La clinica sistemica nasce negli anni Sessanta, è figlia e coeva della rivoluzione psichiatrica di Franco Basaglia e Ronald Laing. Nasce a partire dall'antropologia di Gregory Bateson e fu fondata da quattro psicoanalisti a Milano: Mara Selvini Palazzoli, Luigi Boscolo, Gianfranco Cecchin e Giuliana Prata. Due di loro venivano da una lunga formazione negli Stati Uniti. Luigi Boscolo, in particolare, è stato in formazione analitica a New York presso Nathan Ackerman e Silvano Arieti. Fu a New York che incontrò Mara Selvini, invitata da Arieti a parlare delle sue ricerche pionieristiche sull'anoressia, agli inizi degli anni Sessanta.
Al rientro in Italia, a Milano, i quattro si trovarono a condividere, insieme con altri psicoanalisti, uno studio in Piazza Sant'Ambrogio, che poi si trasferì in Via Leopardi. In tutto il mondo occidentale, quelli erano i giorni della rottura e della messa in discussione del “Potere psichiatrico”, come lo aveva definito Foucault, in tutte le sue forme e Milano era la guida di questa rottura radicale nel campo della psicoanalisi. Basti pensare che, in altri modi, per certi aspetti ancor più radicali, questa contestazione aveva come protagonista anche Elvio Fachinelli, e altri autori.
Dobbiamo ricordare che, nel 1967, a Londra, David Cooper aveva organizzato un importante convegno intitolato “Le dialettiche della liberazione” (The Dialectics of Liberation), cui avevano partecipato, tra gli altri, Hebert Marcuse, Ronald Laing, Lucien Goldman, Stokely Carmichel e Gregory Bateson. I primi due saggi del libro (“L’ovvio” e “La finalità cosciente contro la natura”) furono redatti da due punti di riferimento chiave della clinica sistemica: R. D. Laing e Gregory Bateson.
La contestazione del potere psichiatrico e anche del potere psicoanalitico, così come si configurava in quegli anni, fu l’inizio dei una trasformazione radicale della clinica. L’accordo generale, tra i clinici "contro-potere", era che il classico setting, la “talking cure” sul divano, non funzionava più. Molte psicoanaliste modificarono il setting, ispirandosi alle terapie di Melanie Klein coi bambini o a alle teorie di Winnicott sull’oggetto transizionale.
Una di queste psicoanaliste fu Gisela Pankow.
Pankow si era interessata all’applicazione della psicoanalisi a soggetti con diagnosi di anoressia e di schizofrenia. Gli stessi interessi che avrebbero mosso di lì a poco il gruppo di Milano a inaugurare la psicoterapia della famiglia. Pankow, tra le altre cose, aveva incontrato Gregory Bateson negli Stati Uniti e si era interessata alla teoria del “double bind”, che Bateson aveva sviluppato a partire dalle sue osservazioni etnologiche delle interazioni di soggetti schizofrenici con i familiari in ambito psichiatrico.
Nel setting clinico, Pankow usava una pallina d’argilla facendo sedute quasi quotidiane con i suoi pazienti, la palla d’argilla, seduta per seduta, veniva lavorata e trasformata dal paziente fino a diventare qualcosa di riconoscibile: un volto, una persona, un oggetto, un organo del corpo, un animale. Secondo Pankow, le differenze introdotte dal paziente nella lavorazione dell’argilla, la trasformazione di un pezzo d’argilla senza forma, in un forma (l’argilla lavorata), corrispondeva agli innesti di desiderio che, nel rendere differenziato l’oggetto esterno, differenziavano anche i pensieri del paziente, aiutandolo a uscire dalla psicosi.
I risultati ottenuti da Gisela Pankow avevano però un risvolto inquietante: quando il paziente incominciava a stare meglio, a uscire di casa, a organizzare la propria vita, qualche membro della famiglia la interpellava e la accusava di spingere il proprio familiare verso uno scompenso psicotico ulteriore. In quel momento, arrivò l’applicazione alla terapia del concetto cibernetico di omeostasi.
Un sistema non cambia così facilmente perché è posseduto da un circolarità omeostatica che interrompe il cambiamento e lo riporta alla condizione iniziale.
