"Allora, io non ti voglio prendere per il culo, okay? Non me ne frega un beneamato cazzo di quello che sai, di quello che non sai. Tanto ti torturo lo stesso. Comunque sia, non per avere informazioni. Il fatto è che mi diverte torturare uno sbirro. Puoi dire quello che vuoi, tanto non mi fa nessun effetto. Tutto quello che puoi fare è invocare una morte rapida… Cosa che tanto non otterrai." ‘ Le Iene’.
Le ragioni dell’omicidio consumatosi in quell’appartamento di Roma, nel quale due amici hanno scelto una vittima per poi torturarla sino alla morte, va ricercata nelle parole pronunciate Mr Blonde che si accinge a seviziare un poliziotto nel celebre film di Tarantino.
Rifletto scrivendo, a voce alta, continuando un’opera di approfondimento sul tema della perversione e della tortura che anche in questa rubrica ho toccato.
Nella mente del sadico non c’è altro fine che non sia il puro piacere di infliggere dolore, passando per un controllo radicale dell’altro degradato ad oggetto. Un controllo che può essere sia mentale che fisico ( lo insegna la clinica della violenza di coppia). Non esiste una logica sotterranea, un filo conduttore che non sia una puro esercizio del sadismo. Come ho già piu’ volte affermato in articoli qua esposti, stiamo parlando del perverso lacaniano, colui il quale ‘sa far vibrare le corde dell’angoscia’ nella sua vittima. Lo scopo finale del suo agire non è la morte del patner, che arriva, di solito, solo alla fine della prevaricazione, quando cioè l’oggetto ‘si rompe’. Il fine ultimo è l’instaurazione di un diritto di controllo totale. Un godimento illimitato, che si spinge sempre oltre i limiti presunti e da lui maltollerati, nel ridurre l’altro a oggetto manipolabile sino alle estreme conseguenze. Per individui di questo tipo, vale la massima di Orwell : ‘ Il fine della tortura, è la tortura’. Nel film ‘Hostel’, uomini provenienti da diverse parti del mondo pagano ad una sorta di ‘albergo degli orrori’ denaro sonante per potere avere a loro completa disposizione una vittima, scelta anch’essa a caso, sulla quale esercitare le loro piu’ recondite e buie capacità di infliggere dolore.
Gli esercizi di sadismo allo stato puro, come quello che le cronache stanno riportando in maniera ridondate, vale a dire la storia dei due ragazzi che hanno torturato l’amico scelto nel mucchio , non sono lo specchio della ‘degenerazione dei costumi attuali.’ Il controllo dell’altro come forma di espressione sadica, priva di ogni intento moralista o magistrale, che non necessariamente arriva alla violenza fisica e alla morte, è tutt’altro che un prodotto della contemporaneità, come vorrebbero i cantori dei ‘bei tempi andati’ nostalgici di quando l’ordine regnava sovrano, e ‘queste cose non accadevano’. Non è appannaggio di una classe economica , come alcuni giornalisti di rilievo si sono affrettai a sottolineare attribuendo quel massacro alla ‘noia dei ricchi’. Né, in ultimo, sono causati direttamente dall’abuso di sostanze stupefacenti come ha, tra le righe, sostenuto il presidente della Società di Psichiatria Italiana in un intervista radiofonica. E’ fuorviante, etichettare questo crimine come causato dal mix di cocaina e alcool che i due hanno ingerito. In questo caso la droga funge piuttosto da strumento di disinibizione, liberando impulsi già presenti nei due ragazzi, malcelati e da tempo in attesa di esprimersi. Non cadiamo dunque nella facile scorciatoia della coca come causa totipotente.
