Percorso: Home 9 Rubriche 9 GALASSIA FREUD 9 Marzo 2016 I – Intendere, volere, (pre)meditare

Marzo 2016 I – Intendere, volere, (pre)meditare

13 Mar 16

A cura di Luca Ribolini

PIRANDELLO NELLE TRAPPOLE DELL’EROS

di Mario Baudino, lastampa.it, 2 marzo 2016
 
Una moglie gelosa in maniera insopportabile, e per di più sposata sulla base di un matrimonio combinato; un amore in età ormai matura, che forse non ebbe se non un singolo, disastroso, episodio sessuale. Un’opera, culminata col Nobel, dove i fantasmi sessuali baluginano raramente, nella convinzione da parte dell’autore che la «bestia» vada tenuta a freno. Luigi Pirandello è tutto questo, e forse anche di più. La critica lo ha studiato con gli strumenti della psicanalisi, la sostanza è che il drammaturgo più moderno del Novecento era più represso dei suoi contemporanei. Eppure, c’è sempre un eppure. Salvatore Ferlita, dell’Università di Enna, ha provato con «una sorta di tracotanza esegetica» (sono sue parole) un percorso a ritroso: dai drammi più celebri dove questa ossessione viene messa in campo alle novelle, dove è più nascosta. Ne è nata un’antologia sorprendente, «Racconti Erotici» (per l’editore Maut di Palermo). Pirandello, nelle «Novelle per un anno» è in perenne fuga dal sesso, ma qualche volta inciampa. Il protagonista di «Effetti d’un sogno interrotto» rinuncia alla casa pur di non assistere, in sogno, al risvegliarsi amoroso della sensuale Maddalena raffigurata in un dipinto.
 
Segue qui:
http://www.lastampa.it/2016/03/02/cultura/pirandello-nelle-trappole-delleros-jBLaJn9owhVJu1TSehp62N/pagina.html;jsessionid=11F1CB7F89319A69ED0238818D5A23A7
 

LE CICLISTE DI EROS. La mutanda attrae perché ha a che fare con quanto c’è di più intimo. Non il pube, ma il sogno

di Umberto Silva, ilfoglio.it, 2 marzo 2016
 
Molti musulmani – tra questi Ali Abu Shwaima, presidente del Centro islamico di Milano – considerano sconveniente che le donne girino in bicicletta. Gli occidentali s’indignano per tanta pruderie, ma la questione è complessa e va indagata senza pregiudizi. Che la bicicletta sia uno strumento di lavoro e di svago indispensabile per uomini e donne, è evidente; che possa diventare una maliziosa fonte di eros, è comprovato. Tuttavia non sempre, ahimè, Eros trionfa; quotidianamente assistiamo allo sciamare di ragazze e giovani donne che pedalano in maschi pantaloni, e questo è davvero disdicevole. Altrettanto deplorevole la sfacciataggine dei pantaloncini corti e dei bikini che popolano le spiagge d’estate: il Sole e il mare, nella loro funzione terapeutica, legittimano la nudità togliendole sapore, tranne che per disgraziate fameliche bocche. Le cicliste di Eros sono altre, e pedalano con le gonne al ginocchio in eleganti città i cui palazzi fanno da scenografia; in quei venerati luoghi le mutande non hanno a che fare con il mare e il Sole ma con la tenebra; al riparo di vestiti e cappotti a loro volta esse celano il sacro pube, ne sono le guardiane e spesso fanno capolino, folgoranti apparizioni che permettono loro di riconquistare quel primato sessuale che oggi è attribuito al plebeo sedere. Le mutande attraggono perché hanno a che fare con quanto di più intimo.
 
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/03/02/le-cicliste-di-eros___1-vr-138902-rubriche_c136.htm

IMPEGNO, MORRICONE INSEGNA

di Luigi Ballerini, avvenire.it, 2 marzo 2016
 
«Il successo viene certo dal talento, ma più ancora dal lavoro, dall’esperienza e dalla fedeltà: alla propria arte come alla propria donna. Mi sono dato la regola di dare il meglio, sempre. Anche se non sempre ci si riesce». Parole di Ennio Morricone, in un’intervista rilasciata al ‘Corriere della Sera’ dopo la vittoria dell’Oscar. Parole da far leggere ai ragazzi, possono aiutarli. L’affermazione fa infatti piazza pulita della teoria del genio, del talentuoso, dell’intelligente. Non si fa mai un buon servizio a dare dell’intelligente a un bambino, men che meno nel ripeterglielo a ogni piè sospinto dopo l’ottenimento di buoni risultati e successi. Imputandogli in continuazione l’intelligenza si può favorire in lui il divenire presuntuoso, ossia un soggetto che presume di poter arrivare al risultato via intelligenza.
 
