persino i Giardini di Lussemburgo, che apparivano deserti e spettrali dietro le lunghe cancellate. Ma aperte e discretamente affollate restavano le librerie. Prova che la cultura, almeno in Francia, rimane la forma principale di resistenza alla barbarie. E sul banco di una libreria, mentre cercavo altro, mi ha attratto un volume appena uscito che sulla copertina a tutto campo ha l’immagine a me ben nota e cara di Adonis, il maggiore poeta arabo vivente, mio amico e maestro da tanti anni. Il libro è una lunga e articolatissima intervista concessa dal poeta a una psicoanalista su un tema che non potrebbe essere più attuale e bruciante, i rapporti tra violenza e Islam (Adonis, Violence et Islam, entretiens avec Houria Abdellouahed, Seuil, pagg. 187, euro 18; in Italia uscirà per Guanda il 3 dicembre col titolo Violenza e Islam). L’intervistatrice, con frequenti rimandi ad autori come Freud e Lacan, ma anche D.H. Lawrence, Deleuze, Bataille, è in sintonia con il poeta, e gli offre gli spunti per manifestare in pieno, con una sorprendente, irrituale, quasi provocatoria chiarezza le sue idee. Leggendo, ricordo le tante serate con Adonis impegnato nella scelta dei vini, Sancerre, Barolo, Brunello di Montalcino, il piacere con cui lui beveva, poi accendeva il suo sigaro cubano, poi si intratteneva sorridendo al telefono con qualche interlocutrice femminile: forse fu proprio in una di quelle occasioni che mi dichiarò come per lui l’unica vera Rivoluzione fosse quella francese. In un colpo, aveva esplicitato ciò che percorre tutte le pagine di questo libro-intervista: il suo gusto dei piaceri della vita, il suo assoluto laicismo.
Segue qui:
http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/laico-e-femminile-futuro-delloriente-secondo-adonis-1198612.html
Il 14 novembre scorso tutto era chiuso a Parigi, persino i Giardini di Lussemburgo, che apparivano deserti e spettrali dietro le lunghe cancellate. Ma aperte e discretamente affollate restavano le librerie. Prova che la cultura, almeno in Francia, rimane la forma principale di resistenza alla barbarie. E sul banco di una libreria, mentre cercavo altro, mi ha attratto un volume appena uscito che sulla copertina a tutto campo ha l’immagine a me ben nota e cara di Adonis, il maggiore poeta arabo vivente, mio amico e maestro da tanti anni. Il libro è una lunga e articolatissima intervista concessa dal poeta a una psicoanalista su un tema che non potrebbe essere più attuale e bruciante, i rapporti tra violenza e Islam (Adonis, Violence et Islam, entretiens avec Houria Abdellouahed, Seuil, pagg. 187, euro 18; in Italia uscirà per Guanda il 3 dicembre col titolo Violenza e Islam). L’intervistatrice, con frequenti rimandi ad autori come Freud e Lacan, ma anche D.H. Lawrence, Deleuze, Bataille, è in sintonia con il poeta, e gli offre gli spunti per manifestare in pieno, con una sorprendente, irrituale, quasi provocatoria chiarezza le sue idee. Leggendo, ricordo le tante serate con Adonis impegnato nella scelta dei vini, Sancerre, Barolo, Brunello di Montalcino, il piacere con cui lui beveva, poi accendeva il suo sigaro cubano, poi si intratteneva sorridendo al telefono con qualche interlocutrice femminile: forse fu proprio in una di quelle occasioni che mi dichiarò come per lui l’unica vera Rivoluzione fosse quella francese. In un colpo, aveva esplicitato ciò che percorre tutte le pagine di questo libro-intervista: il suo gusto dei piaceri della vita, il suo assoluto laicismo.
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http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/laico-e-femminile-futuro-delloriente-secondo-adonis-1198612.html
L’OMOSESSUALITÀ SPIEGATA SENZA FREUD”
di Massimo Ammaniti, repubblica.it, 29 novembre 2015
In una canzone del 2011 Lady Gaga cantava Baby, I was born this way (“Baby, sono nata così”) convinta che le sue inclinazioni sessuali fossero legate ai suoi cromosomi. Queste convinzioni non sono state confermate, perlomeno fino ad ora, dalle ricerche genetiche e neurobiologiche sull’origine dell’omosessualità, per cui ancora oggi è difficile trovare una spiegazione soddisfacente. Anche in un recente articolo comparso sulla rivista scientifica Science ci si interroga se “L’epigenetica possa spiegare il puzzle dell’omosessualità?”, aprendo un nuovo capitolo di studio. Sarebbe l’ambiente materno durante la gravidanza a intervenire sul corredo genetico del feto in particolare su quelle zone che presiedono all’orientamento sessuale, favorendo in questo modo l’omosessualità. Anche il titolo italiano del libro di Simon LeVay solleva un interrogativo analogo: Gay si nasce? (Cortina). Secondo LeVay, neuroscienziato che ha lavorato presso l’Harvard University e il Salk Institute, l’omosessualità sarebbe associata a una riduzione di volume dell’ipotalamo nel cervello degli omosessuali, più simile a quello delle donne. Si tratta di ricerche che hanno bisogno di essere replicate prima di giungere a una conclusione definitiva, escludendo che la riduzione dell’ipotalamo possa essere provocata da altre cause, dal momento che i gay studiati in questa ricerca erano tutti morti per Aids.
