Come afferma Petrella, la psicoanalisi è di per sé in divenire. Né può essere altrimenti, dal momento che le aperture, i ripensamenti, gli inviti espliciti di Freud stesso agli psicoanalisti “dopo di lui” sono un lascito chiaro e stimolante a non irrigidirsi, a non arroccarsi nella difesa suicida di un apparato assunto acriticamente e senza la passione necessaria a farlo evolvere. Tuttavia, vi sono questioni che non possono essere messe in discussione: una di queste, a mio parere forse la più importante, è espressa nel concetto che la nevrosi “non si combatte in absentia o in effigie”. In questa frase di Freud , o meglio in questa raccomandazione, c’è in nuce tutto il senso dell’intensità della relazione analitica, della potenza delle passioni e dei sentimenti che si manifestano grazie ad essa. Non solo sintomi o simboli, non ricordi astratti o ricostruzioni logiche. Piuttosto, vi è adombrata la potenza evocativa (non solo ri-evocativa) del transfert e la sua indispensabile inevitabilità. E’ qui e ora che si gioca la partita decisiva, quando l ‘analista assume la dimensione attoriale del transfert e “diventa” l’oggetto- soggetto della dinamica emotiva e degli affetti attivati. E’ nel qui e ora che la ripetizione del passato rivela quanto abbia in sé il desiderio di trasformarlo: nel transfert infatti riemergono l’amore e la passione nella loro interezza, riemerge la componente deviata della libido, ma anche quel nucleo sano, magari piccolissimo, che è fatto del desiderio e dello sforzo di ri-crearlo. Da questa frase di Freud, che esprime la vitalità del rapporto analitico e della riflessione che lo riguarda, si è proceduto, accogliendo il suo stesso invito, a comprendere come il transfert sia ubiquitario, come non sia sempre e soltanto mera e meccanica ripetizione storica. Come riguardi non soltanto il paziente, come alberghi anche nell’analista e soprattutto come non sia soltanto fenomeno personalistico, idiosincratico, strettamente vincolato alla storia e ai cosiddetti “buchi neri” dell’analista stesso. Nel vivere la relazione con il paziente, armoniosamente né troppo vicino né troppo lontano, noi ci poniamo in una posizione di transfert positivo, non rigido né esplicito, ma lievemente sotteso come un morbido cuscino sul quale ci adagiamo, pronti a cogliere i segni che indicano la via d’uscita dalla trappola patologica. Da Freud siamo partiti per ampliare, approfondire, dinamicizzare: come da una radice i rami vanno in direzioni diverse, anche molto lontane e impreviste, noi psicoanalisti siamo talvolta sanamente dimentichi e al contempo consapevoli della gratitudine verso le origini più remote.
di Gabriella Mariotti
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