JEAN-LUC NANCY, UN’INTIMITÀ PROFONDA E APPASSIONATA. Anticipiamo la postfazione a «Del sesso» l’ultimo volume del filosofo francese da oggi in libreria solo in Italia per le edizioni Cronopio. Si tratta della prima raccolta di testi di Jean-Luc Nancy sul sesso, (di cui alcuni stralci sono stati anticipati sulle pagine del manifesto). Anteprima mondiale (non è ancora uscito in Francia) nasce da due conferenze tenute a Bari in occasione del Festival delle donne e dei saperi di genere
Questa postfazione a Del sesso di Jean-Luc Nancy non intende essere un commento né tantomeno una spiegazione, una definizione ostensiva, una delucidazione interpretativa o un appunto ermeneutico, quanto piuttosto quel peritesto che guadagna dalla distanza ravvicinata col testo del filosofo la sua ragion d’essere e il suo significato comunicativo e che, nel situarsi stabilmente alla periferia del cuore del testo, reagisce a e interagisce con esso. La sua paratestualità di scritto allografo sta nella relazione col contenuto autografo non come mero contorno o pura zona limitrofa ma con l’ambizione di stabilire con quello uno stretto legame di senso, di rivelare la traccia di un’intimità profonda e appassionata che assomiglia a quella che si stabilisce nel rapporto amoroso e/o sessuale.
NOTA A MARGINE che, da questa provocata ed eccitata, ambisce a irretire e circuire la scrittura che la precede, ad aprirla, a penetrarla, osando impadronirsene senza mai possederla. Tre testi quelli di Nancy – Il ‘c’è’ del rapporto sessuale-e poi, con la relativa appendice Esclamazioni; Corpo nudo; Sexistence –, che affrontano senza timori né reticenze un aspetto ineludibile della natura relazionale degli umani la cui posta in gioco è la loro corporeità e l’incontro sessuale che mette i corpi in connessione creando legami orizzontali, nessi affettivi, interdipendenze. Tre scritti in cui il pensiero e la scrittura attraversano spavaldamente quel crocevia dove il corpo (si) fa sesso e il sesso prende corpo, la cui prima ambizione non è la descrizione/spiegazione né la comprensione analitica di quel che accade (o men che meno psicoanalitica, intorno alla quale si può sempre continuare a interpellare Freud o Lacan o Irigaray, per citarne tre soltanto tra innumerevoli) ma l’intrattenimento sapiente del pensiero su quell’accadere. Essi prorompono da quell’incantato gioco linguistico che la filosofia intraprende da sempre e in ogni luogo e che sgorga dal thaumazein platonico-aristotelico, cioè dalla sgomenta meraviglia dinanzi alle cose del mondo, originando l’intreccio tra phileîn (amare) e sophía (sapienza) che nello spazio argomentativo che si apre qui intorno al sesso, in quanto attività umana elettiva, giunge a rivelare un’inconfessata e intima affinità tra eros e logos.
I TRE SAGGI contenuti in questa raccolta fanno l’amore con il sesso e l’erotismo al punto che parafrasando Platone («La filosofia, oggetto del mio amore», Gorgia) si può dire che qui eros non è tanto il soggetto di studio della filosofia di Jean-Luc Nancy quanto il suo oggetto amoroso. Cos’è questa filosofia che ama l’amore? È l’esercizio di un «pensiero amante», come egli stesso lo definisce (Sull’amore, Bollati Boringhieri). Eros, infatti, campeggia già da tempo nell’orizzonte di senso di Nancy, che vi ha dedicato un certo numero di circoscritte riflessioni e molte generose digressioni in libri e conferenze, ma in questa raccolta il suo sguardo e la sua attenzione nei confronti dell’amore erotico e del sesso giungono al punto di fusione investendo il proprio oggetto con un’azione di decostruzione/estensione del senso che, penetrandone la natura con le armi del pensiero, mette a fuoco il modo in cui l’immensa potenza che il sesso reca in sé e con sé agisce su di noi. L’erotica che ne emerge si dipana attraverso questi testi seguendo direzioni eccentriche a partire dalle quali l’agire sessuale viene interrogato senza pretese onnicomprensive, ma piuttosto scandagliato mettendone a fuoco taluni suoi tratti caratterizzanti, ponendo cioè sotto la lente d’ingrandimento certe particolari pieghe di senso che si offrono all’approfondimento aprendo sempre ulteriori interrogativi e nuovi sentieri di ricerca.