Segue qui:
http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/IMPEGNO-MORRICONE-INSEGNA-.aspx
 

LACAN, IL CRIPTICO, SPIEGATO AI MORTALI IN DUE VOLUMI. È considerato il più impervio tra gli psicoanalisti. Detestato o venerato come un guru. Massimo Recalcati continua l’opera di disboscamento. Come? Glielo ha chiesto un collega

di Vittorio Lingiardi, repubblica.it, 2 marzo 2016
 
La clinica psicoanalitica: struttura e soggetto è il secondo di due volumi che Massimo Recalcati dedica a Jacques Lacan. Il primo, Desiderio, godimento e soggettivazione, è uscito nel 2012. Entrambi pubblicati da Raffaello Cortina, un’impresa editoriale coraggiosa in un tempo-twitter come il nostro, sono il risultato di un lavoro ventennale su un autore-ostacolo amato, mai conosciuto e solo studiato. È possibile che, senza la dedizione del Recalcati studioso e la forza mediatica del Recalcati pubblico, nel nostro Paese Lacan sarebbe rimasto nella nicchia del culto, venerato dagli adepti, ma dimenticato dagli psicoanalisti delle nuove generazioni, contesi da altri richiami che hanno i nomi dell’attaccamento, del cognitivismo critico, delle neuroscienze. Chissà come ci si sente ad aver allungato la vita a Lacan, lo psicoanalista che Umberto Eco definisce «adorabile, stregonesco, spietato. Un seduttore». Vediamo.
Nel libro racconta l’importanza che ha avuto per lei, neolaureato in filosofia, capire poco o niente del testo di Lacan, sbattere contro il muro illeggibile dei suoi scritti. Perché dunque tanto impegno nel renderlo più accessibile?
«Per un verso proprio perché ho seguito le sue indicazioni: “Fate come me, non imitatemi”. Niente di peggio che imitare il maestro. Io non ho imitato il suo stile, ho seguito la mia inclinazione che mi porta a essere più cartesiano, meno aforismatico. Amo essere chiaro, la chiarezza è il mio stile di lavoro. Negli anni ‘70 abbiamo assistito a scimmiottamenti farseschi di Lacan. Psicoanalisti che si vestivano come lui, parlavano come lui. Ma parlavano a vuoto. Un erede, io non so se lo sono, è fedele al maestro, ma fedeltà non è riproduzione».
Leggendo Lacan si ha l’impressione di un edificio esplicativo assoluto, un congegno che non ammette contraddizione, una macchina interpretativa satura. Non è soffocante vivere dentro una teoria clinica che ha una parola per tutto?
«La dimensione del congegno esiste ed è l’effetto del rapporto di Lacan con lo strutturalismo (da cui anche le sue formule, l’algebra, ecc). Il suo pensiero clinico ha una forte tendenza alla logica. Il suo sforzo teoretico è trasformare, direbbe lui, i nostri patemi in matemi, cioè concetti trasmissibili. Al tempo stesso l’originalità liberatoria di Lacan – un sovversivo che ha rilanciato la psicoanalisi come esperienza di libertà – è aver inserito in questo sistema la dimensione irriducibile della clinica dell’uno per uno. Mai la generalizzazione. Lacan rovescia la sentenza di Wittgenstein per cui “Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere” dicendo che è invece proprio di ciò che non sappiamo che dobbiamo provare a dire. Pur sapendo che tutto il suo congegno non sarà mai sufficiente a dire il mistero dell’esistenza. Ma quando incontriamo un paziente bisogna dimenticare gli altri. Mai la comparazione. È anche un antidoto contro i rischi di una mistica della psicoanalisi».
 
Segue qui:
http://www.repubblica.it/venerdi/libri/2016/03/02/news/lacan_il_criptico_spiegato_ai_mortali_in_due_volumi-134633929/

