Freud nostro contemporaneo?
Si può dirlo a 160 anni dalla nascita? Sì e no, ma forse più sì che no.
Non si può dire che sia contemporanea la sua metapsicologia. L’ostinata ricerca di cause per ogni fenomeno psichico, la platonica prescrizione di “salvare i fenomeni” cercando le loro cause, non è più di moda oggi. La scienza moderna pensa per modelli non necessariamente deterministici. Le cause, se esistono, possono produrre effetti diversi: lo stesso dado ne produce ben sei distinti quante sono le sue facce. Oggi Dio, se non è ancora morto, gioca a dadi come prima, solo che prima non si sapeva. Le cause pulsionali, poi, che producono effetti soggettivi di sesso e/o di distruzione, ricordano le antiche virtutes, o potenze. “Perché l’oppio fa dormire?”. “Perché ha la virtus dormitiva”. Questa era la prova d’esame del medico, raccontata da Molière nel suo Malato immaginario in epoca barocca; questa è ancora oggi l’impostazione medica, che ragiona in termini di agenti morbosi e di eziopatogenesi, anche se meno “virtuosa”.
Allora si può dire che Freud è nostro contemporaneo nella misura in cui è stato medico sia in teoria sia in pratica. In teoria ha inventato l’eziopatogenesi pulsionale delle nevrosi; in pratica ha inventato la loro cura come restituzione dello stato pre-traumatico (il trauma pulsionale). Ma forse questa contemporaneità non basta per dirlo veramente "nostro” contemporaneo. Infatti, la medicina occidentale non è dei nostri giorni; è ben vecchia, anzi antica, risalendo alla scuola ippocratica del IV secolo a.C.
Per gettar luce sulla questione dovrei dire cosa intendo per contemporaneità. Non intendo il fatto cronologico (ontologico): essere presenti oggi. Intendo il fatto epistemico: come si pensa oggi; precisamente, come oggi pensa la scienza, ammesso che oggi, dopo Galilei e dopo Cartesio, siamo in epoca scientifica.
La scienza non pensa più per favole o per miti. Favole e miti porgevano anticamente e continuano a porgere all’umanità certezze incontrovertibili, per altro necessarie alla sopravvivenza quotidiana. In psicanalisi Freud ci ha raccontato le favole dell’Edipo e della castrazione, forse componenti del suo romanzo familiare, comune a tanti. Oggi noi continuiamo a raccontarci quelle favole e siamo certi di fare della psicanalisi. Giusto, ma è certo che quella è una psicanalisi non scientifica. Poco male, so che molti colleghi ritengono la psicanalisi scientifica (che forse realmente non esiste ancora) una forma di disumanizzazione del rapporto transferale. Tant’è, io adotto un’altra estetica, più consona alle scienze naturali che alle umane, e proseguo per la mia strada, ben sapendo dall’insegnamento di Lacan che le scienze umane sono congetturali.
La scienza non pensa per favole o per miti, dicevo, ma pensa per congetture. “Se…, allora…”. Se l’ipotesi è vera, allora la tesi è vera. Per la scienza non c’è certezza assoluta, se non della consequenzialità. Se l’ipotesi è falsa, la tesi può essere sia vera sia falsa. Chi può dirlo? Solo Dio, se non è ancora morto. Il Freud che favoleggiava certezze edipiche non è nostro contemporaneo. I suoi natali, il 6 maggio 1856, avvennero prima della morte di Dio.
Ma dov’è il Freud congetturale?
Il Freud congetturale esiste ed è il nostro vero contemporaneo a un secolo e più dalla sua entrata in scena. Io riconosco almeno tre congetture scientifiche, formulate dal medico di Vienna: l’esistenza dell’inconscio, la rimozione originaria e l’acquisizione differita (non innata) del sapere.