Invero il gruppo di Milano nasce a partire da questioni cliniche fondamentali: l’anoressia e la schizofrenia. L’anoressia, negli anni Sessanta, era un nuovo sintomo. Non che non ci fossero stati casi di disordine alimentari prima di quegli anni, chi non ricorda il Caso Ellen West e il noto racconto clinico di Ludwig Binswanger. Tuttavia la maggior parte dei casi di anoressia, dal 1914 al secondo dopoguerra, venivano considerati casi di Cachessia Pituitaria, disfunzione ipofisaria, di interesse endocrinologico. In altri termini, a partire da Morris Simmomds (1855-1925), si pensò che i casi di anoressia potessero rientrare in un grave disturbo dell’ipofisi che toglieva l’appetito e conduceva alla morte per inedia. Nel secondo dopoguerra Selvini fu pioniera della riscoperta dell’anoressia a partire da un dato essenziale: le sue pazienti avevano fame, almeno nelle fasi preliminari del disturbo anoressico, ma decidevano, per ragioni “morali” e psicologiche, di auto affamarsi. Molte psicoanaliste dell’epoca si cimentarono con la cura dell’anoressia. L’accordo generale, anche in questo caso, fu che il setting della “talking cure” era inadeguato. Attenzione però, stavolta non si trattava più di contestare il “potere psicoanalitico”, qui eravamo di fronte a un’evidenza, l’anoressica aveva bisogno di un elemento di transizione. Dapprima Selvini usò lo Sceno-Test, un reattivo clinico-diagnostico ideato da Gerdhild von Staabs, sulla scorta dell’esperienza della Pankow con l’argilla. Successivamente Selvini chiese ai suoi colleghi di formare una prima équipe per lo studio e l’applicazione della terapia familiare. Quattro psicoanalisti cominciarono, a fine anni Sessanta, a sperimentare questo approccio nuovo ai casi di anoressia e a quelli di schizofrenia. Nasce la terapia familiare sistemica (continua seguendo il link)
Al rientro in Italia, a Milano, i quattro si trovarono a condividere, insieme con altri psicoanalisti, uno studio in Piazza Sant'Ambrogio, che poi si trasferì in Via Leopardi. In tutto il mondo occidentale, quelli erano i giorni della rottura e della messa in discussione del “Potere psichiatrico”, come lo aveva definito Foucault, in tutte le sue forme e Milano era la guida di questa rottura radicale nel campo della psicoanalisi. Basti pensare che, in altri modi, per certi aspetti ancor più radicali, questa contestazione aveva come protagonista anche Elvio Fachinelli, e altri autori.
Dobbiamo ricordare che, nel 1967, a Londra, David Cooper aveva organizzato un importante convegno intitolato “Le dialettiche della liberazione” (The Dialectics of Liberation), cui avevano partecipato, tra gli altri, Hebert Marcuse, Ronald Laing, Lucien Goldman, Stokely Carmichel e Gregory Bateson. I primi due saggi del libro (“L’ovvio” e “La finalità cosciente contro la natura”) furono redatti da due punti di riferimento chiave della clinica sistemica: R. D. Laing e Gregory Bateson.
La contestazione del potere psichiatrico e anche del potere psicoanalitico, così come si configurava in quegli anni, fu l’inizio dei una trasformazione radicale della clinica. L’accordo generale, tra i clinici "contro-potere", era che il classico setting, la “talking cure” sul divano, non funzionava più. Molte psicoanaliste modificarono il setting, ispirandosi alle terapie di Melanie Klein coi bambini o a alle teorie di Winnicott sull’oggetto transizionale.
Una di queste psicoanaliste fu Gisela Pankow.
Pankow si era interessata all’applicazione della psicoanalisi a soggetti con diagnosi di anoressia e di schizofrenia. Gli stessi interessi che avrebbero mosso di lì a poco il gruppo di Milano a inaugurare la psicoterapia della famiglia. Pankow, tra le altre cose, aveva incontrato Gregory Bateson negli Stati Uniti e si era interessata alla teoria del “double bind”, che Bateson aveva sviluppato a partire dalle sue osservazioni etnologiche delle interazioni di soggetti schizofrenici con i familiari in ambito psichiatrico.
