Ogni volta che passava per Milano – siamo negli anni Settanta – Lacan faceva visita a Fachinelli o gli lasciava un biglietto per dirgli che l’aveva cercato.
Cosa cercava Lacan in Fachinelli?
Per rispondere a questa domanda bisogna aver ben presente il sintomo (o la sublimazione?) di Lacan. Più vicino alla perversione che alla nevrosi, il sintomo di Lacan, che si poneva in posizione di maestro, era mes élèves; gli allievi erano il feticcio di Lacan. Riuscì ad averne un migliaio, che seguivano i suoi seminari; il top, se non sbaglio, ai seminari su Joyce senza inconscio.
Non soddisfatto di mille, Lacan cercava l’uno. Fachinelli era l’uno che gli mancava. Cosa aveva di speciale Elvio? Semplice: Elvio era un lacaniano pensante; era diverso dagli allievi parigini di Lacan, che erano semplicemente lacaniani. Cosa pensava Elvio? Pensava la psicanalisi del collettivo, una dimensione carente in Freud, fissato alla psicanalisi individuale, e appena abbozzata in Lacan con la teoria del discorso come legame sociale. Ma l’“Elvio cacato” praticava effettivamente – non solo pensava – una psicanalisi collettiva, cioè di tutti e per tutti, senza bisogno di indottrinare nessuno; la “faceva” all’asilo non autoritario di Porta Cicca, quartiere popolare e ai tempi degradato di Milano.
Insomma, Elvio era il prezioso pezzo mancante alla collezione di allievi del maestro parigino. Il collezionista forse pensava di farlo suo, sfruttando la posizione ambigua – un po’ dentro, un po’ fuori – di Elvio rispetto alla società musattiana di psicanalisi. Ingenuo, il maestro. Elvio non entrò mai nel cerchio magico che il maestro cercava di disegnare in Italia, il “tripode” di Verdiglione, Contri, Drazien, che avrebbe dovuto formare il nucleo di una scuola lacaniana in Italia. Insomma, non glielo diede.
Dettagli personali a parte, che sono di scarso interesse, la lezione che il potenziale allievo diede all’attuale maestro, ha una rilevanza teorica non piccola, tuttora da recepire e che forse il maestro non recepì.
Si tratta della freudiana Versagung, che dovrebbe caratterizzare il regime in cui condurre l’analisi terapeutica. I freudiani ortodossi traducono con “frustrazione”, nel senso che in analisi non si dovrebbe soddisfare il desiderio del paziente. I lacaniani, che pretendono – wollen, si direbbe in tedesco – tornare a Freud, oscillano tra varie versioni: dalla “disdetta” al “diniego”, passando per l’improbabile dottrina morale lacaniana, per cui l’etica dello psicanalista sarebbe non cedere sul proprio desiderio.
Niente di tutto questo. La Versagung è la funzione dell’oggetto del desiderio che “non si concede” al soggetto. Sich versagen in tedesco significa “non concedersi” (la negazione è nel prefisso ver); non significa “dire di no”, ma “non dire di sì”; introduce così una sospensione temporale nel cui intervallo fa avvenire qualcosa del soggetto. La mia versione non antropomorfa di questa situazione è che l’oggetto del desiderio, essendo infinito, non si concede al soggetto finito. Ma non entro nei dettagli di una complessa topologia, che non ha niente a che vedere con la topologistica lacaniana. Mi limito a ricordare che, originario del Trentino, Elvio sapeva un po’ di tedesco. E diede una lezione di tedesco al maestro francese.
“Sich versagen in tedesco
“Sich versagen in tedesco significa “non concedersi” (la negazione è nel prefisso ver); non significa “dire di no”, ma “non dire di sì”; introduce così una sospensione temporale nel cui intervallo fa avvenire qualcosa del soggetto.” .. Questo mi sembra un punto rilevante: calibrare la dimensione ‘tempo’…in rapporto al singolo, specifico paziente.
Penso, senza il “forse”, che
Penso, senza il “forse”, che Lacan fosse un perverso, infatti aveva bisogno assoluto di “im-per-versare”. Come il collezionista tenta di saturare l’angoscia che provoca l’infinito (se lo si accosta con gli stumenti dell’ontologia), con una collezione completa di tutti i pezzi, così Lacan era furiosamente (la furia e la melanconia sono le due categorie delle follia dell’antichità..) dedicato a collezionare tutti gli allievi, soprattutto quelli pensanti e sguscianti alla sua presa , come Fachinelli. Elvio aveva capito con germanica lucidità (è stato traduttore di Freud per Boringhieri col cognome di Luserna) questa dinanica per cui, una volta diventato un pezzo della collezione degli allievi, avrebbe perso non solo la possibilità di pensare in proprio (e quindi di criticare anche il Maesto Assoluto) ma anche la possibilità di stuzzicare il desiderio di Lacan, sarebbe decaduto a semplice res senza più cogito.
Se ne deduce che non credo che Lacan avesse bisogno di lacaniani pensanti, ovvero che li desiderazze: Credo che li desiderasse fin quando il cogito dell’altro sfuggiava alla sua presa asfissiante. Dopo passava ad un altra preda….Bravo Elvio!!
p.s. il soggetto collettivo: pensarlo ed agirlo, questo è stato il potente antidoto di Fachinelli contro il veleno stordente del Maestro
Elvio era di etnia cimbra, di
Elvio era di etnia cimbra, di origine germanica.