L’inconscio è un sapere che non si sa di sapere. Come si fa a saperlo? Già, è una congettura: può essere vera, può essere falsa, non essendo dimostrata. Noi la prendiamo per vera e in clinica facciamo un “esperimento terapeutico” (ein therapeutischer Versuch, diceva il Nostro). L’esperimento può fallire, come regolarmente avviene in campo scientifico (in psicanalisi più di frequente, però). Poco male, faremo altri esperimenti con teorie più aggiornate. Così la “scienza non può se non avanzarsi”, diceva Galilei, che Freud non citò mai nelle 7000 e più pagine dei suoi scritti.
La rimozione originaria è, secondo me, la congettura più radicalmente scientifica di Freud. Assume che esistano rappresentazioni che non diventeranno mai coscienti, tipicamente quelle di un godere al di là del piacere. Il sapere soggettivo rimane essenzialmente incompleto, cioè inconscio. Negli anni Trenta, quando Freud scriveva quel piccolo ma luminoso gioiello che è Costruzioni in analisi, Gödel e Tarski dimostrarono un paio di teoremi in proposito. Nell’aritmetica assiomatizzata da Peano, se è coerente, esistono enunciati che non si possono né dimostrare né confutare ma restano definitivamente congetturali (Gödel); la verità, non solo quella aritmetica, non si può dire tutta (Tarski, ma anche Lacan un po’ dopo). La verità scientifica non è mai categorica, come pretende la teologia; resta sempre congetturale. Ma questa non è più una congettura ormai; è la pratica scientifica che l’impone.
Per la verità, Freud non fece largo uso di questa congettura, che l’avrebbe avvicinato di più a noi. Ancora una volta poco male, useremo noi la sua Urverdrängung per avvicinarci a lui, magari sfruttando la sua intuizione di un metagodimento, al di là della pulsione sessuale.
L’acquisizione differita del sapere – la Nachträglichkeit di Freud, l’après coup di Lacan – è l’assioma che rende “attuali” i percorsi analitici: quelli dell’Uomo dei lupi o dell’Uomo dei topi – paradigmatici casi clinici freudiani – e quelli che tentiamo nella nostra clinica di oggi. (Ci provano solo coloro che non hanno rinunciato alla psicanalisi e non sono ancora passati a una meno problematica psicoterapia medica sotto l’egida della legge, in apposite scuole parificate). Niente paura: sei ignorante ma, se hai un po’ di coraggio psicanalitico – sapere aude, diceva Kant –, puoi arrivare a sapere quel non sapevi di sapere. Tu peux savoir era il motto della rivista lacaniana Scilicet.
Un warning finale. Lo sviluppo teorico e pratico degli assiomi freudiani non è automatico. Ci tocca metterci del nostro sia a livello teorico, cioè intellettuale, sia a livello pratico, cioè etico, per farli progredire, derivandone conseguenze sia teoriche sia di cura. Con questo doppio impegno Freud diventerà nostro contemporaneo e noi diventeremo freudiani, meno mitologici e più scientifici di Freud.
Allora, oggi 6 maggio, tanti auguri a tutti freudiani, al loro collettivo e ai coraggiosi, per non dire temerari, che hanno in animo di entrare a farne parte!
Si può dirlo a 160 anni dalla nascita? Sì e no, ma forse più sì che no.
Non si può dire che sia contemporanea la sua metapsicologia. L’ostinata ricerca di cause per ogni fenomeno psichico, la platonica prescrizione di “salvare i fenomeni” cercando le loro cause, non è più di moda oggi. La scienza moderna pensa per modelli non necessariamente deterministici. Le cause, se esistono, possono produrre effetti diversi: lo stesso dado ne produce ben sei distinti quante sono le sue facce. Oggi Dio, se non è ancora morto, gioca a dadi come prima, solo che prima non si sapeva. Le cause pulsionali, poi, che producono effetti soggettivi di sesso e/o di distruzione, ricordano le antiche virtutes, o potenze. “Perché l’oppio fa dormire?”. “Perché ha la virtus dormitiva”. Questa era la prova d’esame del medico, raccontata da Molière nel suo Malato immaginario in epoca barocca; questa è ancora oggi l’impostazione medica, che ragiona in termini di agenti morbosi e di eziopatogenesi, anche se meno “virtuosa”.