Segue qui:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/11/29/lomosessualita-spiegata-senza-freud48.html?ref=search
Video
MASSIMO AMMANITI E MARCO MARSULLO A “PANE QUOTIDIANO”
In una canzone del 2011 Lady Gaga cantava Baby, I was born this way (“Baby, sono nata così”) convinta che le sue inclinazioni sessuali fossero legate ai suoi cromosomi. Queste convinzioni non sono state confermate, perlomeno fino ad ora, dalle ricerche genetiche e neurobiologiche sull’origine dell’omosessualità, per cui ancora oggi è difficile trovare una spiegazione soddisfacente. Anche in un recente articolo comparso sulla rivista scientifica Science ci si interroga se “L’epigenetica possa spiegare il puzzle dell’omosessualità?”, aprendo un nuovo capitolo di studio. Sarebbe l’ambiente materno durante la gravidanza a intervenire sul corredo genetico del feto in particolare su quelle zone che presiedono all’orientamento sessuale, favorendo in questo modo l’omosessualità. Anche il titolo italiano del libro di Simon LeVay solleva un interrogativo analogo: Gay si nasce? (Cortina). Secondo LeVay, neuroscienziato che ha lavorato presso l’Harvard University e il Salk Institute, l’omosessualità sarebbe associata a una riduzione di volume dell’ipotalamo nel cervello degli omosessuali, più simile a quello delle donne. Si tratta di ricerche che hanno bisogno di essere replicate prima di giungere a una conclusione definitiva, escludendo che la riduzione dell’ipotalamo possa essere provocata da altre cause, dal momento che i gay studiati in questa ricerca erano tutti morti per Aids.
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http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2015/11/29/lomosessualita-spiegata-senza-freud48.html?ref=search
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MASSIMO AMMANITI E MARCO MARSULLO A “PANE QUOTIDIANO”
da rai.tv, 19 novembre 2015
C’era una volta il capo famiglia e l’autorità dei genitori. Oggi invece padri e madri sembrano volersi omologare all’età e allo stile di vita dei propri figli, con risultati spesso grotteschi. Lo psicoanalista Massimo Ammaniti e il giovane scrittore Marco Marsullo convergono verso una critica del genitore-amico. Le conseguenze, anche per i figli, sono negative: venendo a mancare lo scontro generazionale, la crescita viene rallentata e l’emancipazione di continuo rinviata con conseguenze pesanti anche per la società.
Vai al link:
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-b1693d03-08b4-4c3a-a8ae-05ab93f70ab4.html#p=
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REMO BODEI E VITTORIO LINGIARDI A “PANE QUOTIDIANO”
da rai.tv, 20 novembre 2015
l tentativo di dare un ordine ai propri sentimenti e ritrovarsi sempre più disorientati: è questa la prassi dell’amore. Una prassi che ci riconduce alla visione agostiniana di ordo amoris. Partendo dal pensiero del santo d’Ippona, il filosofo Remo Bodei spiega a Pane Quotidiano perché innamorarsi significa riappropriarsi della propria libertà, cicatrizzare i dissidi, riformulare da capo la propria vita. Scoprendo, come testimoniano le poesie dello psicoanalista Vittorio Lingiardi, accanto a Bodei nella conversazione con Concita De Gregorio, che la confusione e l’ordine sono i due poli tra cui oscilla ogni amore, carnale o spirituale che sia.
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http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-094b1cda-a5df-4dee-a300-bc6408596bd2.html#p=
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MASSIMO RECALCATI: “CORPO E LINGUAGGIO IN PASOLINI”
da youtube, 20 novembre 2015 Intervento di Recalcati a Palazzo Ducale, a Genova nell’ambito della rassegna “Pasolini oggi”.
http://www.psychiatryonline.it/node/5927
Audio
http://www.psychiatryonline.it/node/5927
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IL GIUBILEO UN INVITO A NOZZE PER L’ISIS, FARLO DOPO PARIGI SIGNIFICA NEGARE LA VULNERABILITÀ UMANA
da radioradicale.it, 20 novembre 2015
Intervista realizzata da Diego Galli con Enrichetta Buchli, psicanalista e professoressa.
Per l’audio vai al link:
https://www.radioradicale.it/scheda/459322/il-giubileo-un-invito-a-nozze-per-lisis-farlo-dopo-parigi-significa-negare-la
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com)
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com)
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