E’ trascorso circa un mese da quando nella mia regione è esplosa improvvisa, per poi altrettanto bruscamente scomparire, sui giornali la preoccupazione che i posti letto nella residenzialità psichiatrica siano insufficienti. Preoccupazione supportata da numeri che ,a prima vista, certamente la giustificano. Lavoro nella salute mentale 38 ore la settimana da qualche anno, e di fronte a questi titoli mi sono sorpreso a chiedermi perché, nonostante i numeri, non mi pare che questo sia il principale problema della nostra assistenza. E mi è venuto in mente che forse il problema sia più complesso di quanto i numeri apparentemente dimostrino, e che anzi forse i numeri a volte ingannino anche chi li guarda certamente in buona fede. Perché la residenzialità in psichiatria è inserita in due diversi sistemi di vasi comunicanti, e i calcoli perciò devono essere particolarmente accurati. Il primo deriva da quando, col manicomio, la psichiatria era il più forte tra diversi circuiti di servizi alla persona, e fa sì che ancora oggi la residenzialità psichiatrica possa dare più o meno spesso risposta a bisogni che dovrebbero più propriamente afferire all’area dell’assistenza agli anziani, dei disabili, a volte anche dei soggetti senza casa e/o reddito, bisogni tutti che in natura non si presentano distinti ma nell’organizzazione del nostro welfare sì. Il secondo sistema di vasi comunicanti è interno all’assistenza psichiatrica e collega la residenzialità più specifica, o “pesante”, alla disponibilità di soluzioni più” leggere” e vicine all’abitare normale o alla possibilità di sostenere le persone a casa propria, il che influisce sulla necessità di posti letto residenziali sia in entrata, riducendone il bisogno, che in uscita, favorendo il turn-over. Questioni complesse, quindi, sulle quali spero che l’antica fiaba del saggio Re di Carabà e del modo in cui, nel suo antico reame, seppe sfuggire all’inganno dei numeri e affrontò questo problema possa aiutare a riflettere ….
C’era una volta, in un paese lontano, in un tempo lontano, un Re molto saggio, al quale i suoi consiglieri un giorno dissero, numeri alla mano, che non c’erano abbastanza posti nelle case speciali per i sudditi colpiti dalla follia che erano state aperte nel reame, e che perciò occorreva aprirne una nuova, più grande di tutte quelle fino allora costruite. Nel paese di Carabà, infatti, ogni tanto capitava che qualche persona venisse colpita dalla follia; per lo più poteva essere aiutata a casa propria, ma per chi proprio non ce la faceva erano state costruite case speciali, dove costoro potevano essere curati e assistiti stando in gruppi di qualche decina. Di lì avrebbero dovuto ritornare a casa guariti, ma questo non sempre era possibile, e così la necessità di queste case speciali tendeva a crescere negli anni. I consiglieri dissero al Re che molti erano i sudditi colpiti da follia in attesa di entrare nelle case speciali costruite per loro, che l’attesa durava spesso lungo tempo, e per molti di essi era stato necessario rivolgersi nel frattempo alle case speciali dei paesi confinanti, fuori dal reame; il Re guardò i numeri che gli venivano mostrati, e non poté che constatare che, apparentemente, i numeri confermavano quello che i suoi consiglieri gli dicevano.
Il saggio Re di Carabà, che ponderava sempre le proprie decisioni, decise però di non fermarsi ai numeri che aveva davanti e alla loro apparenza, e cominciò per prima cosa a mandare ambasciate ai Re dei paesi vicini, per sapere quante case speciali per i sudditi colpiti da follia avessero sul loro territorio; e non sapete quale fu la sua sorpresa quando scoprì che il suo reame era tra quelli che già ne aveva in numero maggiore! Allora, il saggio Re volle vederci più chiaro e, curioso di capire perché, ciononostante, le case speciali a Carabà non bastassero, cominciò a consultare i libri antichi nella polverosa biblioteca del castello, e scoprì che, fin dai secoli più lontani, uno strano incantesimo sembrava regolare le case speciali per i folli e far sì che, più numerose se ne aprivano, più la loro necessità cresceva, in un infinito inseguirsi che faceva sì che, per quante se ne aprissero di nuove, esse erano destinate come per magia a non sembrare mai abbastanza. Non solo; gli antichi libri gli mostrarono anche che, per un altro strano incantesimo, quando le case speciali per i sudditi colpiti da follia costruite erano più grandi, erano meno efficaci nell’aiutarli e nel farli guarire.
