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La selezione dei docenti italiani e la “buona scuola”

7 Mar 16

A cura di Leonardo Dino Angelini

In altra occasione ho cercato di porre in evidenza come si è dipanato in Italia, a partire dal dopoguerra, il rapporto fra selezione di censo e selezione di merito[1]. In quella occasione però parlavo dei criteri di selezione in base ai quali l’istituzione scolastica italiana ha formato nel tempo le proprie classi dirigenti e più in generale la forza-lavoro.
L’avvento della “buona scuola” però a fianco a questo problema impone alla nostra attenzione quello dei criteri di selezione del proprio corpo docente; ed è su questo secondo tipo di selezione che voglio oggi concentrarmi. Non prima però di aver ribadito alcuni concetti, che a mio avviso fanno da plafond a qualsiasi discorso sulla selezione scolastica. Parto con due esempi:
– Sorokin nel suo “Mode e utopie nella sociologia moderna” (1956) parlava fra l’altro dei ‘self made man’ americani, e poneva in evidenza come nel loro caso (e, aggiungiamo noi, in quel momento politico) non ci fosse alcuna consequenzialità fra successo scolastico e successo nella vita, e che il successo nel mondo delle professioni fosse legato negli USA ad uno spirito d’intrapresa che derivava loro da altre ‘agenzie formative’ presenti in quel momento nel tessuto sociale statunitense; 
– e una trentina di anni più tardi Claus Offe[2] poneva in evidenza come già negli anni ’70 del secolo scorso nelle società a capitalismo maturo fosse praticamente impossibile definire programmi scolastici che fossero in grado di formare una forza lavoro che da una parte fosse fungibile (cioè incapace di assumere un atteggiamento critico nei confronti dei problemi), e  contemporaneamente in grado di affrontare le sfide del futuro che il rapidissimo sviluppo tecnologico richiedeva. Poiché le basi metacognitive, necessarie per adattare il proprio sapere alle imprevedibili novità che sul piano tecnologico già allora insorgevano a spron battuto, nascono e s’impiantano in ciascuno di noi solo a partire dalla acquisizione di uno spirito critico, che cozza contro le esigenze di avere a disposizione una manodopera fungibile. E ciò già allora rendeva facilmente e velocemente obsolescenti tutti i programmi ministeriali.
Entrambi gli esempi a me paiono delle eloquenti parabole che ci parlano dei limiti della scuola nelle società più dinamiche. Sorokin pone in evidenza come la scuola sia solo uno degli elementi che queste società si danno per formare la propria forza lavoro. Offe ci parla della contraddizione che nel capitalismo maturo nasce fra l’esigenza di formare attraverso la scuola nuovi soggetti alienati a contemporanea esigenza che quegli stessi soggetti siano capaci di adattare il proprio sapere alle nuove ed imprevedibili esigenze del futuro.
Entrambi in maniera implicita (Sorokin) ed esplicita (Offe) affrontano il problema della efficacia della programmazione scolastica e della sua coerenza con i più generali obiettivi politici che ogni stato si pone lungo il proprio divenire storico. Obiettivi quindi che variano da stato a stato e da momento a momento, a seconda del tipo di politica che fanno le varie classi dirigenti allorché si succedono al governo di una nazione.
Entrambi però centrano la propria attenzione sul discente, trascurando la formazione e la selezione dei docenti. Che invece – come è possibile intuire dagli stessi esempi fatti prima[3] – è una importante parte in causa nella costruzione dei soggetti del domani.
In Italia finora la selezione dei docenti è avvenuta ‘mediante pubblico concorso’. Il concorso cui i docenti prima o poi si dispongono è un test discontinuo (anzi una tantum), che avviene in una situazione artificiosa. Mentre i giudizi che poi per tutta la vita essi daranno a propri discenti avranno carattere di continuità e, soprattutto nella nuova scuola, di vicinanza e d’informalità[4].
Pur con questi limiti nella logica del concorso c’era però un elemento che collegato poi alla logica degli ‘scatti’ e a mille altri elementi oggettivi definiva una ‘graduatoria’ che sanciva profili certi di carriera, praticamente intangibili. Ciò contribuiva a rendere ‘anelastica’ l’offerta di lavoro dei docenti (il che fra l’altro, trattandosi prevalentemente di forza lavoro femminile, poneva le docenti in una posizione privilegiata rispetto alle altre donne lavoratrici extradomestiche). E, cosa più importante dal nostro punto di vista, poneva i docenti in grado di definire in tutta autonomia i propri stili formativi, facendo da supporto al sapere critico dei discenti, all’acquisizione cioè di quelle metacognizioni, utilissime alla formazione degli adulti di domani, ma invise e temute dal potere. Io penso che questo ha permesso fino a poco tempo fa alla scuola italiana di essere fra le migliori del mondo.
Cos’è accaduto grosso modo nell’ultimo quindicennio? Ad opera del ministero e dei vari ministri che si sono succeduti alla sua guida c’è stata una propensione a moltiplicare i percorsi formativi, e in special modo quelli post lauream, promuovendone provvisoriamente alcuni a danno di altri, per poi sostituirli altrettanto provvisoriamente con altri percorsi. In un tourbillon che da una parte a condotto gli amici degli amici a gestire i corsi e a lucrare ingenti guadagni ‘sui’ docenti, dall’altra a dar vita ben presto a trasformare il processo formativo dei docenti in una vera e propria giungla piena di trabocchetti e di false piste.
L’intento probabilmente era quello di ottenere per queste strade consensi da coloro che risultavano via via privilegiati. In realtà questo andazzo a scontentato tutti, e soprattutto ha creato un sempre più diffuso disamore per la scuola.
Ora con la buona scuola letteralmente si cambia verso e si sottopone la valutazione del curricolo dei docenti al benestare dei dirigenti. Ciò, come hanno detto in tantissimi, finirà con l’innescare processi di marginalizzazione dei docenti più indipendenti ed autonomi, e di privilegio proprio di coloro che sono più propensi ad assumere posizioni più conformistiche.
Come si riverbererà questo nuovo andazzo sui prossimi discenti è facilmente immaginabile. Quali conseguenze avrà questa ondata di conformismo sul loro spirito critico ce lo ha detto Offe. L’epidemia di conformismo che il renzismo va diffondendo nel resto della società ci permette invece di comprendere quanto sarà difficile che altre agenzie formative possano far nascere equivalente dei self made man del nostro prossimo futuro.

 
 
 
 
 



[1] Cfr: Angelini L., La scuola di ieri e quella di oggi a confronto: dal rituale pedagogico alla teatralizzazione della scena scolastica, in: Quando saremo a Reggio Emilia, Psiconline, 2014
[2] Offe C., Lo stato del capitalismo maturo (in particolare : "Sistema educativo, sistema occupazionale e politica dell'educazione. Per una definizione della funzione sociale complessiva del sistema educativo"), Etas Libri,  Milano 1977
[3] Basti pensare alla distribuzione dei docenti fra le scuole pubbliche e private negli Usa e più in generale nei paesi anglosassoni per rendersene conto
[4] cfr: Angelini L., La scuola di ieri e quella di oggi a confronto. Op cit.

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