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ARSA VIVA

15 Feb 16

A cura di Sarantis Thanopulos

Attribuiamo responsabilità paterna a ogni uomo che ha procreato, anche suo malgrado o senza averne una reale consapevolezza. A fondare la funzione paterna è per noi sufficiente il “legame di sangue”. Così quando un uomo attenta alla vita di un suo figlio/a, la nostra comprensione si impiglia nei sentimenti di terrore e di orrore, che sfociano regolarmente nel rigetto puro e semplice (e per nulla catartico) di un  atto “contro natura”.
La tendenza a confondere le forze naturali che alloggiano in noi, la loro socializzazione che consente la loro espressione creativa e costruttiva e l’apparato normativo che agisce in senso puramente repressivo, raggiunge il suo apice quando i genitori, piuttosto che proteggere, minacciano intenzionalmente l’esistenza materiale dei figli. Nel nostro sforzo di capire, privilegiamo la patologia del singolo: il fallimento individuale è l’eccezione (devianza) che salva natura, società e norma. Restano in ombra il fallimento delle relazioni, l’assenza di genitori veri in grado di riuscire o fallire nel rapporto con i figli. L’infanticidio non è l’atto di genitori falliti, ma di adulti rimasti bambini, impossibilitati a crescere.
Il quarantenne che di recente a Napoli ha dato fuoco alla donna da cui aspettava una figlia, ha aggiunto all’intenzione femminicida quella infanticida. Ha dato configurazione manifesta, concreta, a un fatto che sottende ogni azione distruttiva contro la donna: l’impossibilità di raggiungere la posizione paterna. Nella violenza dell’uomo nei confronti della compagna, c'è sempre un nodo profondamente irrisolto con la propria madre: il sentirsi dominato da lei, restata priva di un interlocutore adulto del suo desiderio erotico. La madre, che ha perso i propri appigli reali al mondo, rivolge tutto il suo interesse al figlio maschio con cui si identifica nell’illusione di un comune destino autarchico. Il figlio avverte la madre come sacra e inviolabile per il suo desiderio e, al tempo stesso, come detentrice di un potere assoluto su di lui.
L’uomo violento investe la sua donna (con o senza l’involontaria complicità di lei) con l’enorme ambivalenza nutrita nei confronti di una figura materna da cui si sente castrato. Nella cieca ribellione che guida la sua violenza, è anche presente la voglia di profanazione del corpo materno: il disperato, impossibile  tentativo di dare al proprio desiderio una forma. Quando un uomo è orfano di padre fuori e dentro di sé, la figura della compagna incinta può fare da argine al  suo odio (se qualcosa del padre resta vivo), ma può anche intensificarlo. Nella compagna può rivivere il fantasma di una madre androgina che si è impadronita di lui e della sua condizione virile. L’uomo vede, allora, inconsciamente nel bambino che abita il corpo della sua donna la presenza di un fratello/sorella rivale (la prova che lui non è necessario) o la raffigurazione di se stesso inglobato da lei (la prova che è necessario solo se abdica a un’esistenza personale).
La scelta di far ardere viva la propria compagna gravida, ha un forte significato simbolico che mette insieme tre prospettive divergenti. Incendiare con il fuoco della propria passione un oggetto di desiderio inaccessibile. Lasciarla bruciare da sé (nel più potente sogno di soddisfazione autoerotica), nella speranza di vederla risorgere dalle sue ceneri come araba fenice. Incenerire la madre-strega e il suo potere d’incantesimo.
È nella prima prospettiva, in cui il desiderio respira per l’ultima volta, che il padre appare fugacemente prima di svanire. Egli non esiste indipendentemente dalla sua posizione effettiva come soggetto desiderante nella vita.

 
 
 
 

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2 Commenti

  1. admin

    SUL TEMA VIOLENZA SULLE DONNE
    SUL TEMA VIOLENZA SULLE DONNE SEMPRE SU POL.it:

    L’OMBRA DEI PERBENISTI E QUELLA DEGLI SBRUFFONI SI RIFLETTE NEL BUIO DELLE DONNE: prima e dopo #Colonia
    http://www.psychiatryonline.it/node/5979

    IL SENSO DELLA VIOLENZA (1): “Femmincidio” e violenza di genere.
    http://www.psychiatryonline.it/node/4616

    IL MALE, RAMBO e IL FEMMINICIDIO…
    http://www.psychiatryonline.it/node/5150

    CORPI ECCEDENTI, CORPI VIOLATI. Le donne di Colonia e i (vecchi e nuovi) fantasmi d’Europa
    http://www.psychiatryonline.it/node/5986

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  2. maveardo

    Credo che non bisognerebbe
    Credo che non bisognerebbe mai sottovalutare la riduzione ad oggetto del corpo della donna e di quello che può contenere. Concordando con l’analisi psicoanalitica credo che i processi di reificazione che riguardano donne e figli, che sono più accessibili e aggredibili culturalmente, siano potenti processi di moltiplicazione e facilitazione della violenza rancorosa e vendicativa agente nel maschio anemizzato psicologicamente e impotente.

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