NELLA «METAFISICA dell’amore sessuale» (intesa non come trascendimento ma come intensificazione della fisica da cui proviene) che Nancy presenta in questa trilogia di testi non c’è traccia dello stigma schopenhaueriano che condanna l’eros all’eterna dannazione della monotona riproducibilità seriale di esemplari della specie umana, perché non il fatto biologico della generazione col suo côté produttivistico-poietico («Fare l’amore fa altro rispetto al fare un figlio, anche quando lo fa») è qui l’interrogante quanto piuttosto la constatazione che «il sesso è un abisso e una violenza: tramite la seconda, che subiamo, cadiamo nel primo, dove non capiamo nulla». Semmai qui riecheggia l’esclamazione stupita e dischiudente di Kant che, scorgendo quell’«abisso» e quella «violenza», si ritrae dinanzi alle spiegazioni possibili ma tutte ugualmente inadeguate, alle quali Nancy contrappone la necessità, né esplicativa né analitica, ma coerentemente filosofica di «pensare il sesso con il valore di un esistenziale – di una disposizione inerente all’esercizio stesso dell’esistere». Se, come Nancy scrive in Corpus (Cronopio) «l’amore è il tocco dell’aperto», fare l’amore è un posizionarsi inconsapevole, un collocarsi instabilmente «sul bordo di un ‘fare’ che fondamentalmente non fa che toccare il duplice al di là dell’animale e del divino, due nomi che non dicono altro se non che l’esistenza è la sua stessa deiscenza, una sexistence».
DEISCENZA qui è un’apertura spontanea, uno schiudersi, per dirla con un precedente Nancy, una «dischiusura» (déclosion): «Lo schiudersi del mondo deve essere pensato nella sua radicalità lo schiudersi dello schiudersi stesso e lo spaziamento dello spazio stesso . La dischiusura conferisce allo schiudersi un carattere che lo rende simile all’esplosione, e lo spaziamento sconfina nella conflagrazione» (La dischiusura. Decostruzione del cristianesimo Cronopio). Tale deiscenza come sexistence ci espone ogni volta, ripetutamente alla violenza e all’abisso dell’intimità con l’altro/a che può darsi solo e soltanto nel «mondo dei corpi» che «è il mondo non-impenetrabile nel quale sono i corpi ad articolare lo spazio» (Corpus) esponendosi l’uno all’altro e rivelandosi reciprocamente attraverso la sola possibilità di conoscersi che ci è data dalla nostra condizione di corpi singoli e contigui: «gli altri li saprò sempre come corpi. Un altro è un corpo, perché solo un corpo è un altro» (Corpus).
http://ilmanifesto.info/jean-luc-nancy-unintimita-profonda-e-appassionata/
COSÌ IL SECOLO DELLA VELOCITÀ SPOSÒ LA LENTEZZA DEI MONTI. In «La costruzione delle Alpi» l’ascesa modernista alle vette Con la potenza (e a volte la prepotenza) delle macchine
di Claudio Risè, ilgiornale.it, 2 dicembre 2016
C’erano una volta le Alpi. Con le loro cime perse tra le nubi. Misteriose. Imprendibili se non da visionari con la testa per aria e i piedi ben piantati su terra e roccia, che a volte le attaccavano, conquistandole. La montagna – del resto – è da sempre la grande seduttrice delle altezze, coi venti che sibilano giù agli uomini: «vieni e prendimi, se sei capace». O almeno così pensano gli uomini, che si sentono sfidati dalla grandiosità delle vette. E rispondono spesso con la loro specifica grandiosità: quella del cervello, e della tecnica. Con la meccanizzazione e lo sviluppo delle industrie, già nell’800, il confronto tra gli uomini e le montagne divenne quello di due mondi, due civiltà e due culture. Da una parte le Alpi, con gli dei, i nani, gli inquietanti e potenti «spiriti elementari» (cari a tutti gli esoterismi), vette e caverne. Dall’altra gli uomini e le loro tecniche e macchine. È così che nasce la conquista delle Alpi, iniziata nell’800 e portata avanti vittoriosamente per tutto il ‘900.