LE PASSIONI TRISTI DI BENASAYAG

di Pietro Barbetta, doppiozero.com, 4 marzo 2016
 
Gli psi
Sono usciti di recente in Italia due libri di Miguel Benasayag: Oltre le passioni tristi, per Feltrinelli, e Il cervello aumentato, l’uomo diminuito, per Erickson. Benasayag merita attenzione, come scrittore e come clinico, per il suo pensiero e la sua biografia. Una biografia che non è solo legata alla formazione più o meno classica, ma che si avvale di un’esperienza vissuta intensamente, in cui l’autore ha provato “sulla pelle” la tortura e gli eventi storici del golpe argentino, l’oppressione sociale e la dittatura. A poco più di dieci anni da L’epoca delle passioni tristi – Les passions tristes, scritto con Gerard Schmit – Benasayag scrive, oggi, Oltre le passioni tristi. L’epoca delle passioni tristi è superata. Fin qui siamo alla buona riuscita di un espediente editoriale. In realtà il testo francese ha un altro titolo: Clinique du mal-être, con un lungo sottotitolo che potrebbe essere tradotto con: gli psi di fronte alle nuove sofferenze psichiche. Ma chi sono gli psi? Con questo termine credo che Benasayag intenda: psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, psicoanalisti di ogni scuola e tendenza. In realtà Benasayag critica anzitutto la psicoanalisi classica e le nuove terapie cognitivo-comportamentali.
La psicoanalisi
Clinique du mal-être si compone di una pars destruens e di una pars construens. La pars destruens è una critica alla psicoanalisi classica e alla sua incapacità di cogliere i cambiamenti sociali in atto. Prima ancora di cominciare la sua disamina, Benasayag scrive: “Fino alla fine del secolo scorso, la consultazione psicoanalitica tipica si fondava sulla convinzione (condivisa dal paziente e dal terapeuta) che al cuore della sofferenza del paziente si celasse un significato criptato che avrebbe consentito di spiegare la sua incrinatura (se non di farlo guarire)” (p.27). Era un’epoca diversa per varie ragioni: il tempo era vissuto in modo diverso (o semplicemente esisteva un “tempo vissuto”), il soggetto individuale possedeva “protesi” (l’orologio, l’automobile, ecc.), ma non era protesi delle sue protesi (cellulare, computer, ecc.). C’era ancora una certa resistenza dell’otium al dominio del negotium. La psicoanalisi si era alimentata di questa differenza ricostruendo, in piena modernità, un setting per raccontare la vita, momento per momento, durante la terapia. Tuttavia, come osservarono, negli anni Settanta, Elvio Fachinelli e Michel Foucault, tutto ciò era privilegio delle classi ricche e intellettuali. La psicoanalisi era dunque un po’ come la democrazia di Atene. La stessa psicoanalisi, quando venne applicata a contesti psichiatrici, o di povertà e dissonanza etnica, si rivelò spesso un disastro.
Benasayag non si riferisce unicamente all’Ego-Psychologyanglosassone. Le sue critiche si rivolgono anche all’altra sponda del freudismo: la psicoanalisi lacaniana. In questo secondo caso Benasayag mette in evidenza l’avversione all’Anti-Edipo – nota opera di Gilles Deleuze e Felix Guattari – da parte di molti psicoanalisti lacaniani. Secondo Benasayag: “L’Anti-Edipo contiene la critica senza dubbio più giusta, fondata e insieme radicale, del concetto di ‘complesso di Edipo’ come fabbricazione di individui: in sostanza funziona come un imbuto che familiarizza ogni conflitto, ogni desiderio, ogni tropismo” (p. 60). Se il desiderio si presenta come unconatus puramente individuale, il soggetto non assume quella dimensione collettiva che gli permette di uscire dalla dinamica neoliberista dell’adattamento sociale. Così la prescrizione “non esitare di fronte al tuo desiderio” si trasforma in responsabilità individuale – in alcune interpretazioni del lacanismo – a perseguire il “successo”. La domanda che sembra porsi Benasayag è: qual è la differenza tra successo e riconoscimento? Farei un solo esempio (clinico e letterario): Umberto Poli, nel suo percorso terapeutico con Edoardo Weiss, è diventato Umberto Saba per un’operazione di marketing? Oppure perché nella sua poetica riconosciamo una soggettività condivisa e collettiva? Il cambiamento del “nome proprio”, e la scelta di “Saba”, in questo caso, non è precisamente un Anti-Edipo? Una liberazione di risorse immaginarie, che contribuisce a rendere la poesia di Saba eterna? L’Edipo, come sostengono Deleuze e Guattari, diventa principio autoritario quando “rinforza” (termine behaviourista!) l’identità. E la psicoanalisi diventa imbuto attraverso il quale passare per assoggettarsi al trend contemporaneo. “Tra questo ‘soggetto desiderante’ della psicoanalisi europea e la ‘psicologia dell’io’ di origine americana si possono certo rilevare delle differenze, soprattutto teoriche. Ma in fin dei conti, in entrambi i casi, si tratterà sempre di costruire l’individuo come atomo finale…” (p.61).
 
Segue qui:
http://www.doppiozero.com/rubriche/4270/201602/le-passioni-tristi-di-benasayag

SI DISCUTE DI LEGGE SUL FINE VITA. SE DIO VUOLE. Da Eluana Englaro sino ai giorni nostri. Storia di un appuntamento mancato 

di Maurizio Montanari, lettera43.it, 5 marzo 2016
 
Si parlerà di ‘buona morte’ in Commissione Affari Sociali. La notizia è di questi giorni, anche se il ritardo con il quale questo tema si affronta, non lascia presagire nulla di buono per un’eventuale legge sul fine vita e sul testamento biologico. Il ritardo nella discussione delle legge sul testamento biologico ci ricorda impietosamente quanto l’Italia rappresenti un unicum europeo, uno Stato che legifera abdicando sovente a derive confessionali, o a furori di popolo che reclamano il diritto a cure mediche non fondate su alcuna validazione scientifica. Uno Stato che non vuole prendere atto di quell’insieme di regole e leggi non legali, ma accettate e condivise, che a tutti gli effetti sono la vera ossatura del nostro paese.
E’ IL 1992 quando Eluana ha un incidente che da subito si dimostra fatale. Da quel giorno in poi seguiranno 11 anni di battaglie legali e di sentenze, attraversando le quali l’azione solitaria di Beppino ha messo in evidenza tutte le contraddizioni del sistema giuridico e politico, costretto ad arrancare a volte violentemente, altre goffamente, nel tentativo di fermarlo.  L’attuale mancanza di una legge sul testamento biologico non è un caso. Non può esserlo, specie dopo questo calvario laico al quale è stato sottoposto Englaro. Si tratta di un vacuum che rappresenta bene quali siano le conseguenze di quello che Lacan ha definito il tramonto dell’Altro. Testimonianza ulteriore di quanto l’applicazione della psicoanalisi al legame sociale (la psicoanalisi applicata), possa fornire chiavi di lettura del contemporaneo. Il dissolversi di questo Altro, (quell’insieme di codici, regole, usanze, che plasma e orienta il legame sociale) ha lasciato un enorme spazio vuoto, sul quale diverse istanze si affacciano ed hanno, mai come in questo momento, lo scopo di orientare i mores.  Nuove entità (Big Pharma su tutte) emanano nuovi linguaggi ai quali il legame sociale si adatta. Mai come nel campo del ‘fine vita’ questo spazio legislativo lasciato vacante è stato terreno di conquista di pulsioni religiose o pseudoreligiose, marcando l’insufficienza di una legge che non vuole formalizzarsi, e nemmeno vuole prendere in considerazione la realtà dei fatti.
Quale fu il ruolo di Beppino Englaro? Perché un accanimento cosi’ pervicace operato contro di lui, un uomo solo, al quale il parlamento sembrava dare la caccia? A tutti gli effetti egli incarnò quella posizione di Kinico di cui parla S. Zizek, vale a dire colui che si prende il compito di scoperchiare, divellere, gettare in pasto all’opinione pubblica l’oscenità nascosta, ma da tutti conosciuta.
Accompagnare un malato terminale al crepuscolo della vita attraverso l’uso compassionevole degli strumenti medici, è pratica diffusa. Nota. Accettata e, in molti casi, cercata dalle famiglie. Pratica che però confligge con la lex italiana, la quale minaccia il medico e lo mette perennemente a rischio di processo, qualora qualcuno scorga un intento di eutanasia nel suo somministrare morfina quando il dolore dello sventurato va oltre la soglia. Englaro ha accompagnato il legislatore sul balcone del quotidiano, ha aperto le finestre, e ha mostrano questo: ogni giorno, in tante parti d’Italia, decine e decine di medici, a rischio di incriminazione, stanno vicini ai malati terminali scegliendo di non protrarre forme di accanimento terapeutico. Dunque, a tutti gli effetti, il sistema per alleviare le pene di un fine vita terribile, esiste.  Allora il legislatore preferì obbedire all’Altro religioso, coinvolgendo il governo in una delle piu’ assurde e dolorose rincorse mai operate ad un cittadino. Una slavina confessionale tracimò in parlamento occupandolo. Il legislatore preferì chiamarsi fuori, subordinando il suo mandato all’interpretazione della parole di un Dio che appariva non già il Dio della Misericordia, quanto una divinità Maya, se davvero le sue volontà dettavano la sofferenza sine die per uomini che mai avrebbero conosciuto la guarigione.
 