Le strutture perverse, profondamente sadiche ed amorali, esistono, ed indossano i panni del nostro vicino, dell’amico di famiglia, del negoziante all’angolo. La droga sembra essere stata un propellente utilizzato per poter raggiungere quell’illimitato al quale il perverso tende, e che in casi così estremi è difficile da raggiungere senza ottundere la mente. Erano in due, già legati da una scelta precisa, quella di esercitare violenza su una persona per assaporarne gli effetti. Difficile attribuire alla polvere bianca il potere di tramutarli entrambi in Marchesi De Sade. Sappiamo dalla clinica che l’uso continuativo della cocaina può molte volte slatentizzare delle strutture psicotiche sottostanti, dando luogo a fenomeni elementari ( come le allucinazioni), ridimensionabili, a volte, se se ne interrompe l’uso. L’agire del sadico contempla la chimica come corroborante, un doping per infrangere limiti di sofferenza indicibili, ma sempre nella prospettiva di una scelta fatta a monte, un orizzonte di violenza prepianificato, un terreno per il quale servono gomme adatte. Deporrebbe a favore di ciò il subitaneo tentativo, poi sconfessato, di raccontare una storiella all’ altro della legge, sostenendo di aver ‘ visto mostri’. Ancora ,è proprio della perversione il chiamarsi fuori tentando il suicido come estremo tentativo di non sottomettersi al giudizio penale, legge non riconosciuta come preminente dal perverso. Come fece Casseri, e come uno dei due sembra aver tentato fare. La sola cosa che essi temono è l’incontro con la legge, non perché le riconoscano alcun valore morale o capacità di redenzione ( si pensi al massacro del Circeo). Semplicemente rappresenta un intoppo, un arresto fastidioso nel perseguimento del dominio illimitato da esercitare sullo sfortunato prescelto. Esistono delle condizioni storiche e sociali nelle quali, per una sorta di sovvertimento ed invalidazione temporanea della legge, soggetti siffatti si trovano nella condizione di potersi esprimere liberamente senza il timore di incappare in alcuna sanzione, perché scelgono le loro vittime tra i ‘nemici’ dell’ordine costituito. La loro opera è dunque funzionale al mantenimento dello staus quo, e non suscita la pubblica indignazione. Pensiamo ai periodi bellici, nel corso dei quali centinaia e centinaia di oscuri individui, grazie alla divisa, si sono tramutati in spietati carnefici capaci di infliggere liberamente ogni possibile strazio alle loro vittime, scelte tra le file della fazione opposta. O , per tornare i ai giorni nostri, sia sufficente andare con la memoria ai fatti di Genova e della caserma Diaz. ( http://www.psychiatryonline.it/node/5599)
Il mio vecchio professore di filosofia dei tempi del liceo, soleva dire: ‘ state attenti a quelli che ripetono l’adagio ‘ una volta si che si stava meglio!’. La sua origine contadina gli permetteva di raccontare aneddoti sulla vita locale, prima che la provincia di Modena divenisse la regina dei motori e della buona cucina. Una storia, poi confermata da svariate fonti, mi rimase impressa. Erano assai potenti alcuni signorotti locali, latifondisti che tenevano mezzo paese nella morsa della mezzadria, oggi osannati come padri integerrimi e fondatori della comunità. In realtà, specie uno di essi, soleva andare in piazza, alla Domenica, e se trovava uno dei suoi mezzadri gli intimava di tornare alla cascina. Se poi lo sventurato fosse stato sorpreso a leggere ‘ Il Resto del Carlino’, seguivano punizioni esemplari. Pur essendo il giorno libero, il padrone non mancava di esercitare un possesso totale sulla vita e sulla quotidianità dei suoi dipendenti, che da lui e dalle sue terre dipendevano completamente. Cosi’ come si narra che, al tempo della raccolta dell’uva, decine e decine di ragazzi del paese e dei dintorni accampassero davanti ai cancelli dalla sua tenuta, offrendo devozione assoluta e, in alcuni casi la donna piu’ giovane di casa, per garantirsi un estate di fatica e di sopravvivenza.
Troviamo l’eredità di questi costumi di un recente passato, nelle tasche dei caporali locali del lavoro sui campi di ciliegie, sorpresi dalle forze dell’ordine con decine di permessi di soggiorno degli operai ai quali procacciano il lavoro, in cambio di un controllo incondizionato della loro vita e dei loro spostamenti. Altro che noia, altro che droga.
MI piace questo scritto di
MI piace questo scritto di Maurizio Montanari perchè ci avverte anche del rischio di cercare una soluzione totipotente. A fronte dei fatti di cronaca, specialmente dei più crudeli e / o clamorosi, si osserva il proliferare di ‘spiegazioni’ variamente articolate, ma che sembrano – tutte – avere la valenza di una rassicurazione del collettivo. In genere, quanto più le ‘spiegazioni’ tentate sono aderenti al comune buon senso ed allo ‘spirito del tempo’ tanto più riscuotono successo. Ed il successo è correlato, in genere, al reperimento di un ‘fattore causale’ che consenta ai più di dire / dirsi: ‘io no, a me questo non può succedere’. Invece i fatti sono pressochè sempre plurideterminati.. e questo può inquietare.. perchè ci richiama a responsabilità diffuse e meno facilmente identificabili..
Nel caso specifico, scelgo di soffermarmi su un solo filo della trama proposta.. quello dell’incontro con la Legge, come solo elemento temuto dal sadico. Cercando un risvolto pragmatico (forse unica via che ci è dato percorrere) penso al rapporto genitori / figli come è andato declinandosi negli ultimi 40 anni.. un rapporto in cui il richiamo alla Legge, come regola buona e contenimento, è andato sempre più fiaccandosi. Ovviamente penso al Super Io, istanza che spesso latita nelle ultime generazioni stante il crescere di un permissivismo pervasivo. Potrebbe essere questo – il territorio delle regole – uno dei parametri da modificare..? Ovviamente sapendo che non è l’unica variabile in gioco…