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http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/cos-secolo-velocit-spos-lentezza-dei-monti-1338115.html
UNA SINTESI DA TROVARE TRA CRESCITA E DEMOCRAZIA. Destra e sinistra, con le loro tradizioni culturali, stentano a dare risposte adeguate alle domande del nostro tempo
Il referendum sulla Brexit e l’elezione di Trump hanno reso evidente la torsione che la transizione di questi anni sta producendo sull’asse destra-sinistra. A destra, il neoliberismo di Reagan e Thatcher cede il passo al neoconservatorismo di Trump e Theresa May. Con uno stile molto diverso, i due leader anglosassoni sono accomunati dalla stessa preoccupazione: contrastare gli effetti negativi della globalizzazione liberista tornando a mettere al centro la crescita dell’economia nazionale. Con lo slogan «nessun inglese/americano verrà più lasciato indietro», essi di fatto invertono la visione dei loro predecessori, anche se non è affatto chiaro quale linea politica economica vogliano davvero seguire. Di sicuro, la base sociale che li sostiene è frutto di un’alleanza alquanto contraddittoria tra super ricchi intenzionati a non mettere in discussione l’attuale distribuzione delle risorse, ceto medio impoverito e reazionari religiosi (di norma bianchi) convinti che alla base dei problemi della società attuale ci sia il disordine morale. Quale sarà il baricentro di questa nuova configurazione ancora non è chiaro, come la sfida che si profila in Francia tra Fillon e Le Pen lascia intendere.Tutto ruota al modo in cui essa proverà a ricostruire il senso del limite — se muri chiusi o frontiere porose — e soprattutto a ridisegnare l’idea di autorità: se un «padre» problematico («perverso» direbbe Freud) che non solo non rispetta la legge (né i valori che dice di difendere), ma che alimenta e sfrutta il risentimento diffuso, orientandolo contro qualche capro espiatorio per sostenere la propria legittimazione; oppure un «padre» capace di essere garante di equilibrio e equità nel gestire i necessari processi di trasformazione nei quali le nostre società sono immerse.
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http://www.corriere.it/cultura/16_dicembre_04/sintesi-trovare-16d189b8-b984-11e6-91a1-37861f72a51f.shtml
SI VOTA SEMPRE “NO”
Il risultato del referendum del 4 dicembre è stato una straordinaria affermazione di Renzi. Non sto scherzando. In effetti il SI ha preso quasi la stessa percentuale di voti che il PD prese alle elezioni europee del 2014, cosa che allora venne salutata come un risultato trionfale. E non è un caso che, a parte il Trentino, il SI in questo referendum abbia prevalso solo in Toscana e in Emilia Romagna, due roccaforti del PD. Ma il PD contro tutti perde. In questo referendum ha giocato il fattore che chiamerei Roma-Torino. Come si ricorderà, le grilline Raggi e Appendino vinsero come sindache a Roma e a Torino perché queste signore, a parte i voti M5S, accaparrarono quelli di tutte le altre opposizioni al PD, ormai identificato con Renzi, sia di sinistra che di destra. È la forza della famosa “accozzaglia”. Da un paio d’anni, l’importante non è tanto votare per questo o quel partito, ma votare CONTRO Renzi. In realtà il padre della riforma costituzionale era Giorgio Napolitano, ma quel che oggi interessa è Renzi. Perché in così poco tempo Renzi è diventato il pericolo pubblico n. 1 da far fuori a ogni costo, anche coalizzandosi con partiti e personaggi ripugnanti? Lo vedremo poi. Voglio dire che i contenuti specifici della riforma sono stati del tutto secondari. Il che può sembrare un altro paradosso, dato che in questi ultimi mesi ci hanno ammannito una sfilza senza fine di dibattiti tra sostenitori del SI e del NO su tutti i risvolti e i minuti dettagli della riforma. Tra le tante perle, ne cito una. Un sostenitore del NO in TV ha fatto presente che mentre bisogna avere 25 anni per essere eletti alla Camera, ne bastano 18 per entrare in Senato secondo la riforma. E come chiamare Senato una camera dove ci sono diciottenni? Insomma, ogni pelo nell’uovo-riforma andava bene per argomentare a favore del SI o del NO.
