Mangiare carne sta diventando qualcosa di cui vergognarsi o da rivendicare con l’orgoglio dei peccatori irriducibili. Il confronto tra carnivori e vegetariani sta slittando in un conflitto dai toni accesi. Ciò poco ha a che fare con la crudeltà nei confronti degli animali. Che le cose sul piano reale siano un po’ diverse da come appaiono sul piano ideologico, basterebbe a farcelo sospettare il fatto che l’amore per gli animali cresce in modo inversamente proporzionale all’amore per gli esseri umani.
L’affetto per gli animali, che contiene una certa spietatezza nei loro confronti, gioca un ruolo importante nell’“educazione sentimentale” dei bambini. Consente loro di modulare la componente passionale, “animalesca”, del loro desiderio e disporre di uno spazio di sperimentazione per il loro impulsi erotici e aggressivi nei confronti dei genitori e dei fratelli. Con gli animali più adatti alla modulazione, sperimentazione dei propri sentimenti si stabilisce un rapporto familiare a vita, che si oppone al loro maltrattamento e uccisione. Un eccesso di aggressività o di attaccamento nei loro confronti testimonia una difficoltà ad amalgamare l’odio e l’amore che comporta un certo disinvestimento delle relazioni umane.
Gli animali che usualmente vengono uccisi per essere mangiati, sono esseri familiari ma non hanno una qualità relazionale che consenta il loro uso nella costituzione infantile di una cultura erotico/affettiva. Questa differenza diventa evidente nella distinzione tra mammiferi e pesci che un certo numero di vegetariani pratica. La percezione antropomorfica degli animali commestibili non è così forte da inibire il loro consumo, ma è in grado di attivare fantasie inconsce di “cannibalismo” quando vengono mangiati. Sono fantasie ugualmente associate all’appropriazione intensa, passionale dell’oggetto desiderato e al suo abuso. Il mangiare la carne (di mammiferi, pesci, volatili) come il rifiutarla hanno un egual fondamento nel nostro mondo psichico, anche se è vero che il rigetto esteso e radicale si associa a un attenuarsi dell’investimento erotico del vivere.
Il diffondersi di un estremismo animalista è un indicatore affidabile dell’aumento del senso di colpa verso i nostri consimili, spostato sugli animali. Il senso di colpa è destinato a crescere nel nostro mondo in cui la passione (l’irriducibilità dell’eros alle valutazioni preventive) e il senso di responsabilità (il rispetto di ciò che desideriamo come condizione della persistenza del nostro piacere) stentano a congiungersi. Prova ne è l’“uomo vegano”, figura antropologica la cui presenza si insinua silenziosamente nella vita di tutti, ben al di là della sua materializzazione in singoli individui.
Per il vegano (la forma coerente, ortodossa, di una dissociazione dalla carnalità dell’esperienza) non solo il nutrirsi del corpo dell’animale, ma anche l’uso dei suoi derivati è sfruttamento moralmente illegittimo. Nessuna connessione con lo sfruttamento del corpo umano (nel lavoro o nelle relazioni sessuali). Il bersaglio dei vegani non è lo sfruttamento degli animali da parte dell’uomo e men che mai lo sfruttamento degli esseri umani. Ciò che essi attaccano è l’esperienza del “gusto”: l’assaporare ogni cosa piacevole (il corpo dell’amante, un cibo, un’opera d’arte) in modo sensuale, intenso che coinvolge la nostra intera struttura psicocorporea. In una ipotetica, ma non inimmaginabile, società a maggioranza vegana, sarebbe cosa proibita essere fatti di carne e di passioni. Nel nome di un mondo di automi disincarnati, un paradiso terrestre, la dittatura finale del puro spirito.
La terribile esperienza avuta
La terribile esperienza avuta negli ultimi tempi con vegani, in rete, tra sportivi e nella vasca altrimenti rilassante di una sauna a Lucrino, mi hanno dato modo di fare approfondimenti diagnostici.
In rete il comportamento è decisamente quello di flamers, sempre. Incendiare una conversazione su puntigli e aggredire ogni interlocutore. Spesso vengono inviati post molto ben confezionati, sia graficamente sia come presentazione verbale pseudoscientifica, ma i contenuti sono tutti facilmente dimostrabili essere falsi, quando si è già medici o nutrizionisti.
Il problema è da una parte che ci sono medici e nutrizionisti vegani, dall’altra è che in rete le persone non sono abituate a leggere tutto attentamente, figuriamoci a cercare dei riscontri scientifici. L’effetto della confezione funziona benissimo infine per qualunque prodotto che si voglia vendere e i prodotti vegani hanno un mercato molto ricco e quindi un sistema industriale interessato a finanziare ogni iniziativa che aumenti i propri clienti.
Tra sportivi esiste l’immediata sfida con la forma fisica. Su questo punto non ci sono ragioni, l’obesità e le generali difficoltà fisiche della maggioranza delle persone dà loro ragioni. Uno sportivo vegano generalmente abusa di altre sostanze per mantenere la forma fisica, alcune delle quali, a sua insaputa, di origine animale, o comunque adeguatamente bilanciate. L’uso delle proteine artificiali e del doping in genere sostituisce le carenze di una dieta vegana, producendo eventualmente altri problemi.
L’esperienza nella vasta di Lucrino è stata la più drammatica. Se tutte le analisi precedenti facevano propendere per forme di anoressia/vigoressia sia per la formulazione del pensiero sia per la condotta alimentare, in questo caso c’erano altri sintomi ben evidenti. La violenza verbale rendeva impossibile ogni dialogo, era impossibile cambiare argomento, era impossibile usare metafore (ho usato “mangerei anche un cavallo quando sento parlre tanto di mangiare” ed è stata presa alla lettera), l’obiettivo era quello di maltrattare chiunque fermasse il monologo anche quando un altro medico, che si è presentato come vegetariano, ha iniziato a fornire motivi avvincenti per dare ragione ai vegani, ma diversi da quelli usati dalla persona vegana in pieno delirio.
Lo scopo della dieta era il controllo del pensiero in pratica, anche nel profondo, non solo dell’interlocutore ma anche del proprio. Le affermazioni, lanciate come mantra inattaccabili, oltre che dogmatiche erano di per sé curative perché obbligavano gli interlocutori ad aderire al mono-pensiero vegano.
A Lucrino la scena è diventata esilarante quando è intervenuto un paziente operato di bypass intestinale che aveva appena perso settanta chili, con il figlio già obeso e la moglie con stitichezza cronica non trattata, da probabile intolleranza al lattosio.
Siccome siamo a Napoli ognuno è andato via convinto delle proprie idee e al massimo infastidito dalla petulanza della persona vegana. Io ho mangiato del pesce, per sicurezza…