Segue qui:
http://www.lettera43.it/blog/la-stanza-101-lo-sguardo-di-uno-psicoanalista-sul-contemporaneo/legame-sociale/si-discute-di-legge-sul-fine-vita-se-dio-vuole_43675237116.htm
 

L’ERBA VOGLIO DI UN DISSIDENTE E LE SUE PROFETICHE DIAGNOSI. «L’attualità inattuale di Elvio Fachinelli», il saggio curato da Lea Melandri per le edizioni ipoc press

di Alessandra Pigliaru, ilmanifesto.info, 5 marzo 2016
 
È un volume importante quello curato da Lea Melandri e dedicato aL’attualità inattuale di Elvio Fachinelli (ipoc press, pp. 142, euro 16). Non solo per il tenore rigoroso e appassionato dei saggi di Manuela Fraire, Ambrogio Cozzi, Fabio Fiorelli, Romano Màdera, Nicole Janigro, Antonio Prete, Antonello Sciacchitano e della stessa Melandri; l’efficacia e la solidità del testo, apparecchiato per lo studio e l’approfondimento e con una bibliografia più che eccellente e completa, risiedono nel dare conto di un percorso più lungo, complesso che porta a una chiarificazione di alcuni passaggi capitali del pensiero e dell’opera di un intellettuale dissidente, eccentrico e articolato come Fachinelli. L’avvio è certamente dettato dal desiderio di Lea Melandri che negli anni non solo ha condiviso con Fachinelli gioie e dolori di molte iniziative politiche – tra le quali la più nota è l’esperienza della rivista L’erba voglio (animata dal 1971 al 1977) – ma ne ha sempre sottolineato il portato teorico e politico imprescindibile, partecipando a incontri pubblici e, tra le ultime imprese, al numero monografico che aut aut ha preparato su Elvio Fachinelli. Un freudiano di giudizio (352/2011), piuttosto articolato e utile per leggere anche alcuni materiali già introvabili cinque anni fa. Fuori commercio perché depositati in sedi difficili da consultare, si trattava in quel caso di comporre una piccola mappa che fornisse un vademecum sui primi e necessari scritti dell’autore trentino.
Nel crocevia tra psicoanalisi e pratica politica, Melandri dettaglia ora e con maggiore agio l’elemento di novità – sia nel linguaggio sia nel metodo: questioni entrambe che in Fachinelli ben si attagliano al partire da sé, in questo con un punto di congiunzione con quanto negli anni Settanta le donne già praticavano.
 
Segue qui:
http://ilmanifesto.info/intense-diagnosi-della-realta-tra-psicoanalisi-e-politica/

UN TENTATIVO DI DIALOGO: FACHINELLI E PASOLINI NEL 1974. «Dall’età dell’innocenza siamo passati all’età della corruzione», affermava Pier Paolo Pasolini in un’intervista del 1973. Una dicotomia efficace, ma semplicistica. Così almeno apparve al grande psicoanalista Elvio Fachinelli – di cui in questi giorni arriva in libreria per i tipi di DeriveApprodi la raccolta di scritti “Al cuore delle cose”. Poteva essere l’inizio di un dialogo, ma l’isolamento pasoliniano ebbe la meglio