Mi si perdoni la deformazione professionale, ma credo che anche in politica occorra applicare il metodo usato in psicoanalisi, che distingue il contenuto manifesto da quello latente, in particolare nei sogni. Anche la politica è inzuppata della sostanza di cui sono fatti i sogni. Il contenuto manifesto è qui la lettera della riforma costituzionale, della quale in fin dei conti solo a ben pochi importava qualcosa. Nella riforma si trattava di questioni dopo tutto alquanto tecniche, da esperti costituzionalisti. Queste questioni non bastano certo a spiegare l’estrema popolarità del dibattito referendario, che ha assunto toni e febbri da tifo calcistico. Nella storia d’Italia dopo la seconda guerra, solo il referendum Repubblica-Monarchia del 1947 e il referendum sul divorzio nel 1974 hanno suscitato altrettanta passione. Però erano i contenuti di quei due referendum a spiegare la passione che suscitavano. La scelta tra Monarchia e Repubblica non era come determinare la tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito (referendum del 2011). Quanto al divorzio, esso era profondamente legato alle questioni intime di ciascuno di noi. Ma perché un intero popolo si è dilaniato, come guelfi o ghibellini, sull’abolizione o meno del CNEL, sull’abolizione o meno delle province, sul ridurre o meno il numero dei senatori?
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http://www.doppiozero.com/materiali/si-vota-sempre-no
UN PAESE VITTIMA DELL’ODIO, CHE GODE NELLA DISTRUZIONE. Lo psicanalista: “Il mito che sostiene i seguaci di Grillo è di natura incestuosa”
Avevamo un pericolo per il dopo 4 dicembre: ritrovare il solito vecchio stanco Paese. Eccolo. Ci piace lamentarci delle solite cose. Ci conforta. È come mettere i calzini sempre nello stesso cassetto. Massimo Recalcati, autorevole psicanalista e uno degli scrittori più letti, parlando alla Leopolda di Firenze aveva usato termini come «sogno», «cambiamento» e aveva esortato i padri a non mostrarsi resistenti al desiderio legittimo di svolta dei figli. Oggi servono altre parole.
Professore, possiamo dire che l’Italia ha riversato in un voto sulla Costituzione un voto emozionale?
«Il godimento della distruzione è un osso duro. È impressionante la quantità di rabbia che si è riversata in questa campagna elettorale. Non possiamo trascurare quanto la morsa della crisi abbia contribuito ad alimentarla, soprattutto tra i ceti sociali che hanno più patito i suoi effetti. La politica è l’arte di canalizzare simbolicamente l’odio e la rabbia in azioni di trasformazione e di cambiamento. Quello che mi ha colpito è la natura autodistruttiva di questo odio. Il suo rifiuto di ogni canalizzazione simbolica. Il godimento della distruzione per la distruzione. In gioco, ovviamente, non poteva essere solo la riforma costituzionale. Si è trattato di un referendum sul governo di Renzi. Non solo per un errore, ammesso, di Renzi ma per una congiuntura oggettiva. La critica al governo ha preso il sopravvento. Resta il problema: è quello di come offrire una giusta canalizzazione a questa massa di odio che non trova più nella politica la sua giusta espressione. Altro che voto emozionale! Per non parlare dei risentimenti personali: D’Alema e Bersani hanno agito accecati da rancori personali mettendo allo sbando il partito. Cosa avrebbe fatto un D’Alema-segretario se una parte del partito lo avesse contraddetto organizzandosi in modo militante contro la maggioranza del partito stesso? Trovo pazzesco quello che è accaduto nella sinistra del partito, salvo la nobile eccezione di Cuperlo, per poi chiedere a Renzi di continuare a governare senza tenere conto del risultato del Referendum, al fine di mostrare che lui è come tutti gli altri, cioè come loro! Si confronti il suo discorso con quelli pronunciati da Bersani all’indomani delle ultime elezioni politiche dove una vittoria scontata si era trasformata in una sconfitta politica».