Il Re, allora, cominciò a capire quanto il problema fosse complicato e come, per risolverlo, non fosse possibile affidarsi solo ai numeri per come essi, a prima vista, potevano apparire. Partì allora un giorno, il nostro Re, per un lungo viaggio nei paesi vicini e scoprì che alcuni di essi avevano meno case speciali rispetto a Carabà, ma disponevano di più casette normali dove i sudditi colpiti da follia, in numeri più piccoli, potevano avere assistenza (ma solo quella della quale avevano proprio bisogno), in mezzo a tutte le altre persone; e scoprì anche che in quei paesi quando i sudditi colpiti da follia erano stati curati nelle case speciali e stavano meglio, potevano passare in queste casette, liberando così il posto per gli altri che nel frattempo ne avevano bisogno nelle case speciali. Non solo: in alcuni paesi era prevista addirittura una speciale organizzazione per aiutare i sudditi colpiti dalla follia che stavano meglio a rimanere, o a rientrare, a casa loro. Si stupì, il Re, constatando che a Carabà queste casette esistessero in numero molto piccolo e i servizi per aiutare le persone a casa loro fossero diventati, da qualche anno, via via più deboli, e si chiese se non fosse questa una delle ragioni per cui i sudditi di Carabà non potevano uscire dalle loro case speciali quando stavano meglio, e chi aveva bisogno di entrarvi le trovava perciò sempre già piene. Ohibò, esclamò il Re sempre più meravigliato, grattandosi il mento e scrollando la testa, tra sé e sé.
Osservò, poi, il Re che nelle case speciali per i sudditi colpiti dalla follia di alcuni dei paesi confinanti gli ospiti sembravano più giovani, mediamente, che in quelle di Carabà. Gli fu spiegato che in quei paesi le persone colpite da follia, raggiunta una certa età, erano per lo più considerati anziani che avevano bisogno della stessa assistenza delle altre persone della loro età; se prima non si era riusciti ad aiutarli a guarire o a rendersi più autonomi, uscivano perciò dalle case speciali per ricevere il trattamento più adeguato all’età che avevano raggiunta. Ma questo non era possibile a Carabà, perché lì i trattamenti per le persone più anziane per età scarseggiavano e perciò gli ospiti delle case speciali destinte alla cura della follia, anche quando crescevano molto negli anni, dovevano rimanere sempre nelle loro case speciali. E il saggio Re si chiese se, forse, non era anche per questa ragione che nel paese di Carabà le case speciali per i sudditi colpiti dalla follia sembravano sempre troppo piene. E divenne sempre più meditabondo e più perplesso.
Rientrato a Carabà, il Re cominciò a chiedersi se il problema fosse davvero che occorrevano nuove case speciali per i sudditi colpiti dalla follia, o non fosse piuttosto che bisognava aiutare le persone a uscire da quelle che già c’erano, quando stavano meglio e potevano vivere in casette normali in mezzo agli altri o addirittura a casa loro, o quando diventavano più anziane per età e cominciavano ad avere i problemi che hanno tutti i nostri nonni. Grazie all’uscita degli uni e degli altri, così, coloro che avevano bisogno di utilizzare quelle case speciali a Carabà vi avrebbero potuto facilmente trovar posto.
