Nella prospettiva dell’integrazione assimilativa – definita da Messer (1992, 2001) – il terapeuta che si è formato secondo un orientamento primario, scelto come base, successivamente inserisce al suo interno tecniche attinte da altri approcci, pervenendo gradualmente ad un adattamento delle tecniche importate rispetto al modello di base, su cui il terapeuta rimane comunque ancorato. Le tecniche vengono dunque adattate al contesto di riferimento: ad esempio, l’utilizzo di una tecnica gestaltista – la sedia vuota – in un setting di terapia cognitiva, necessiterà di dovuti accorgimenti che, al fine di un suo corretto impiego, avverranno secondo il processo di assimilazione, definito da Piaget (1967).
L’approccio assimilativo (Carere-Comes, 1999b, 2001) corrisponde ad un movimento maggiormente conservatore rispetto all’integrazione teoretica: il suo vantaggio è garantire una minore dispersione in termini teorico-tecnici, e lo svantaggio di non consentire un reale progresso integrativo, essendo spostato sull’eclettismo più che sull’integrazione. Nonostante le sue criticità, l'aderenza a un sistema teorico coerente e rigoroso è da preferire all'eclettismo rigido, in cui il passaggio da una prospettiva all’altra avviene senza eccessive riflessioni teoriche.
La domanda che sorge spontanea è: quale potrebbe essere la soluzione a queste criticità? Carere-Comes, analizzando il processo della conoscenza attraverso la teoria piagetiana, prova a formulare una soluzione. Com’è noto, la conoscenza, secondo Piaget, procede secondo due fasi: “nella fase assimilativa i dati dell'esperienza vengono incorporati negli schemi mentali preesistenti, che vengono pertanto confermati da ogni nuova esperienza; nell'accomodamento, al contrario, gli schemi preesistenti vengono modificati per tener conto dei dati dell'esperienza che non potrebbero essere assimilati senza forzature. La conoscenza procede in modo ottimale quando tra le due fasi si stabilisce un buon equilibrio, senza che nessuna delle due predomini sull'altra. Infatti, se un eccesso di assimilazione corrisponde all'incapacità o al rifiuto di aprirsi agli elementi nuovi di cui le esperienze sono portatrici; dall'altra parte, un eccesso di accomodazione porta a un'apertura mentale non proporzionata alla capacità di elaborazione, con effetti di incoerenza e confusione. Il primo eccesso porta, in psicoterapia, alle chiusure dogmatiche e settarie, il secondo all'eclettismo spicciolo e confusionario. Anche in questo campo, come in ogni altro, è auspicabile un equilibrio tra i due poli. Una moderata prevalenza dell'uno sull'altro, tuttavia, non è di per sé un problema. Una prevalenza di assimilazione è paragonabile a un atteggiamento conservatore, come una prevalenza di accomodamento lo è a un atteggiamento progressista. Nessuno dei due è a priori migliore dell'altro, se il conservatore è illuminato e il progressista prudente.”
Andando al nucleo del processo: l'integrazione assimilativa non coincide con l'integrazione teorica "ideale", perché l'accento è sull'assimilazione e non sull'equilibrio assimilazione-accomodamento. Questa modalità corrisponde, approssimativamente, all'integrazione teorica "reale", in cui il terapeuta che opera l'integrazione non si pone in una dimensione equidistante tra la propria teoria e quella estranea, avendo un investimento maggiore sull’assimilazione piuttosto che sull’accomodamento. Si può affermare che: “l'integrazione assimilativa è il modo in cui l'integrazione teorica procede nella pratica” (Carere-Comes).
L’integrazione assimilativa rappresenta, dunque, un ponte tra l’eclettismo sistematico e l’integrazione teoretica, un approccio informale all’integrazione (Stricker & Gold, 2008) e potrebbe essere classificata come una “mini-integrazione teoretica” o un “eclettismo teorico” (Lampropoulos, 2001). Essa rappresenta una delle facce di ciò che avviene spontaneamente nella prassi, quando i clinici si ritrovano a misurarsi con casi che non rispondono alle tecniche previste dal loro orientamento: da un primo tentativo di importare una nuova tecnica serendipicamente, o con una ricerca attiva, perché frustrati dallo stallo della terapia (eclettismo sistematico), si passa poi a un adattamento della tecnica al proprio contesto di riferimento (integrazione assimilativa) che diventa un processo complementare allo sviluppo di una riflessione teorica che potrebbe scaturire – qualora non prevalga la spinta assimilativa e l’accomodamento riesca dunque a riequilibrare il processo – in un nuovo modello (integrazione teoretica) e/o nella ricerca di elementi fondanti del processo terapeutico a prescindere dall’orientamento (fattori comuni) (Norcross & Goldfried, 2005).
Alla luce di queste riflessioni, si evince che questa modalità, assieme all’eclettismo sistematico, rappresenta una delle tendenze del campo dell’integrazione – la spinta verso il pluralismo – mentre l’approccio dell’integrazione teoretica e quello dei fattori comuni, rappresentano la spinta verso l’unificazione; e che nessuna delle quattro modalità integrative rappresenta, nella realtà clinica, un’area definita e definibile. La definizione potrebbe essere meramente semantica e/o concettuale senza poterne tuttavia tracciare i confini, perché di fatto queste prospettive non sono mutualmente escludentesi (Seymour, 2011).
Esempi di questa prospettiva nella pratica clinica sono: il modello psicodinamico assimilativo (Stricker & Gold, 1996); la terapia cognitivo-comportamentale assimilativa (Castonguay et al., 2004) e la terapia assimilativa interpersonale-cognitiva (Safran e Segal, 1990; Safran, 2002).
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L’immagine rappresenta l’opera “La fattoria” di Joan Mirò, 1922.
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