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http://www.unita.tv/interviste/recalcati-un-paese-vittima-dellodio-che-gode-nella-distruzione/
SÌ ALLA VITA. Il nichilismo alla ribalta di chi, soprattutto tra i giovani, ha votato No per odio a Renzi
di Umberto Silva, ilfoglio.it, 7 dicembre 2016
Sebbene si faccia a gara per enumerare tutti i motivi della sconfitta di Renzi, occorre dire che Matteo ha vinto, o quasi. Il 40 per cento d’italiani che l’ha votato, pronto a correre una bella avventura pur sapendo che è solo il primo passo verso una vittoria futura, sono tantissimi e prima o poi prenderanno le redini del gioco. In fondo l’Italia è stata conquistata e unificata da poche migliaia di camicie rosse e qui ce n’è ben di più. Detto questo diciamo il resto: che gli italiani siano legati alla disavventura, alla rassegnazione e al tiriamo a campare, è cosa nota. I tanti giovani che hanno votato No appellandosi al patriottismo, all’onore partigiano, alla difesa della Costituzione, penso che abbiano avuto un’altra motivazione ben più forte: l’odio. L’odio per Renzi, colui che osa spingerli in un’avventura. Precisiamo: l’odio per lui è anche l’odio per se stessi, il giovane italiano vota No, preferisce castrarsi piuttosto che rischiare quel fallimento che è pur sempre una promessa di riuscita. Renzi comunque non si sottrasse all’odio che annusava da ogni parte, deve essersi sentito contento d’essere tanto odiato, i narcisi godono di questo piacere, e lui narciso lo è.
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http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/12/07/news/referendum-costituzionale-matteo-renzi-voto-giovani-109797/
L’AFFETTO È NEUTRO, ATTENZIONE!
di Mauro Portello, doppiozero.com, 9 dicembre 2016
Un pomeriggio, sotto un duro attacco di tristezza, mi sono messo a vagare per la città dove mi trovavo e passeggiando a caso sono sbucato in una piazza dove c’era una meravigliosa sagra della cioccolata. L’invasione di quel calore emotivo, di quella bontà, dell’affetto naturale sprigionato da quel bendidìo marron, mi hanno ridato in mezz’ora la forza e la lucidità per riprendermi in mano. Certo, la serotonina, ecc. ecc., ma la verità è che quegli artigiani squisiti avevano fatto il mio bene. Per pochi soldi quei cari maestri mi avevano dato una grande dose di affetto. La loro bravura aveva trasformato l’ergonomia delle cioccolate in morale. Lì ho capito che l’affetto è neutro: non importa chi te lo dà, purché te lo dia. È un qualcosa che non si lascia intaccare dal mezzo che lo veicola. L’affetto viene o non viene, chi o che cosa te lo porta non c’entra. E se non ha secondi fini, va comunque bene, è sempre positivo. Quando sei in difficoltà e ricevi uno sguardo solidale si dice che ti scalda il cuore, è un conforto di qualcuno che si mette dalla tua parte, sia una persona brutta o bella, un savio o un fuori di testa. Ma anche un oggetto può stimolare il nostro affetto. Non parliamo del tuo cane che vive per questo. Il suo affetto è ottimo, continuamente. E tu lo adori non come cane, ma come portatore perpetuo di affetto per te.
Va da sé che l’affetto ha nature diverse a seconda di quale sia la sua provenienza, di chi ne sia l’artefice, un cane o una fidanzata. E si potrebbe di volta in volta anche eventualmente opinare sulla sua maggiore o minore genericità, sul suo “cinismo”. Non serve, tuttavia, avere particolari competenze tecniche (psicologiche o filosofiche) per riconoscere l’affetto. Tutti siamo innanzitutto dei “semplici fruitori/produttori” di affetto. Diciamo che il vino buono si può riconoscere anche senza essere un sommelier, perché quando incontriamo l’affetto – o il vino buono – lo percepiamo come segnale di vita, una brezza gentile talmente importante che la identifichiamo immediatamente e la prendiamo al volo. È un elemento essenziale per vivere. Per contro quando si è colpiti da una malattia, la stessa potenzialità affettiva viene meno (vedi Franco Fornari, Affetti e cancro, Raffaello Cortina 1985). Spinoza nel Seicento l’aveva detto che l’affetto “giova alla conservazione” (nell’Etica a proposito del bene). E per Cartesio “spinge all’azione”.