Ma il Re volle vederci ancora più chiaro, e chiese ai suoi araldi un’indagine più dettagliata anche all’interno della città di Carabà. E grande fu davvero la sua sorpresa quando scoprì che anche nella stessa città le diverse zone non avevano lo stesso bisogno di case speciali per i sudditi colpiti dalla follia, ma che la necessità di case speciali era molto diversa tra una e l’altra zona. E quindi, addirittura, che se in tutte le zone ci si fosse accontentati di un numero di case speciali uguale a quelle della zona che ne utilizzava il numero più basso, le case speciali già esistenti a Carabà non solo sarebbero state sufficienti, ma ne sarebbero perfino avanzate. Allora gli fu chiaro che il bisogno di case speciali per i sudditi colpiti dalla follia non solo era diverso da un paese all’altro, ma anche tra le diverse zone dello stesso paese, e dipendeva soprattutto dalla disponibilità di soluzioni alternative e dal modo nel quale si decideva che le case speciali dovevano essere utilizzate. Così, il saggio Re seppe sottrarsi all’inganno dei numeri e a ciò che in un primo tempo i numeri gli avevano mostrato nella loro apparenza.
Constatato infatti tutto questo, il Re di Carabà chiamò i suoi consiglieri intorno al trono e disse loro che non avrebbe costruito nuove case speciali per i sudditi colpiti dalla follia, perché non era questo che serviva al suo amato popolo, ma intendeva emanare da subito invece un regio decreto per riportare l’intera questione all’armonia, facendo tesoro delle cose che aveva imparato nelle sue letture e nei suoi viaggi. E stabilì che si provvedesse ai bisogni dei sudditi colpiti dalla follia divenuti anziani senza avere raggiunto l’auspicata autonomia nei luoghi e modi che meglio era opportuno per la loro età, così anche che chi aveva bisogno di entrare nelle case speciali pensate apposta per la cura della follia potesse occupare il loro posto via via che a loro servivano cose diverse; che si costruissero le casette normali per i folli che mancavano nel reame di Carabà, così che chi stava meglio potesse lasciare le case speciali, vivere in mezzo agli altri nelle casette normali ricevendo solo l’aiuto di cui aveva proprio bisogno e lasciare anche lui posto nelle case speciali a quelli che non potevano invece farne a meno, per il periodo che era loro necessario; che si potenziassero i servizi a disposizione di chi poteva ricevere assistenza rimanendo a casa propria, perché la casa gli pareva dolce, e pensava che non c’è luogo migliore della casa dove abitare, per i re come lui e così per gli altri uomini; che nelle diverse zone nelle quali il reame era diviso si cercasse di uniformare i criteri di utilizzo delle case speciali, e possibilmente ci si avvicinasse a quelli della zona che ne utilizzava di meno, in modo che chi ne aveva davvero bisogno potesse trovar posto senza attesa né difficoltà. Così fu risolto il problema della mancanza di case speciali per i sudditi colpiti dalla follia nel reame del saggio Re di Carabà, senza costruirne di nuove.
E oggi, ancora, quando ascoltano o leggono questa antica fiaba tutti i bambini rimangono ammirati per la grande saggezza mostrata dal Re di Carabà, che gli permise di sfuggire all’inganno dei numeri nella loro immediata apparenza e di risolvere il problema rappresentato dalla mancanza di case speciali per i sudditi colpiti dalla follia per il suo popolo senza doverne costruire una nuova e più grande, ma offrendo, invece, a tutti coloro che avevano bisogno di aiuto, per la follia o per l’età avanzata, la soluzione più opportuna.
C’era una volta, in un paese lontano, in un tempo lontano, un Re molto saggio, al quale i suoi consiglieri un giorno dissero, numeri alla mano, che non c’erano abbastanza posti nelle case speciali per i sudditi colpiti dalla follia che erano state aperte nel reame, e che perciò occorreva aprirne una nuova, più grande di tutte quelle fino allora costruite. Nel paese di Carabà, infatti, ogni tanto capitava che qualche persona venisse colpita dalla follia; per lo più poteva essere aiutata a casa propria, ma per chi proprio non ce la faceva erano state costruite case speciali, dove costoro potevano essere curati e assistiti stando in gruppi di qualche decina. Di lì avrebbero dovuto ritornare a casa guariti, ma questo non sempre era possibile, e così la necessità di queste case speciali tendeva a crescere negli anni. I consiglieri dissero al Re che molti erano i sudditi colpiti da follia in attesa di entrare nelle case speciali costruite per loro, che l’attesa durava spesso lungo tempo, e per molti di essi era stato necessario rivolgersi nel frattempo alle case speciali dei paesi confinanti, fuori dal reame; il Re guardò i numeri che gli venivano mostrati, e non poté che constatare che, apparentemente, i numeri confermavano quello che i suoi consiglieri gli dicevano.