Nel setting clinico, Pankow usava una pallina d’argilla facendo sedute quasi quotidiane con i suoi pazienti, la palla d’argilla, seduta per seduta, veniva lavorata e trasformata dal paziente fino a diventare qualcosa di riconoscibile: un volto, una persona, un oggetto, un organo del corpo, un animale. Secondo Pankow, le differenze introdotte dal paziente nella lavorazione dell’argilla, la trasformazione di un pezzo d’argilla senza forma, in un forma (l’argilla lavorata), corrispondeva agli innesti di desiderio che, nel rendere differenziato l’oggetto esterno, differenziavano anche i pensieri del paziente, aiutandolo a uscire dalla psicosi.
I risultati ottenuti da Gisela Pankow avevano però un risvolto inquietante: quando il paziente incominciava a stare meglio, a uscire di casa, a organizzare la propria vita, qualche membro della famiglia la interpellava e la accusava di spingere il proprio familiare verso uno scompenso psicotico ulteriore. In quel momento, arrivò l’applicazione alla terapia del concetto cibernetico di omeostasi.
Un sistema non cambia così facilmente perché è posseduto da un circolarità omeostatica che interrompe il cambiamento e lo riporta alla condizione iniziale.
Invero il gruppo di Milano nasce a partire da questioni cliniche fondamentali: l’anoressia e la schizofrenia. L’anoressia, negli anni Sessanta, era un nuovo sintomo. Non che non ci fossero stati casi di disordine alimentari prima di quegli anni, chi non ricorda il Caso Ellen West e il noto racconto clinico di Ludwig Binswanger. Tuttavia la maggior parte dei casi di anoressia, dal 1914 al secondo dopoguerra, venivano considerati casi di Cachessia Pituitaria, disfunzione ipofisaria, di interesse endocrinologico. In altri termini, a partire da Morris Simmomds (1855-1925), si pensò che i casi di anoressia potessero rientrare in un grave disturbo dell’ipofisi che toglieva l’appetito e conduceva alla morte per inedia. Nel secondo dopoguerra Selvini fu pioniera della riscoperta dell’anoressia a partire da un dato essenziale: le sue pazienti avevano fame, almeno nelle fasi preliminari del disturbo anoressico, ma decidevano, per ragioni “morali” e psicologiche, di auto affamarsi. Molte psicoanaliste dell’epoca si cimentarono con la cura dell’anoressia. L’accordo generale, anche in questo caso, fu che il setting della “talking cure” era inadeguato. Attenzione però, stavolta non si trattava più di contestare il “potere psicoanalitico”, qui eravamo di fronte a un’evidenza, l’anoressica aveva bisogno di un elemento di transizione. Dapprima Selvini usò lo Sceno-Test, un reattivo clinico-diagnostico ideato da Gerdhild von Staabs, sulla scorta dell’esperienza della Pankow con l’argilla. Successivamente Selvini chiese ai suoi colleghi di formare una prima équipe per lo studio e l’applicazione della terapia familiare. Quattro psicoanalisti cominciarono, a fine anni Sessanta, a sperimentare questo approccio nuovo ai casi di anoressia e a quelli di schizofrenia. Nasce la terapia familiare sistemica (continua seguendo il link)
Questo è il primo saggio
Questo è il primo saggio della rubrica La clinica sistemica. Io sono Pietro Barbetta e dirigo, da un anno, il Centro Milanese di Terapia della Famiglia dopo la scomparsa, nel gennaio 2015 di Luigi Boscolo. Forse sono entrato troppo precocemente con “i piedi nel piatto” a raccontare una breve storia della clinica sistemica. Spero che ai lettori piaccia un stile diretto di scrittura. Potete trovare miei saggi, nel medesimo stile, su doppiozero.com (Curato Da Marco Belpoliti) e su Tysm (curato da Marco Dotti).
Faccio lo psicoterapeuta da circa trent’anni, ne ho quasi 62, e insegno anche psicologia dinamica all’università di Bergamo. Giusto in questi gironi sto cercando di spiegare ai miei studenti la differenza tra Freud e Ferenczi (cosa non facile).
Il Centro Milanese di Terapia della famiglia organizza incontri clinici e culturali ogni quindici giorni circa, verso le 17:30. Il prossimo riguarda la presentazione del libro di Natale Losi “Guarire la guerra”, trovate tutte le informazioni al sito CMTF.it. Spero che qualcuno commenti i miei saggi. Questo, il primo, è l’inizio di un racconto di storia della psicoterapia, a breve aggiungerò una seconda puntata.
Pietro, buon lavoro per
Pietro, buon lavoro per questa tua nuova rubrica.
Ti seguo e mi riprometto di intervenire nel corso delle puntate di questa tua “storia”.