Il tema delle passioni è molto antico, c’è da perdersi nella bibliografia sulle Teorie delle passioni. L’affetto, tuttavia, ha conservato una bassa definibilità, lo stesso Freud ci ha girato attorno in più occasioni (ad esempio in Al di là del principio di piacere o nel Compendio di psicanalisi, dal 1915 al 1938) senza giungere a una descrizione sufficientemente cristallina. La sua natura, per fortuna, rimane vaga, è ontologicamente “evanescente”. Così l’affetto si configura più come una intensità che come un oggetto, non lo puoi definire, ma esiste ed è tra noi e a volte ci rende le giornate più mansuete e importanti. Proprio come la Poesia. L’affetto si mette a disposizione, per così dire, delle circostanze in cui via via si trova a operare. Mi viene in mente un film struggente come Il condominio dei cuori infranti (di Samuel Benchetrit, 2015): in quella banlieu infame il condominio si regge sulla relazione affettiva, ciascuno si affida all’altro, alla sua purezza disinteressata. E chi si innamora lo va a dire subito, per condividere il momento, ai suoi vicini che lo supportano in quella fatica meravigliosa.
http://www.doppiozero.com/materiali/laffetto-e-neutro-attenzione
SI PARLA TANTO, SI ASCOLTA POCO, SPESSO SI URLA, CHE FARE?
I conflitti di ogni tipo sono in crescita, quelli familiari ancora di più. Nonostante la rivoluzione tecnologica della comunicazione, sono aumentate le difficoltà comunicative e le incomprensioni. Si parla tanto ma si ascolta poco. Spesso si urla. Come se dovessimo continuamente «bucare» quella cortina di sordità psicologica che ormai avvolge un po’ tutti. In fondo domina un po’ ovunque autoreferenzialità e narcisismo che sembrano essere diffuse caratteristiche di questo nostro tempo. Si tratta allora di affrontare e modificare la cultura dell’individualismo che alimenta da una parte grandi sacche di indifferenza e dall’altra pericolose tendenze del pensiero integralista.
Educare ed educarsi all’ascolto partecipato, per esempio, può essere il primo obiettivo verso cui tendere. Perché è questione fondamentale quella di aprire il canale dell’interazione e dello scambio emotivo attraverso una comunicazione efficace che consente di trovare punti di incontro e di convergenza, intese e collaborazione. In altre parole “mediare”. I processi di mediazione avvicinano le distanze tra gli individui e consentono di integrare gli opposti o comporre le divergenze e i conflitti. si tratta di un’ attività complessa, delicata e a volte difficile, ma importante da inserire nel progetto educativo dei figli e promuoverla come attrezzatura da consegnare ai giovani per diventare “adulti”.
La “Negoziazione“ che prevede le competenze di mediazione, serve proprio nella costruzione di relazioni e per trovare cooperazione e solidarietà. Di derivazione latina la parola negoziare indica il tempo del fare e dell’agire, cioè il non-ozio. Il negozio, nel senso proprio di bottega è il luogo dove si sviluppano gli affari e dove avvengono gli scambi che, al di là dell’aspetto commerciale, hanno a che fare con l’acquisizione di aspetti nuovi e di valori che possono essere condivisi. Così Negoziare è attività costruttiva finalizzata alla costruzione di “ponti”, ovvero, fuor di metafora, di strutture di collegamento e di integrazione. E’ un’arte perché fatta di tecnica e creatività individuale che andrebbe praticata prima di tutto nei contesti familiari e scolastici. Per questo diciamo che educare fa rima con negoziare. Infatti, a prescindere dall’utilizzo specifico in tutte quelle situazioni di conflitto, il saper negoziare è prezioso strumento educativo nel processo di crescita.
Segue qui:
http://www.buongiornosuedtirol.it/2016/12/rubrica-la-parola-allo-psicoanalista/
TELEMACO NON DEVE MORIRE
di Sarantis Thanopulos, il manifesto, 10 dicembre 2016
Ci si sente orfani della solidità di valori democratici fondamentali (libertà, fraternità, uguaglianza, giustizia sociale), messi a dura prova da imponenti movimenti migratori e da una crisi economica sempre più complicata. Dell’affidabilità delle istituzioni, danneggiate dal loro piegarsi alle opportunità del momento. Dei legami solidali che rischiano di essere spazzati via dalla difesa dei particolarismi. Di relazioni di scambio sufficientemente regolate e garantite. L’orfanilità mette in crisi l’introiezione della “qualità genitoriale” dell’esistenza: la capacità di gestire la propria vita assumendone pienamente la responsabilità e fidandosi della propria creatività, in continuità e, al tempo stesso, in discontinuità con la propria tradizione. Imparando ugualmente dai suoi successi e dai suoi fallimenti.