Il saggio Re di Carabà, che ponderava sempre le proprie decisioni, decise però di non fermarsi ai numeri che aveva davanti e alla loro apparenza, e cominciò per prima cosa a mandare ambasciate ai Re dei paesi vicini, per sapere quante case speciali per i sudditi colpiti da follia avessero sul loro territorio; e non sapete quale fu la sua sorpresa quando scoprì che il suo reame era tra quelli che già ne aveva in numero maggiore! Allora, il saggio Re volle vederci più chiaro e, curioso di capire perché, ciononostante, le case speciali a Carabà non bastassero, cominciò a consultare i libri antichi nella polverosa biblioteca del castello, e scoprì che, fin dai secoli più lontani, uno strano incantesimo sembrava regolare le case speciali per i folli e far sì che, più numerose se ne aprivano, più la loro necessità cresceva, in un infinito inseguirsi che faceva sì che, per quante se ne aprissero di nuove, esse erano destinate come per magia a non sembrare mai abbastanza. Non solo; gli antichi libri gli mostrarono anche che, per un altro strano incantesimo, quando le case speciali per i sudditi colpiti da follia costruite erano più grandi, erano meno efficaci nell’aiutarli e nel farli guarire.
Il Re, allora, cominciò a capire quanto il problema fosse complicato e come, per risolverlo, non fosse possibile affidarsi solo ai numeri per come essi, a prima vista, potevano apparire. Partì allora un giorno, il nostro Re, per un lungo viaggio nei paesi vicini e scoprì che alcuni di essi avevano meno case speciali rispetto a Carabà, ma disponevano di più casette normali dove i sudditi colpiti da follia, in numeri più piccoli, potevano avere assistenza (ma solo quella della quale avevano proprio bisogno), in mezzo a tutte le altre persone; e scoprì anche che in quei paesi quando i sudditi colpiti da follia erano stati curati nelle case speciali e stavano meglio, potevano passare in queste casette, liberando così il posto per gli altri che nel frattempo ne avevano bisogno nelle case speciali. Non solo: in alcuni paesi era prevista addirittura una speciale organizzazione per aiutare i sudditi colpiti dalla follia che stavano meglio a rimanere, o a rientrare, a casa loro. Si stupì, il Re, constatando che a Carabà queste casette esistessero in numero molto piccolo e i servizi per aiutare le persone a casa loro fossero diventati, da qualche anno, via via più deboli, e si chiese se non fosse questa una delle ragioni per cui i sudditi di Carabà non potevano uscire dalle loro case speciali quando stavano meglio, e chi aveva bisogno di entrarvi le trovava perciò sempre già piene. Ohibò, esclamò il Re sempre più meravigliato, grattandosi il mento e scrollando la testa, tra sé e sé.
Osservò, poi, il Re che nelle case speciali per i sudditi colpiti dalla follia di alcuni dei paesi confinanti gli ospiti sembravano più giovani, mediamente, che in quelle di Carabà. Gli fu spiegato che in quei paesi le persone colpite da follia, raggiunta una certa età, erano per lo più considerati anziani che avevano bisogno della stessa assistenza delle altre persone della loro età; se prima non si era riusciti ad aiutarli a guarire o a rendersi più autonomi, uscivano perciò dalle case speciali per ricevere il trattamento più adeguato all’età che avevano raggiunta. Ma questo non era possibile a Carabà, perché lì i trattamenti per le persone più anziane per età scarseggiavano e perciò gli ospiti delle case speciali destinte alla cura della follia, anche quando crescevano molto negli anni, dovevano rimanere sempre nelle loro case speciali. E il saggio Re si chiese se, forse, non era anche per questa ragione che nel paese di Carabà le case speciali per i sudditi colpiti dalla follia sembravano sempre troppo piene. E divenne sempre più meditabondo e più perplesso.