Per saggezza intendo la
Per saggezza intendo la conoscenza del più vasto sistema interattivo, quel sistema che, se è disturbato, genera con ogni probabilità curve di variazione esponenziali.
La coscienza opera allo stesso modo della medicina nel suo campionamento degli eventi e dei processi del corpo e di ciò che avviene nella mente totale; è organizzata in termini di finalità.
Essa ci fornisce una scorciatoia che ci permette di giungere presto a ciò che vogliamo; non di agire con la massima saggezza per vivere, ma di seguire il più breve cammino logico o causale per ottenere ciò che si desidera appresso, e può essere il pranzo, o una sonata di Beethoven, o un rapporto sessuale. Può, soprattutto, essere il denaro o il potere.
Ma voi potreste dirmi: “Sì, però siamo vissuti in questa maniera per un milione d’anni”. La coscienza e la finalità sono state caratteristiche dell’uomo per un milione d’anni almeno, e può darsi che ci abbiano accompagnato per un tempo anche molto più lungo: non me la sento di dire che i cani e i gatti non hanno coscienza, e ancor meno che le focene non hanno coscienza.
Dunque potete dire: “Perché darsi pensiero di ciò?”.
Ma ciò che mi dà pensiero è l’aggiunta della tecnica moderna al vecchio sistema: oggi i fini della coscienza sono realizzati da macchine sempre più possenti, dai mezzi di trasporto, dagli aerei, dalle armi, dalla medicina, dagli insetticidi, eccetera. La finalità cosciente ha ora il potere di turbare gli equilibri del corpo, della società e del mondo biologico intorno a noi. C’è la minaccia di un fatto patologico, di una perdita di equilibrio.
Penso che gran parte di ciò che ci ha qui riuniti oggi sia fondamentalmente connesso coi pensieri che vi ho ora esposto. Da una parte abbiamo la natura sistemica dell’essere individuale, la natura sistemica della cultura in cui egli vive, e la natura sistemica del sistema biologico, ecologico, che lo circonda; e, dall’altra parte, la curiosa distorsione nella natura sistemica dell’uomo individuale, per effetto della quale la coscienza è, quasi di necessità, cieca di fronte alla natura sistemica dell’uomo stesso. La coscienza finalizzata estrae, dalla mente totale, sequenze che non hanno la struttura ad anello caratteristica della struttura sistemica globale. Se si seguono i dettami “sensati” della coscienza, si diviene in realtà avidi e stolti: e per “stolto” intendo colui che non riconosce e non si fa guidare dalla consapevolezza che la creatura globale è sistemica.
La carenza di saggezza sistemica è sempre punita. Si può dire che i sistemi biologici (l’individuo, la cultura e l’ecologia) sono in parte supporti viventi delle loro cellulem od organismi, componenti.
Ma i sistemi nondimeno puniscono ogni specie che sia tanto stolta da non andare d’accordo con la propria ecologia. Se volete, potete chiamare “Dio” le forze sistemiche.
(Gregory Bateson, Conscious Purpose versus Nature, 1968, London, Conference on the Dialectics of Liberation; trad. it., “Finalità cosciente e natura”, in Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 1988, p. 448-449)
La finalità cosciente, per
La finalità cosciente, per Bateson, è antiecologica. Lo sostiene spesso. Ho scritto un saggio sul tema che dovrebbe comparire in un libro curato da me e Mario Galzigna per Ombre Corte: Soggetti e potere. Il saggio “La finalità cosciente contro la natura” è stato tradotto in italiano “La finalità cosciente e la natura” in “Verso in’ecologia della mente”. Letto da Bateson nel 1967 al convegno di Londra, fu pubblicato in un libro curato da David Cooper l’anno dopo. Introvabile, io ce l’ho. A breve inserirò l’immagine di copertina.
In un’ottica di attenzione
In un’ottica di attenzione globale della cura non si può prescindere dal contesto ne tantomeno dalle relazioni famigliari che sottendono le dinamiche ambientali della persona affetta da disagio.
l’approfondimento circa la “nascita”, la riscoperta e la ricollocazione della clinica sistemica ricontestualizzandola per ogni peculiare caso ci aiuta in questo percorso di cura.
Rileggere i concetti di Bateson attraverso le parole del Professor Barbetta è indubbiamente un viaggio che non ci si può permettere si perdere.