Allora si può dire che Freud è nostro contemporaneo nella misura in cui è stato medico sia in teoria sia in pratica. In teoria ha inventato l’eziopatogenesi pulsionale delle nevrosi; in pratica ha inventato la loro cura come restituzione dello stato pre-traumatico (il trauma pulsionale). Ma forse questa contemporaneità non basta per dirlo veramente "nostro” contemporaneo. Infatti, la medicina occidentale non è dei nostri giorni; è ben vecchia, anzi antica, risalendo alla scuola ippocratica del IV secolo a.C.
Per gettar luce sulla questione dovrei dire cosa intendo per contemporaneità. Non intendo il fatto cronologico (ontologico): essere presenti oggi. Intendo il fatto epistemico: come si pensa oggi; precisamente, come oggi pensa la scienza, ammesso che oggi, dopo Galilei e dopo Cartesio, siamo in epoca scientifica.
La scienza non pensa più per favole o per miti. Favole e miti porgevano anticamente e continuano a porgere all’umanità certezze incontrovertibili, per altro necessarie alla sopravvivenza quotidiana. In psicanalisi Freud ci ha raccontato le favole dell’Edipo e della castrazione, forse componenti del suo romanzo familiare, comune a tanti. Oggi noi continuiamo a raccontarci quelle favole e siamo certi di fare della psicanalisi. Giusto, ma è certo che quella è una psicanalisi non scientifica. Poco male, so che molti colleghi ritengono la psicanalisi scientifica (che forse realmente non esiste ancora) una forma di disumanizzazione del rapporto transferale. Tant’è, io adotto un’altra estetica, più consona alle scienze naturali che alle umane, e proseguo per la mia strada, ben sapendo dall’insegnamento di Lacan che le scienze umane sono congetturali.
La scienza non pensa per favole o per miti, dicevo, ma pensa per congetture. “Se…, allora…”. Se l’ipotesi è vera, allora la tesi è vera. Per la scienza non c’è certezza assoluta, se non della consequenzialità. Se l’ipotesi è falsa, la tesi può essere sia vera sia falsa. Chi può dirlo? Solo Dio, se non è ancora morto. Il Freud che favoleggiava certezze edipiche non è nostro contemporaneo. I suoi natali, il 6 maggio 1856, avvennero prima della morte di Dio.
Ma dov’è il Freud congetturale?
Il Freud congetturale esiste ed è il nostro vero contemporaneo a un secolo e più dalla sua entrata in scena. Io riconosco almeno tre congetture scientifiche, formulate dal medico di Vienna: l’esistenza dell’inconscio, la rimozione originaria e l’acquisizione differita (non innata) del sapere.
L’inconscio è un sapere che non si sa di sapere. Come si fa a saperlo? Già, è una congettura: può essere vera, può essere falsa, non essendo dimostrata. Noi la prendiamo per vera e in clinica facciamo un “esperimento terapeutico” (ein therapeutischer Versuch, diceva il Nostro). L’esperimento può fallire, come regolarmente avviene in campo scientifico (in psicanalisi più di frequente, però). Poco male, faremo altri esperimenti con teorie più aggiornate. Così la “scienza non può se non avanzarsi”, diceva Galilei, che Freud non citò mai nelle 7000 e più pagine dei suoi scritti.
La rimozione originaria è, secondo me, la congettura più radicalmente scientifica di Freud. Assume che esistano rappresentazioni che non diventeranno mai coscienti, tipicamente quelle di un godere al di là del piacere. Il sapere soggettivo rimane essenzialmente incompleto, cioè inconscio. Negli anni Trenta, quando Freud scriveva quel piccolo ma luminoso gioiello che è Costruzioni in analisi, Gödel e Tarski dimostrarono un paio di teoremi in proposito. Nell’aritmetica assiomatizzata da Peano, se è coerente, esistono enunciati che non si possono né dimostrare né confutare ma restano definitivamente congetturali (Gödel); la verità, non solo quella aritmetica, non si può dire tutta (Tarski, ma anche Lacan un po’ dopo). La verità scientifica non è mai categorica, come pretende la teologia; resta sempre congetturale. Ma questa non è più una congettura ormai; è la pratica scientifica che l’impone.