Rientrato a Carabà, il Re cominciò a chiedersi se il problema fosse davvero che occorrevano nuove case speciali per i sudditi colpiti dalla follia, o non fosse piuttosto che bisognava aiutare le persone a uscire da quelle che già c’erano, quando stavano meglio e potevano vivere in casette normali in mezzo agli altri o addirittura a casa loro, o quando diventavano più anziane per età e cominciavano ad avere i problemi che hanno tutti i nostri nonni. Grazie all’uscita degli uni e degli altri, così, coloro che avevano bisogno di utilizzare quelle case speciali a Carabà vi avrebbero potuto facilmente trovar posto.
Ma il Re volle vederci ancora più chiaro, e chiese ai suoi araldi un’indagine più dettagliata anche all’interno della città di Carabà. E grande fu davvero la sua sorpresa quando scoprì che anche nella stessa città le diverse zone non avevano lo stesso bisogno di case speciali per i sudditi colpiti dalla follia, ma che la necessità di case speciali era molto diversa tra una e l’altra zona. E quindi, addirittura, che se in tutte le zone ci si fosse accontentati di un numero di case speciali uguale a quelle della zona che ne utilizzava il numero più basso, le case speciali già esistenti a Carabà non solo sarebbero state sufficienti, ma ne sarebbero perfino avanzate. Allora gli fu chiaro che il bisogno di case speciali per i sudditi colpiti dalla follia non solo era diverso da un paese all’altro, ma anche tra le diverse zone dello stesso paese, e dipendeva soprattutto dalla disponibilità di soluzioni alternative e dal modo nel quale si decideva che le case speciali dovevano essere utilizzate. Così, il saggio Re seppe sottrarsi all’inganno dei numeri e a ciò che in un primo tempo i numeri gli avevano mostrato nella loro apparenza.
Constatato infatti tutto questo, il Re di Carabà chiamò i suoi consiglieri intorno al trono e disse loro che non avrebbe costruito nuove case speciali per i sudditi colpiti dalla follia, perché non era questo che serviva al suo amato popolo, ma intendeva emanare da subito invece un regio decreto per riportare l’intera questione all’armonia, facendo tesoro delle cose che aveva imparato nelle sue letture e nei suoi viaggi. E stabilì che si provvedesse ai bisogni dei sudditi colpiti dalla follia divenuti anziani senza avere raggiunto l’auspicata autonomia nei luoghi e modi che meglio era opportuno per la loro età, così anche che chi aveva bisogno di entrare nelle case speciali pensate apposta per la cura della follia potesse occupare il loro posto via via che a loro servivano cose diverse; che si costruissero le casette normali per i folli che mancavano nel reame di Carabà, così che chi stava meglio potesse lasciare le case speciali, vivere in mezzo agli altri nelle casette normali ricevendo solo l’aiuto di cui aveva proprio bisogno e lasciare anche lui posto nelle case speciali a quelli che non potevano invece farne a meno, per il periodo che era loro necessario; che si potenziassero i servizi a disposizione di chi poteva ricevere assistenza rimanendo a casa propria, perché la casa gli pareva dolce, e pensava che non c’è luogo migliore della casa dove abitare, per i re come lui e così per gli altri uomini; che nelle diverse zone nelle quali il reame era diviso si cercasse di uniformare i criteri di utilizzo delle case speciali, e possibilmente ci si avvicinasse a quelli della zona che ne utilizzava di meno, in modo che chi ne aveva davvero bisogno potesse trovar posto senza attesa né difficoltà. Così fu risolto il problema della mancanza di case speciali per i sudditi colpiti dalla follia nel reame del saggio Re di Carabà, senza costruirne di nuove.
E oggi, ancora, quando ascoltano o leggono questa antica fiaba tutti i bambini rimangono ammirati per la grande saggezza mostrata dal Re di Carabà, che gli permise di sfuggire all’inganno dei numeri nella loro immediata apparenza e di risolvere il problema rappresentato dalla mancanza di case speciali per i sudditi colpiti dalla follia per il suo popolo senza doverne costruire una nuova e più grande, ma offrendo, invece, a tutti coloro che avevano bisogno di aiuto, per la follia o per l’età avanzata, la soluzione più opportuna.
e bravo Paolo….
come dice
e bravo Paolo….
come dice Michel Foucault: “il primo lavoro del medico è politico”