Segue qui:
http://www.psychiatryonline.it/node/6546
INCHIESTA SULLA PSICHE
La rivista «Psicoterapia e Scienze Umane» è al suo cinquantesimo genetliaco. Sin dalla sua fondazione da parte di Pier Francesco Galli, furono chiari gli intenti della rivista e del Gruppo Milanese per lo Sviluppo della Psicoterapia, che ne era stato la premessa e che da essa traeva spunto per ulteriori intense e importanti attività editoriali e sociali: colmare il ritardo nazionale della psicologia, della psichiatria e delle psicoterapie rispetto a quello che accadeva nel resto d’Europa e in America; inserire un discorso teorico e metodologico intorno alla psicoanalisi nel più ampio contesto dei problemi istituzionali, sociali e giuridici delle cure «antipsichiatriche» senza preclusioni «ideologiche» nei confronti delle scienze e della cultura universitaria; aprire e problematizzare un dialogo tra psicoanalisi e psicoterapie di diversa impostazione, concentrandosi sui temi della formazione nella clinica, della teoria della tecnica, della «metapsicologia», con una particolare attenzione alla storia delle idee e alla dimensione interdisciplinare che la trattazione di quei temi esigeva. E bisogna subito riconoscere un grande merito storico alla rivista: non è mai stata di “scuola”, non ha mai avuto paura di mostrarsi controcorrente o “eretica”, neanche (e soprattutto) nei momenti di maggiore ortodossia freudiana nel campo della psicologia italiana e delle talking cures, e ha sempre accolto voci critiche e provenienti dalle aree di competenza più varie, svolgendo una funzione di raccordo all’interno delle scienze umane (fra antropologia, psicologia evoluzionistica, psicologia sociale, scienze cognitive) che la cronica divisione dei settori scientifico-disciplinari della nostra Accademia rendeva pressoché impraticabile.
Segue qui:
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2016-12-09/inchiesta-psiche–171846.shtml?uuid=AD8ZY07B
TROPPI ADOLESCENTI DALL’ESORCISTA, L’ALLARME DELLO PSICOLOGO. Tanti casi a Modena città e provincia. Maurizio Montanari del centro Libera Parola: “Spesso sono solo troppo indisciplinati”
«CI siamo trovati dinanzi a pazienti che hanno riferito, nell’infanzia, di essere stati portati da ‘esorcisti’ della nostra zona (ovviamente nessuno appartenete alla schiera di quelli riconosciuti dal Vaticano), per essere sottoposti a rituali per cacciare l’immondo, a fronte di quelli che erano semplicemente atteggiamenti adolescenziali (riottosità, indisciplina). Altri hanno raccontato di essere stati ‘esorcizzati’ perché provenienti da famiglie bigotte ancora portatrici della malefica, arcaica e inestirpabile idea nefasta che l’omosessualità sia una malattia da ‘guarire’, attribuita all’intervento del maligno».
E’ un fenomeno di cui nessuno parla o che tanti, forse, preferiscono nascondere: ma esiste anche nella nostra provincia. Casi e casi di bambini e adolescenti ritenuti ‘posseduti’ o ‘indemoniati’ solo perché affetti da sindromi assolutamente diagnosticabili e note, spesso affidati alle ‘cure’ di fattucchieri o fantomatici esorcisti ritenuti capaci di ‘estirpare’ il maligno dalle loro anime; di farli tornare ‘normali’ se omosessuali. A far luce sull’inquietante realtà è lo psicoanalista Maurizio Montanari del centro Libera Parola.
«Ci siamo trovati a commentare, con i colleghi, memorie di questi pazienti, che sono ben più numerosi di quanto si possa pensare. Ma a sollevare nuovi spunti di riflessione è stata la recente proiezione avvenuta proprio a Modena nei giorni scorsi del documentario ‘Liberami’, uno spaccato che ben descrive quali sono le tipologie di ‘utenti’ che si rivolgono all’esorcista». Una parrocchia con la sala di attesa piena, come nel documentario, alla luce del sole, mette al riparo dall’azione di operatori dell’occulto autonominati, molte volte biechi fattucchieri ed imbroglioni in cerca di denaro, con poca attenzione alla fede e alla salute mentale. E’ possibile dare al fenomeno dell’esorcismo una lettura che va al di là della sua connotazione religiosa, cercando di indagare in quali maglie della società queste modalità di ‘liberazione’ facciano presa, e a quali scopi rispondano.