di Dario Borso, vita.it, 6 marzo 2016
 
L’11 gennaio 1974 lo psicanalista Elvio Fachinelli scrisse una lettera a Pier Paolo Pasolini dopo aver letto sull’«Espresso» il resoconto di una polemica con Edoardo Sanguineti, che iniziava con brani del pasoliniano Sfida ai dirigenti della Rai apparso sul «Corriere della sera» del 9 dicembre precedente: «Nessun centralismo fascista è riuscito a fare ciò che ha fatto il centralismo della civiltà dei consumi. Il Fascismo proponeva un modello, reazionario e monumentale, che però restava lettera morta… Oggi, al contrario, l’adesione ai modelli imposti dal Centro, è totale e incondizionata… Si può dunque affermare che la “tolleranza” della ideologia edonistica voluta dal nuovo Potere, è la peggiore delle repressioni della storia umana… Fino a pochi anni fa, i sottoproletari rispettavano la cultura, erano fieri del proprio modello popolare di analfabeti in possesso però del mistero della realtà, ora cominciano a vergognarsi della loro ignoranza, abiurano dal proprio modello culturale».
Il giornalista citava poi altri bani della replica sanguinetiana apparsa su «Paese sera» del 27 dicembre: «Sono proprio dei cafoni, i sottoproletari dei nostri tempi! Perduta la splendida “rozzezza” di un tempo, non hanno più soggezione per il latinorum del signor curato… Felici gli analfabeti d’una volta che erano analfabeti veri, interi, tutti come si deve, tutti con il “mistero”, zitti, ordinati e contenti, con l’Eiar e il Dopolavoro… Marx però era stato assai poco sensibile alla “irripetibile bellezza contadina”, la quale aveva anzi sbugiardato come “sfruttamento mascherato di illusioni religiose e politiche”».
Infine, riportava un’esternazione di Pasolini: «Il fascismo non disponeva altro che della Chiesa, della retorica e delle squadre d’azione, per piegare al suo volere il popolo italiano… Ma questi qui hanno la televisione, che raggiunge tutti. Cosa ne sa Sanguineti, vissuto tra il salotto e la scuola, della vita popolare? Lo sapevamo gente come me, Penna, Comisso, esplosi fuori dal bozzolo borghese, esclusi, reietti, costretti a non vivere se non confusi dentro il popolo, nascosti dentro la sua oscura, anonima protezione. Sì, la vita popolare d’allora era più felice, perché così appartata che neppure il fascismo riusciva del tutto a contaminarla».
 
Segue qui:
http://www.vita.it/it/article/2016/03/06/un-tentativo-di-dialogo-fachinelli-e-pasolini-nel-1974/138534/

NON SI RIDICOLIZZA IL REALE. LA LEZIONE DI ELVIO FACHINELLI. Una psicoanalisi della domanda e non della risposta. Fu questa la lezione di Elvio Fachinelli, lo psicoanalista scomparso nel 1989, che nell’Italia vedeva una “tragedia continua, alla quale manca sempre l’ultimo atto”. Oggi, una raccolta dei suoi interventi e dei suoi articoli sulla realtà italiana, rilancia la questione: siamo sempre il Paese delle chiacchiere e delle lacrime o sappiamo andare oltre?

di Marco Dotti, vita.it, 6 marzo 2016
 
ll 21 dicembre 1989, un giovedì, a Milano, moriva Elvio Fachinelli. In quelle ore, in un altrove che credevamo non ci riguardasse troppo ma coglieva forse meglio e certo più di tanti scenari il cuore infinitamente nero del nostro tempo che proprio Fachinelli aveva saputo indagare con il rigore eccentrico del flâneur, Nicolae Ceausescu, uno di quei piccoli uomini senza rigore e senza smalto che talvolta fanno la storia, si affacciava dal suo palazzo presidenziale e ripeteva una menzogna di lungo corso.
Nelle parole pronunciate in quello che fu il suo ultimo discorso pubblico, il conducător mostrava un misto di incredulità e disprezzo. Incredulità rispetto ai fatti di Timişoara, alle rivolte, ai minatori, allo sgomento per la “necessaria” repressione. Disprezzo per una una realtà che non solo gli era sfuggita di mano, ma proprio non vedeva più, continuando imperterrito a parlare di “società plurilateralmente sviluppata” e di “splendore del socialismo romeno”. Il giorno dopo, di quello splendore e di quello “sviluppo onnilaterale” sarebbe rimasta solo la polvere. Il ritorno all’ordine non aveva avuto luogo. E noi, scomparso Fachinelli, avevamo uno sguardo in meno per cogliere ciò che davvero stava mutando fuori, dentro e persino oltre di noi.
Elvio Fachinelli era nato a Luserna, in Trentino, nel dicembre di sessantun anni prima. Aveva trascorso gli anni dell’infanzia a Melun, una cinquantina di chilometri da Parigi, dove si erano trasferiti i genitori – il padre era impegnato nel settore edile -, si era laureato in medicina a Pavia, specializzato all’Ospedale Maggiore di Milano dove conobbe Enzo Morpurgo, cominciò a lavorare presso una casa di cura, tra i suoi colleghi figurava anche Franco Fornari, e infine fu avviato all’analisi da Cesare Musatti.
“Probabilmente, con i criteri attuali”, osserverà Fachinelli, “sarebbe giudicata un’analisi selvaggia – come del resto le analisi fatte dalle prime generazioni di psicoanalisti. Eppure secondo me è stata una buona analisi: ho ricevuto sorprese, e questo per me è fondamentale in ogni analisi. Ho imparato e mi sono anche divertito”. Servirebbe tutta un’archeologia di quegli incontri e di quei – topologicamente parlando – “divertimenti” per capire il “dopo” di una delle teste più lucide e attive dell’altra cultura, quella né contro per posa, né dentro per vocazione. Semplicemente diretta al cuore delle cose.
 
