Non può essere semplicemente una questione anagrafica, del resto i minori corrono tantissimi rischi nella rete e nel mondo virtuale. Non può altresì essere una questione di privacy: abituati a condividere spazi di quotidiana intimità, la propria casa, familiari, i propri averi e oggetti personali, il volto non farebbe certo la differenza. La nuova tendenza non è più mostrare, mostrarsi, ma nascondere; non più presenza ma assenza, mancanza, vuoto.
Si potrebbe ora rifarsi facilmente al vuoto di valori che attraversa le giovani generazioni, non sarebbe sbagliato, ma troppo facile e scontato. Esiste una crisi valoriale, esiste una crisi identitaria, esiste una crisi generazionale, certamente sì, e incide anche questo sull’auto- rappresentazione. Tuttavia, per ora, le modalità del nascondersi, frazionarsi, eclissarsi pare appartengano a una sola fascia d’età: 11-17 anni. Questo dato sembra strettamente correlato a tutti quei processi psicologici tipici adolescenziali: prima di ri-conoscersi in un io ideale, perseguire un personale modello vi è un classico periodo di “vuoto esistenziale”.
Secondo Erikson, il senso dell’identità, come sintesi della componente biologica, di influenze ambientali e di elaborazioni personali nasce molto presto. Già dalla prima infanzia, prende avvio il cammino d’identità che conosce varie tappe.
Nel periodo dell’adolescenza, la formazione dell’identità raggiunge una specie di culmine e di strutturazione relativamente stabile. L’adolescente si rende conto in modo progressivamente più autonomo delle sue potenzialità e dei suoi limiti, dell’insieme dei suoi gusti, delle sue tendenze e idiosincrasie.
Ormai diventa in grado di percepirsi come un’entità attiva che può esprimersi in modo originale e unico nei vari contesti che vive. L’identità quindi è una crescente consapevolezza di sé, come orientamento dell’adolescente a capirsi nelle sue esperienze dirette, o a “collocarsi” rispetto ai gruppi di appartenenza e all’interno dell’ambiente sociale.
Il selfie e l’auto-rappresentazione, seguono così lo sviluppo evolutivo ed emotivo dell’individuo, dimostrando tutte le fragilità che caratterizzano l’idea della propria immagine e l’utilizzo che ne scaturisce, l’influenza dei processi psicologici di autostima e personalità.
Spinti dall’impulso di condividere un selfie, nessuna fotografia risulta essere mai abbastanza, non è solo una questione estetica, questa volta l’esterno conta poco. Questa volta, il Se (lfie) nascosto, è la meravigliosa, pura ricerca della propria veridicità. Ci sarà modo e tempo di sperimentarsi nei ruoli, nelle svariate forme e rappresentazioni, ben vengano queste foto forse inutili per chi è costretto a guardare non volti, ma utilissime per chi è costretto a guardare alla cosa più importante nella vita: se stessi.
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