Segue qui:
http://www.ilrestodelcarlino.it/modena/cronaca/esorcista-adolescenti-1.2746440
IL CUOCO CON EDIPO ALLA TAVOLA DI FREUD
di Marino Niola, repubblica, 13 dicembre 2016
Panini, Coca- Cola, tramezzini, spaghetti precotti e hamburger. È questa la vera psicopatologia della vita quotidiana. L’origine di tutte le nostre nevrosi. A dirlo è Sigmund Freud. Anzi no. È il celebre psicanalista James Hillman che con la complicità del mitologo Charles Boer, uccide il padre della psicanalisi e cucina i suoi frammenti in un banchetto cannibalico. Il risultato è “La cucina del dottor Freud”, un libro a metà tra “Psycho” e Woody Allen, appena uscito da Raffaello Cortina con la traduzione di Vittorio Serra Boccara. Apparso negli USA nel 1985, questo spaesante cookbook freudiano, che sembrava solo un divertissement da psicanalisti consumati, alla luce della cibomania dilagante di oggi, si rivela in tutta la sua profetica attualità. E diventa una sorta di analisi dei lapsus, delle fissazioni, delle rimozioni, delle ossessioni, delle fobie di homo dieteticus. Cioè il cittadino globale che ha fatto del cibo il vero luogo della libido. Altro che il sesso. Perché Hillman e Boer fanno confessare al grande Sigmund che la psicoanalisi non è nata dietro il divano, ma davanti ai fornelli.
In questo senso è vero che la pratica analitica e la cucina hanno avuto molto in comune, perché sono entrambe delle fantaisies de bouche. Solo che all’origine di tutto non c’è il sesso, ma la gola. E le nevrosi non nascono a letto, ma a tavola. Questo libro costituisce dunque una clamorosa retromarcia dell’oralità, che restituisce alla bocca un ruolo non semplicemente metaforico, sostitutivo, ma letterale, alimentare, funzionale. Come dire che le gratificazioni genitali derivano dalle voluttà orali e non viceversa: se repressione c’è stata, è stato il sesso a reprimere e sublimare il cibo e non viceversa. E a muovere la pulsione orale non è il desiderio ma la gourmandise.
Segue qui:
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/12/13/il-cuoco-con-edipo-alla-tavola-di-freud52.html?ref=search
RENZI HA VINTO. I veri mentitori sono coloro che attaccano l’ex premier. Non aspettano altro che il suo ritorno
La verità è che la destra ha sconfitto la sinistra servendosi, anche, di un gruppo di traditori. Parlo di coloro che avrebbero dovuto votare Sì, per antica tradizione e fraternità, indipendentemente dal risultato più o meno previsto, indipendentemente dal giudizio che al nuovo codice si poteva dare. Si combatte insieme, se si vince si può ancor meglio disegnare la vittoria, se si perde si perde insieme. L’avere esaltato il No alla luce del sole prima che nel buio della scheda, non li illumina per niente né tantomeno li assolve. Costoro non hanno salvato la patria, come si vantano, l’hanno semplicemente consegnata alla destra in odio a Renzi e compagni. I quali sono sì piuttosto fresconi, come hanno sospirato Napolitano e altri saggi, ma frescone non è il loro desiderio di fare cose nuove, magari con un po’ più di maestria. Sono giovani, devono imparare tante cose, ma di cosa importanti ne hanno fatte, nonostante i tanti ostacoli che da sempre imprigionano il paese. E che Salvini insulti Alfano perché ha tratto tanti migranti in salvo, è veramente ignobile; è stato il salvataggio e l’accoglienza quanto di più nobile nell’Italia dei nostri tempi. Che la destra faccia i suoi giochi va bene, ma che gruppi sedicenti di sinistra si scaglino contro i fratelli eredi di una gagliarda tradizione, è proprio brutto, al punto che uno come il sottoscritto che in gioventù ha militato qualche anno nel Pci per poi combatterlo, si ritrova indignato davanti a una simile bassezza. Perfino Grillo si è nauseato di ’sta roba, forse reputando troppo facile una vittoria da spartire a destra e a manca.
Segue qui:
http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2016/12/14/news/matteo-renzi-ha-vinto-110846/
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com)
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