Segue qui:
http://www.vita.it/it/article/2016/03/06/non-si-ridicolizza-il-reale-la-lezione-di-elvio-fachinelli/138535/

IL SONNO DELLA RAGIONE NON GENERA SEMPRE MOSTRI

di Francesca Bolino, repubblica.it, 6 marzo 2016
 
Pensavate di sapere tutto sui sogni e invece non è così. È passato più di un secolo da L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud, decenni in cui gli scienziati hanno raccolto elementi classificati in gigantesche banche dati, alimentate dagli studi sul cervello. Grazie alle neuroscienze è ora possibile indagare i nostri meccanismi più segreti con una precisione nemmeno immaginabile ai tempi di Freud. Il risultato di tutto questo lavoro è che i sogni sono molto di più dell’espressione dei desideri inconsci, sono «una chiave per risolvere l’enigma della nostra coscienza: essi ci permettono di riconoscere in che modo il nostro cervello produce quella che noi percepiamo come realtà».
 
Segue qui:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/03/06/il-sonno-della-ragione-non-genera-sempre-mostri46.html?ref=search

ORIENTARSI SULL’OMOGENITORIALITÀ. LA FAMIGLIA È CULTURALE

di Vittorio Lingiardi, Il Sole 24 Ore, 6 marzo 2016
 
Non siamo figli per nostra volontà. Molti sono concepiti senza essere pensati, altri sono cercati a tutti i costi, la maggior parte arriva percorrendo una delle tante strade comprese tra questi due estremi. Ogni concepimento, nascita, adozione, ha una sua storia da raccontare, più o meno consapevole, più o meno fortunata. Qual è il “vero” genitore? Quello che mette a disposizione la propria biologia o quello che cresce i figli fornendo cure e sicurezza? Quello che concepisce per caso o per sbaglio o quello che desidera e attende? E che cosa è una famiglia? Per Natalia Ginzburg «una famiglia è anche, forse soprattutto, fatta di voci che si intrecciano, è un linguaggio comprensibile solo a chi lo pratica, una rete di ricordi e richiami». Nel 1888 (avete letto bene) Émile Durkheim, padre della sociologia, scrive: «non esiste un modo di essere e di vivere che sia il migliore di tutti […] La famiglia di oggi non è né più né meno perfetta di quella di una volta: è diversa, perché le circostanze sono diverse».
Nonostante la storia ci mostri i continui cambiamenti di forma e contenuto della famiglia, per alcuni questa parola non evoca una costruzione relazionale di affetti e progetti tale da giustificare l’uso del plurale (famiglie), ma coincide solo con l’immagine di un uomo e di una donna sposati, monogami, eterosessuali e fertili. Tutto ciò che sta fuori da questo modello viene, implicitamente o esplicitamente, delegittimato: famiglie con genitori adottivi, madri lesbiche e padri gay, madri e padri single, famiglie create ricorrendo alle tecniche di riproduzione assistita. I ripetuti inni al “naturale” (quindi niente antibiotici e anticoncezionali?), sono evidentemente ignari di quanto “culturale” sia la nostra cangiante idea (ideale) di “natura”.
 
Segue qui:
http://www.iniziativalaica.it/?p=30271
 

SILVIA VEGETTI FINZI A PROPOSITO DELL’8 MARZO. La psicologa e saggista italiana sul femminismo, sulla donna oggetto nella pubblicità, sul femminicidio e sulla minaccia islamista alla libertà femminile nell’Occidente

di Rocco Notarangelo, cooperazione.ch, 7 marzo 2016
 
Attraverso saggi e articoli, sin dagli anni Settanta, la psicoterapeuta Silvia Vegetti Finzi ha esplorato l’universo familiare, le dinamiche della coppia e i rapporti genitori-figli. È stata anche protagonista del movimento femminista italiano.
Qual è il suo bilancio sul femminismo? Oggi le donne sono più libere di 50 anni fa, hanno conquistato divorzio, aborto, parità nel diritto matrimoniale, ma subiscono ancora discriminazioni sul lavoro, in famiglia…
È proprio così. Il livello dei risultati raggiunti non è stabile. Molte discriminazioni, quella salariale, sulla rappresentanza politica, persistono. Se però volgo lo sguardo ai miei «anni Cinquanta», non posso non constatare i grandi progressi che si sono fatti in termini di diritti civili e di consapevolezza delle donne. Nel 1971, a Milano, quando ho iniziato a lavorare nei consultori pubblici, l’adulterio femminile, non quello maschile, era un reato, penalmente perseguibile! Peccato che oggi le giovani donne diano tutto per scontato e non si rendano conto dell’eredità che hanno ricevuto dalle generazioni delle nonne e delle mamme.
La famiglia è oggi disgregata. Tanti puntano il dito sul ruolo dominante della donna-madre, che ha reso marginale la figura paterna. Qual è la sua opinione?
Come dice Jacques Lacan, assistiamo a una «evaporazione» delle figura paterna. Ma entrambe le funzioni, paterna e materna, sono necessarie per crescere i figli. Sono favorevole ad una valorizzazione del ruolo paterno. In questi ultimi 50 anni gli uomini sono scappati, hanno preferito ritirarsi invece di mettersi in discussione e di confrontarsi con le donne. Bisogna richiamarli al loro posto di padri. Ma non secondo il vecchio modello del padre-padrone, non più recuperabile. La famiglia va ripensata. Ci vuole una nuova alleanza tra marito e moglie, tra padre e madre.
 
