Da bambino, alla maniera di un Asterione che scorrazza libero dal Labirinto, mi chiedevo se le cose che venivo scoprendo esistessero realmente o se fosse il mio sguardo a infondere loro un'esistenza provvisoria, pur se persistente, o magari soltanto ripetitiva. (Stranamente, mentre formulavo questi pensieri, evitavo di pensare a mia madre, come oggetto del mondo; probabilmente inconsapevole di esistere perché lei mi guardava).
Studente liceale, illusoriamente mi compiacqui nello scoprire che antichissimi sapienti, agli albori della Sofia, avessero sollevato dubbi in certa misura somiglianti: l'Essere è? E più tardi: Esse est percipi?
Ci fu poi un tempo in cui decisi di impadronirmi di un'arte divinatoria, la psicoanalisi; impresa titanica, per la quale mi occorse un lungo addestramento, fatto di passi obbligati e guidati.
La psicoanalisi vive -tra l'altro e soprattutto- di confini. Non oltrepassarli guadagna un'apparente certezza di non nuocere, mentre quanti sono in contatto con la Moira vivono costantemente sul limitare, o perfino nella Terra di Nessuno. Chi se ne allontani troppo, invece, rischia di perdersi in deserti: non necessariamente di fuoco, ma solo talvolta; e solo per chi muova verso le terre dei Lestrigoni, mangiatori di carne che infliggono alle loro vittime il medesimo male di vivere.
Una volta mi capitò di avere in analisi un bambino, sotto la guida di un Maestro. Obbediente alle consegne, mi astenni rigorosamente e con metodo dall'indagare qualsiasi realtà al di fuori di lui, che non migliorò veramente mai.
Anni dopo, fui informato da qualcuno che quel bambino, orfano di padre, aveva continuato a dormire con la madre vedova, che soffriva la solitudine della notte.
Mi sentii nudo e impotente, e, assieme a me, sentii nudo e impotente l'ignaro Maestro.
Non tutti i grandi, però, restarono sempre dentro i confini: a cominciare dal Primo e Supremo Trasgressore.
Ci fu poi, fra gli psicoanalisti famosi, chi compì lunghi viaggi: Géza Roheim, ad esempio, sentì il richiamo irresistibile delle origini dell'Umanità, e andò a cercarle là dove ancora si conservavano.
Sàndor Ferenczi fu colui che sfondò ogni confine, nonostante la profonda angoscia dell'esploratore che insegue e risponde a bisogni irresistibili. Commise vari peccati, oltrepassando i limiti di tempo, di luogo, di ruolo. Grazie ad essi, scoperse di essere l'Altro, e ciò che vi sta in mezzo.
Leggendolo, mi chiesi sempre che cosa accadeva quando usciva dalla stanza. La psicoanalisi, mi dicevo, è un pesce che necessita di vivere in un mezzo acqueo, circondato da pareti, in posizione canonica, a ore fisse. A quale destino va incontro se viene estratta dal proprio elemento? Forse la perdita della propria natura? Forse la follia di chi la abita? La psicoanalisi è una forma speciale di conversazione. Ma che cosa distingue una conversazione analitica da una conversazione ordinaria? Forse lo status iniziatico dell'analista? O nient'altro? O qualcosa?
Ferenczi andava ad analizzare a domicilio, come il dottore di casa.
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Recentemente, mi è capitato di effettuare due visite domiciliari in due diverse abitazioni, presso due diverse e reciprocamente sconosciute famiglie; non lo avevo mai fatto. In quelle due circostanze, vidi cose di cui avevo sentito vagamente parlare, ma che probabilmente non erano, fino allora, esistite veramente; infatti, come tutte le cose che non esistono, erano (sono) immortali. Viste, sono esistite; e solo ciò che esiste potrà un giorno smettere di esistere.
Esse est percipi.
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