Per la verità, Freud non fece largo uso di questa congettura, che l’avrebbe avvicinato di più a noi. Ancora una volta poco male, useremo noi la sua Urverdrängung per avvicinarci a lui, magari sfruttando la sua intuizione di un metagodimento, al di là della pulsione sessuale.
L’acquisizione differita del sapere – la Nachträglichkeit di Freud, l’après coup di Lacan – è l’assioma che rende “attuali” i percorsi analitici: quelli dell’Uomo dei lupi o dell’Uomo dei topi – paradigmatici casi clinici freudiani – e quelli che tentiamo nella nostra clinica di oggi. (Ci provano solo coloro che non hanno rinunciato alla psicanalisi e non sono ancora passati a una meno problematica psicoterapia medica sotto l’egida della legge, in apposite scuole parificate). Niente paura: sei ignorante ma, se hai un po’ di coraggio psicanalitico – sapere aude, diceva Kant –, puoi arrivare a sapere quel non sapevi di sapere. Tu peux savoir era il motto della rivista lacaniana Scilicet.
Un warning finale. Lo sviluppo teorico e pratico degli assiomi freudiani non è automatico. Ci tocca metterci del nostro sia a livello teorico, cioè intellettuale, sia a livello pratico, cioè etico, per farli progredire, derivandone conseguenze sia teoriche sia di cura. Con questo doppio impegno Freud diventerà nostro contemporaneo e noi diventeremo freudiani, meno mitologici e più scientifici di Freud.
Allora, oggi 6 maggio, tanti auguri a tutti freudiani, al loro collettivo e ai coraggiosi, per non dire temerari, che hanno in animo di entrare a farne parte!
Faccio fatica a pensare a una
Faccio fatica a pensare a una persona che distrugge la casa che abita, con i suoi difetti ma le sue innegabili comodità, per costruirne una nuova, della quale nessun geometra-architetto-ingegnere gli ha presentato un progetto con i costi e le migliorie. Più chiaramente: ma chi abbandona delle certezze (soprattuto economiche, anche se sconsolanti a livello intellettuale ed etico) per una incertezza, appunto, grande come una casa ? In psicanalisi oggi non c’è pensiero. Placidi ruminanti riepilogano, collettano, annotano, espungono filologicamente, ma soprattutto interpretano, confermando il pensiero dei Maestri. Nessun rilancio, nessuna estrazione come quella di Sciacchitano che utlizza un hapax freudiano come quello della rimozione originaria affermando che gli appare “la congettura più radicalmente scientifica di Freud” (ovviamente da sviluppare come direzione di ricerca). Il fatto è che il vero rimosso delle associazioni e scuole psicanalitiche è proprio il discorso scientifico, ovvero sia la possibilità di pensare in modo moderno e non più mitologico-favolistico. La responsabilità del mancato transito dall’antico al moderno, dal mito alla scienza, dalla certezza dottrinale all’incertezza congetturale, in psicananisi è da attribuire agli stessi Maestri (il mio rif personale è a Freud e a Lacan), non meno che ai loro tristi epigoni. Hai voglia a superare le mitologie, dimenticare anche l’ultima orda; porsi delle domande del tipo “e dopo l’Edipo ?” (per cui si potrebbero utilizzare risposte che già esistevano ai tempi di Freud !).
Un altro fatto incontrovertibile è che nella psicanalisi di Freud, anche in quella collettiva, non c’è nessuna menzione dell’atteggiamento cooperativo su cui si fondano tutte le società umane…..
Accolgo con favore e calore gli auguri di Sciacchitano, anche se non vedo all’orizzonte (se non sottotraccia, in modo inconscio) il collettivo dei “Freudiani coraggiosi”. Di questo collettivo mi sento già parte, e penso che saranno i non-analisti con il loro lavoro che trascineranno di peso la pratica analitica fuori dal recinto di una professione conformistica, e decreteranno la fine di un freudismo ( e degli altri “ismi” psicanalitici ) asfittico e insolente.