Segue qui:
http://www.cooperazione.ch/Silvia+Vegetti+Finzi++a+proposito+dell_8+marzo

IL FINE DELLA TORTURA È LA TORTURA. QUANDO LA DROGA È USATA PER NON VEDERE L’ORRORE

di Maurizio Montanari, lettera43.it, 8 marzo 2016
 
Allora, io non ti voglio prendere per il culo, okay? Non me ne frega un beneamato cazzo di quello che sai, di quello che non sai. Tanto ti torturo lo stesso. Comunque sia, non per avere informazioni. Il fatto è che mi diverte torturare uno sbirro. Puoi dire quello che vuoi, tanto non mi fa nessun effetto. Tutto quello che puoi fare è invocare una morte rapida… Cosa che tanto non otterrai.
Le ragioni dell’omicidio consumatosi in quell’appartamento di Roma, nel quale due amici hanno scelto una vittima e l’hanno torturata sino alla morte, va ricercata nelle parole pronunciate Mr Blonde che si accinge a seviziare un poliziotto nel film ‘ Le Iene’. Parliamo di individui perversi, nella fattispecie sadici, nelle menti dei quali non c’è altro fine che non sia il puro piacere di infliggere dolore. Non esiste una logica che non sia una puro esercizio del sadismo. Secondo Lacan il perverso è colui che ‘sa far vibrare le corde dell’angoscia’ nella sua vittima. Lo scopo finale del suo agire non è la morte del partner, che arriva, di solito, solo alla fine della prevaricazione, quando cioè l’oggetto ‘si rompe’.  Il fine ultimo è poter esercitare una sorta di diritto di uso ed abuso sull’altro, constatare in maniera crescente quanto egli riesca ad angosciare la vittima, a tenerla nel gioco delle sue mani e della sua pressione psicologica. Un godimento illimitato nel ridurre l’altro a oggetto manipolabile sino alle estreme conseguenze. Nel film ‘Hostel’, uomini provenienti da diverse parti del mondo pagano ad una sorta di ‘albergo degli orrori’ denaro sonante per potere avere a loro completa disposizione una vittima, scelta anch’essa a caso, sulla esercitare le loro piu’ recondite capacità di infliggere dolore e dominazione.
 
Segue qui:
http://www.lettera43.it/blog/la-stanza-101-lo-sguardo-di-uno-psicoanalista-sul-contemporaneo/legame-sociale/il-fine-della-tortura-e-la-tortura-quando-la-droga-e-usata-per-non-vedere-l-orrore_43675237475.htm

LUCA VARANI: L’ATTIMO DI FOLLIA PUÒ CAPITARE A CHIUNQUE?

di Luciano Casolari, ilfattoquotidiano.it, 8 marzo 2016
 
Caino uccide Abele e poi comincia disperarsi per l’atto compiuto. Se noi andiamo a leggere quello che era successo prima scopriamo che Abele aveva donato a Dio degli animali ed era stato apprezzato, mentre Caino aveva donato della frutta che era stata rigettata. In termini psicologici era quindi già avvenuto qualcosa che aveva posto i semi in Caino di un insano rancore verso il fratello. Verso la fine della sua vita nel 1920 Freud arriva ad elaborare l’esistenza, accanto all’impulso alla vita (Eros) un, analogamente intenso, impulso alla morte (Thanatos) che definì come tendenza di tutti gli esseri viventi a ritornare allo stato originario inorganico. Secondo la M. Klein, allieva di Freud, le tendenze masochistiche sono primarie e quelle sadiche ne sono una estroflessione. Di fronte al comportamento dei giovani romani che hanno ucciso in modo sadico Luca Varani “solo per provare a vedere che effetto fa” viene spontaneo, come ho fatto io nelle righe precedenti la ricerca di un “perché?”. La nostra mente non accetta ed ha una paura folle del vuoto razionale. Dietro c’è il timore, più o meno nascosto, di “essere come loro e che potrebbe capitare anche a me”. Ma certo che capiterebbe anche a me!
 
Segue qui:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/03/08/luca-varani-lattimo-di-follia-puo-capitare-a-chiunque/2529760/
 

UCCIDERE PER VEDERE L’EFFETTO CHE FA È FATUITÀ SCHIZOFRENICA NON IL MALE

di Carlo Patrignani, formiche.net, 8 marzo 2016
 
Uccidere qualcuno sotto una spinta irrefrenabile a fare del male solo per vedere, da vicino, l’effetto che fa: non è il Male che albergherebbe dentro ogni essere umano per cui sarebbe un potenziale assassino, ma è malattia mentale e nello specifico fatuità schizofrenica. Lo dice, senza esitazione alcuna, lo psichiatra e psicoterapeuta Martino Riggio che, a differenza dello psicoanalista lacaniano Massimo Recalcati, tanto amato da La Repubblica, alla trita storiella del Male insisto nell’essere umano non crede affatto e al Male contrappone la malattia mentale, parola pressocché abolita dal lessico.
Due studenti universitari trentenni della Roma-bene, apparentemente normali, Manuel Foffo e Marco Prato, di certo non due emarginati, hanno messo in scena al quartiere Collatino un delitto efferato e senza motivo, preparato e programmato nei minimi dettagli, ai danni di un loro amico, il 23enne Luca Varani. Questa l’analisi dello psichiatra: Purtroppo si fa fatica ad accettare che la malattia mentale, perché di questo si tratta, stia nella cosiddetta apparente normalità, per cui, come fa Recalcati su La Repubblica, non si nomina neanche la malattia mentale e si cercano altrove le cause, mentre siamo in presenza di un sintomo chiaro di schizofrenia: dire volevamo vedere l’effetto che fa, è fatuità schizofrenica. La droga per me c’entra poco o nulla e con ciò non intendo affatto giustificarne l’uso.
 
Segue qui:
http://formiche.net/2016/03/08/uccidere-per-vedere-leffetto-che-e-fatuita-schizofrenica-non-il-male/
 

GALANTUOMO A CHI? Il tempo è un delinquente, rende attraenti anche le cose peggiori. Fin dai tempi di Adamo ed Eva

di Umberto Silva, ilfoglio.it, 9 marzo 2016
 
Coloro che furono e sono sgozzati dall’Isis vivono nel nostro cuore, ancora per poco. Altro urge, di più attraente. Come tutte le umane ferocie, anche quelle dell’Isis prima o poi saranno apprezzate e gli assassini esaltati e premiati; basti pensare alla medaglia testé conferita al signor Kusterer dal sindaco tedesco per i grandi servigi resi ai bambini di Marzabotto, che a suo tempo bruciò e mitragliò affinché senz’ombra di colpa si presentassero in cielo. Il tempo non è un galantuomo ma un delinquente; quell’Assad che ha sterminato il suo popolo ora è disposto a concedergli un condono tombale, felice di assolvere la sua gente dal crimine di essere morta. Il tempo è un mascalzone, le teste tagliate dalla rivoluzione francese furono ben più di quelle dell’Isis, almeno trentamila, e molti erano colli di nobili fanciulle; si è pianto su di loro solo per qualche giorno, che subito ci pensò Napoleone a lever l’étendard sanglant facendo a pezzi milioni di ragazzi. Punizione: osanna per la Révolution e monumenti per Napoleone. La Grandeur è fatta d’infinite bassezze.
Il tempo, il delitto, il peccato. Leggo di un tizio che si scandalizza di come, per duemila anni, si sia potuto adorare un Dio che per una pippa mandava il reprobo all’inferno per l’eternità. Che mostro, un torturatore miliardi di volte peggiore di Hitler! Sennonché Dio non ha mai fatto e neppure detto cose simili, questa notte gliel’ho chiesto ed è scoppiato in una risata: “Eh, ’sti uomini”. Sadico era il suo figliolo Gesù? Figurarsi, si fece torturare e morì per noi tutti, Barabba compreso. Allora, di chi è l’idea dell’inferno eterno? Dei preti, e dei sovrani che foraggiavano la religio, instrumentum regni? Beh, dobbiamo ringraziarli, senza questo spauracchio gli umani avrebbero fatto molto peggio. Inoltre ci hanno regalato il paradiso, che per tanti secoli ha confortato i disgraziati, i moribondi e un po’ tutti quanti. Adesso che il paradiso è scomparso fin dalle prediche, siamo tutti diventati consapevoli e aggiornati, sicché quando arriva il momento di finire nel nulla eterno ci vengono certe facce lunghe lunghe.
 
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/03/09/galantuomo-a-chi___1-vr-139176-rubriche_c265.htm

QUELL’OMICIDIO A ROMA PER “VEDERE L’EFFETTO CHE FA” STRAPPARSI L’ANIMA DI DOSSO. Se non la titanica pretesa di un godimento senza se e senza ma, cosa può avere spinto negli inferi i due ragazzi romani? La droga, okey. La droga stimola, aiuta e benedice i macelli, ma non basta, qualcosa d’altro ha scatenato i due

di Umberto Silva, ilfoglio.it, 10 marzo 2016
 
Circeo, 29 settembre 1975, notte sadica di rara ferocia, organizzata da gente sicura di cavarsela, poco a che fare con i due ragazzi assassini di questi giorni: consumato il delitto, si sono disciolti nel nulla addormentandosi accanto al morto. E allora, se non la titanica pretesa di un godimento senza se e senza ma, cosa può avere spinto negli inferi i due ragazzi romani? La droga, okey, molta droga profumatamente pagata. La s’invoca ad attenuante, ma quella coca che tutto assolve è in realtà un’aggravante, e finalmente il governo ha preso provvedimenti contro i drogati e gli alcolisti che si divertono ad ammazzare i passanti. La droga stimola, aiuta e benedice i macelli, ma non basta, qualcosa d’altro ha scatenato i due. Rilasciano la sensazione che a un certo punto si siano stancati di avere un’anima e se la siano strappata di dosso, ansiosi di – parole di uno di loro – “vedere che effetto fa”, che effetto fa uccidere e veder morire, se stessi innanzitutto: la morte dell’anima. Si sono eccitati e incoraggiati l’un l’altro, da soli non ce l’avrebbero fatta: è la strafottente amicizia tra uomini a permettere certe azioni. Come quando vanno in gruppo a stuprare le ragazze – che poco contano, anche se qualche strillo angosciato fa ridere gli aguzzini – ma assai più per mostrare al proprio compagno di porcate com’è possibile non fermarsi davanti a niente.
 
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/cronache/2016/03/10/quellomicidio-a-roma-per-vedere-leffetto-che-fa-strapparsi-lanima-di-dosso___1-v-139250-rubriche_c677.htm
 
 
I più recenti pezzi apparsi sui quotidiani di Massimo Recalcati e Sarantis Thanopulos sono disponibili su questo sito rispettivamente ai link:
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4545
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4788
 
Da segnalare anche la rubrica
"Mente ad arte, percorsi artistici di psicopatologia nel cinema ed oltre, di Matteo Balestrieri al link 
http://www.psychiatryonline.it/rubrica/4682
 
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com

Loading

Autore

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia