LA CREATURA. Quando appare nell’utero di una donna, al suo cospetto siamo impotenti. Perché è lei a decidere
Per oggi la ragazza ha concluso l’analisi; erano in gioco questioni drammatiche e pensierosa è uscita sotto la pioggia. Mi ci stendo io sul lettino, per un quarto d’ora di riflessioni. Penso. Ciascuno ha un suo pensiero, io ho il mio, che negli anni è mutato più volte, a volte in meglio, mi auguro, altre volte resto incerto quando penso a problemi difficili come la nascita di una creatura, e mi chiedo se davvero penso certe cose o se soltanto le butto lì per non pensarci, e poi ci ripenso, e così all’infinito, perché con i figli non è mai finita, nemmeno con i padri se è per questo. Stasera penso che quando una creatura appare nell’utero di una donna, le cose cambiano del tutto. Oso pensare che fin dal primo istante siamo al cospetto di una creatura che ha deciso di vivere, e nessuno può decidere per lei, non un padre né una madre, un prete o uno Stato. Penso che solo lei, la creatura, può decidere del proprio destino. Intanto è nata; non alla luce del sole ma nel formidabile buio dell’utero la creatura ha deciso di vivere, e vive. Penso che annullare questa sua scelta sia assai nocivo per la creatura, che subirebbe un… annientamento? No, la creatura è immortale; noi piuttosto, padri e madri, che sberla se rinunciamo a una creatura! Non moriamo ma poco ci manca, inutile fare i superuomini che considerandosi nel giusto, se ne fregano, le sberle possono diventare violentissimi uppercut.
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http://www.ilfoglio.it/la-politica-sul-lettino/2017/03/01/news/la-creatura-122951/
L’ERA DELLA “POST-FAMIGLIA”. È morta la maternità, il legame che dà inizio alla vita e alla storia umana. A decretarne la fine è stata la magistratura
di Claudio Risè, ilgiornale.it, 1 marzo 2017
È morta la mamma. Anzi la maternità, il legame che dà inizio alla vita e alla storia umana. A decretarne la fine è (o almeno ci prova) la sentenza della Corte d’appello di Trento riconoscendo la paternità di due bambini a una coppia di uomini che hanno avuto (cioè comprato) negli Usa due bambini con la pratica dell’utero in affitto. Finisce così un’antica vicenda, già all’origine della storia umana, che vede il bambino nascere dall’incontro dell’uomo e della donna, la madre e il padre. Non per niente il legislatore francese, che riconobbe il matrimonio omosessuale, nella stessa legge abolì anche i termini padre e madre, sostituendoli con due numeri: genitore uno e genitore due. A qualcuno parve una stravaganza da burocrati che hanno più dimestichezza coi numeri che con l’alfabeto, ma invece no: era già l’annuncio della fine del padre e della madre. E il popolo francese lo capì subito, scendendo in piazza con le grandi Manif pour tous dove tutti, omosessuali compresi, compostamente ma molto energicamente protestarono rivendicando il diritto ad essere accolti nella vita dalla madre che ti genera. E non da uno o due signori che ti portano via alla donna da cui ti comprano.
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http://www.ilgiornale.it/news/cronache/lera-post-famiglia-1369964.html
«IL RAPPORTO CON I FIGLI?»: LA LEZIONE DI RECALCATI MANDA IN TILT IL DUCALE
di Mattia Politanò, ilsecoloxix.it, 2 marzo 2017
La Sala del Maggior Consiglio di Palazzo Ducale è stata presa letteralmente d’assalto per la Lectio magistralis dello psicoanalista, saggista e accademico italiano Massimo Recalcati dedicata al mito di Edipo. Un tema apparentemente difficile ma che ha raccolto tantissimi genovesi di tutte le età costringendo Palazzo Ducale ad aprire una seconda sala proiettando il professore anche su un maxi schermo. «Edipo è una grande figura della mitologia greca e al tempo stesso della psicoanalisi. In fondo è un paradigma del figlio e l’insegnamento della sua storia è che se non c’è un rapporto fecondo tra le generazioni dei padri e quelle dei figli è il caos, è la distruzione e la morte della differenza» spiega Recalcati. Ecco così che la lezione sul mito di Edipo, che uccide il padre e giace con la madre avendo da lei figli che allo stesso tempo sono fratelli, diventa occasione per parlare del rapporto genitori-figli, di provenienza e destinazione. «Ogni figlio è una vita distinta, separata, è una vita segreta, eppure viene sempre dalle generazioni che l’hanno preceduta. Il compito della vita del figlio è quello di essere e di farsi erede di ciò che gli altri hanno lasciato. Il compito dell’eredità è il compito del figlio giusto».
Segue qui, dove è possibile accedere al video:
http://www.ilsecoloxix.it/p/eventi/2017/03/02/ASOLnkSG-recalcati_rapporto_lezione.shtml
FERMARE LA DISUMANITÀ SENZA TENTENNAMENTI
di Sarantis Thanopulos, il manifesto, 4 marzo 2017
Due lavoratori di un supermarket hanno sorpreso due donne nomadi che rovistavano tra i gabbiotti dei rifiuti, in un’area riservata agli “addetti ai lavori”. Le hanno chiuse in uno dei gabbiotti e le hanno videoregistrate. Scimmie in gabbia, secondo la loro messa in scena. Sono stati indagati per sequestro di persona. Matteo Salvini, si è precipitato in loro soccorso, promettendo assistenza. Successivamente una delle nomadi ha dichiarato di conoscere i suoi sequestratori: due bravi ragazzi che non comprendeva perché le avessero fatto questo brutto scherzo. Certo, ha aggiunto, non ci pensava proprio di ripassare dalle loro parti. Il reato commesso va al di là del sequestro di persona: alla restrizione arbitraria della libertà si aggiunge una violazione grave della dignità umana dal chiaro intento razzista. In un paese democratico consapevole della forza delle sue istituzioni, di fronte a una crisi di valori di cui la “bravata” dei due razzisti è un sintomo inequivocabile, il presidente della repubblica avrebbe dovuto parlare a voce alta. Avvertire tutti che la democrazia non è un regime clientelare molle e compiacente, ma una forza ferma e temibile per i suoi nemici.
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http://www.psychiatryonline.it/node/6672
L’8 MARZO PER FESTEGGIARE COSA? Più che festeggiare, sarebbe doveroso scongelare «l’era glaciale» della coscienza
di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 7 marzo 2017
La chiamiamo «Festa della donna» ma, da uomo, mi viene da dire che non c’è nulla di cui festeggiare in una ricorrenza che ricorda 128 donne uccise dalla brutalità maschile. Non credo sia controcorrente sostenere che le delicate mimose che siamo soliti regalare alle donne per solidarietà e per annunciare una nuova primavera, non servono a nulla, se ci troviamo ogni giorno a fare i conti con la violenza dei maschi e siamo ancora immersi in un freddo inverno culturale e sociale. Perché è inverno pieno se pensiamo a tutti i casi di femminicidio dello scorso 2016. Ed è «l’era glaciale» della coscienza se solo per un attimo ci fermiamo ai dati, impressionanti, relativi allo stalking e all’abuso e in particolare a quello psicologico, sulle donne.
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https://www.ladigetto.it/permalink/63096.html
LA DOLCE MORTE MEDIALE
di Pietro Barbetta, Michele Mattia, doppiozero.com, 10 marzo 2017
Il suicidio è un evento impossibile da trattare. Ci sono almeno due motivi che lo rendono incandescente: il primo è la radicalizzazione dello scontro tra due posizioni: “chi non è con me, è contro di me”. Il secondo motivo è la necessità di declinare l’argomento nel registro della singolarità. Ma il primo motivo rende impossibile il secondo. Rende impossibile la necessità di istoriare la vita per cercare di comprendere come il soggetto (questo soggetto, non gli altri) si somministra la morte. Nell’ambito del giudizio radicale, chi “racconta storie” è pericoloso, inserisce il dubbio nella certezza, devia, dissente. L’effetto è “guerra”, la storia di una vita è sotto processo, due schiere di avvocati si scontrano. La giustizia mette i sigilli intorno al campo della misericordia, la preclude; parliamo della misericordia di Shakespeare, quella che tempera la giustizia.
Nel film Di chi è la mia vita (1981), di John Badham, uno scultore rimane paralizzato interamente dopo un incidente. Lucido di mente, viene tenuto in vita dalla dialisi, ma rifiuta le cure. Sorge un contrasto tra lui e il medico, che vuole tenerlo in vita. Il medico lo invita a fare colloqui con una psicologa, che gli propone di aiutarlo a scrivere la sua biografia, lo scultore rifiuta. Per lui vita e scultura sono una cosa sola; se non può più lavorare, si lascerà morire. Il medico rifiuta di togliergli le cure, vuole salvargli la vita anche contro la sua volontà esplicita. I toni sono forti e lo spettatore tende a schierarsi ideologicamente da uno o dall’altro lato. Il film continua: si consultano periti psichiatrici di parte con il compito di valutare se la condizione mentale del paziente sia “depressione maggiore” oppure “depressione reattiva”, come se una delle due diagnosi fosse “differenziale” per decidere sul suo diritto di rifiutare la cura. Si giunge a un processo di fronte al tribunale della libertà. Lo scultore vince la causa, la giustizia ha prevalso: il medico deve interrompere le cure. Tuttavia il medico rimarrà presente in ospedale fino alla morte del paziente. Lo scultore gli chiede perché, il medico risponde: “In caso cambiasse idea”. Ci sono molti altri film sul “diritto di morire”, nel mondo anglosassone il dibattito filosofico intorno a questo diritto risale a molti anni addietro. Questo film, che ha avuto scarso successo, è l’unico in cui si mostra la relazione dolorosa tra i due poli della vita e della morte, rappresentata da due figure opposte dell’eticità. Il medico ha perso la sua battaglia, ma rimane accanto al paziente aspettando, fino al momento del decesso, che il paziente cambi idea
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http://www.doppiozero.com/materiali/la-dolce-morte-mediale
EDUARDO E MARTONE OLTRE ‘GOMORRA’
di Sarantis Thanoulos, ilmanifesto, 11 marzo 2017
A San Giovanni a Teduccio, periferia napoletana degradata, è in scena Il sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo. Frutto della collaborazione tra Mario Martone e il gruppo del teatro Nest, coordinato da Francesco Di Leva, lo spettacolo è di un’intensità rara. La regia di Martone esalta la limpidezza del testo e tende al massimo i conflitti che lo attraversano e lo sorreggono. La scelta di fare di Antonio Barracano (anziano nel testo) un uomo giovane, rende lo svolgersi degli eventi più lacerante e il finale più luttuoso, allontanando la fine violenta del protagonista dall’età del naturale trapasso. La collocazione della situazione scenica nell’attualità, con chiaro, seppure discreto, riferimento alla serie televisiva Gomorra, non elimina i conflitti del passato, come qualcosa di anacronistico, datato, ma evidenzia il loro persistere come nodi irrisolti. Rimette in movimento il desueto -la loro carica destabilizzante sospesa- e riapre i giochi. La ferita di Napoli non è totalmente nel presente, perché una parte del dolore è stata anestetizzata, né nel passato, perché nel suo accadere non era stato possibile significarla adeguatamente (nel pieno delle sue conseguenze catastrofiche). La capacità di attualizzare un testo rendendolo inattuale, né presente né passato, non “alla moda” ma a noi “contemporaneo” (Agamben), rigenera le opere tragiche. Non aggiunge un significato nuovo, ma restituisce loro per intero un’assoluta e trasformativa dilemmaticità. Ne riattiva l’effetto catartico.
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http://www.psychiatryonline.it/node/6688
A PROPOSITO DELLA MORTE DI DJ FABO
di Sergio Benvenuto, doppiozero.com, 12 marzo 2017
Colpisce quanto sia stato diverso il modo di congedarsi dal mondo di Lucio Magri e di Fabiano Antoniani, DJ Fabo. Magri ha passato la vita in politica, ovvero ha trovato sempre il volto politico di tutto quel che accadeva; a 79 anni, dopo aver perso sua moglie, ha deciso di andare in Svizzera a sottoporsi al suicidio assistito. Ma non lo è andato a gridare ai quattro venti, ha mantenuto pudicamente questa sua scelta in una dimensione intimista. Invece, DJ Fabo ha passato la vita a occuparsi di musica e motocross, progettava di andare a vivere in India; finché un incidente d’auto non lo ha reso cieco e tetraplegico. Quando ha deciso per il suicidio assistito, ha sentito il bisogno di lanciare un messaggio politico: era una vergogna che dovesse andare a Zurigo per togliersi la vita, che non lo potesse fare nel suo paese. Un messaggio che ha creato un putiferio politico. In effetti, la legge sul testamento biologico sta ferma da anni in Parlamento; una legge, si badi, che riguarda il testamento biologico e che non permette il suicidio assistito: insomma, anche se fosse stata approvata DJ Fabo avrebbe dovuto andare in Svizzera. Pochi paesi europei permettono il suicidio assistito: oltre la Svizzera, la Spagna, la Germania e la Svezia. Che Fabiano, un uomo di 40 anni, prima di suicidarsi lanci una sfida politica dimostra che, a differenza di Magri, egli pensava comunque alla vita. Anche se alla vita degli altri. Ogni tanto qualche spiritualista lagnoso dice “Bisognerebbe pensare di più alla morte!” Ma non si può pensare alla morte, si può pensare solo – se si vuol pensare ancora – alla vita. Non si può pensare il non-pensiero. Ci si può certo immaginare morti, ma allora si immagina come gli altri vivi ci vedranno morti. La sola morte pensabile è quella dell’altro.
Nel 2013 uscì il film Miele di Valeria Golino, tratto dal romanzo di Mauro Covacich A nome tuo. Miele è il nome che prende una ragazza il cui lavoro consiste nel fornire suicidio assistito a malati gravi, cosa in Italia illegale. La protagonista è bellissima, triste, sobria: miele è la metafora di ciò che lei porta a ciascun malato terminale. Rimproveriamo all’Italia di non aver dato a Fabiano il miele che lui richiedeva.
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http://www.doppiozero.com/materiali/proposito-della-morte-di-dj-fabo
“I ‘RITIRATI’: LI RICONOSCI PERCHÉ NON LI VEDI”. Lo psicanalista: «Sono adolescenti tra i 14 e 18 anni che sfuggono dai contatti sociali e temono le relazioni con i pari, il confronto, la scuola»
di Giuseppe Maiolo, ladigetto.it, 12 marzo 2017
Li riconosci perché non li vedi. O meglio, sono quei ragazzi che si isolano per paura del mondo che in alcuni casi diventa vero proprio panico. Si nascondono e si ritirano. Sono adolescenti tra i 14 e 18 anni, a volte anche più giovani, che sfuggono dai contatti sociali e temono le relazioni con i pari, il confronto, la scuola. Timidezza e insicurezza? Sì, ma troppa, acuta, irriducibile. Non di rado angoscia pura per le relazioni sociali che li spinge a isolarsi dagli altri e a scappare dalla vita reale. Lo si definisce «isolamento sociale» ed è la manifestazione di un profondo disagio. In Giappone, il fenomeno conosciuto con il nome «Hikikomori» che significa ritirarsi, è esteso. Allarmante. Ma anche in Italia preoccupa perché sta diffondendosi e, perché in alcuni casi, è ritiro totale. Sembra infatti che siano in aumento quei teenager, soprattutto maschi, che ad un certo punto della loro crescita avvertono sempre più chiaramente una sensazione forte di disagio e paura, acuta, della scuola e del confronto con i compagni.
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I TRE PASSI FONDAMENTALI DELLA PERVERSIONE
di Massimo Recalcati, doppiozero.com, 13 marzo 2017
Possiamo riassumere l’illusione perversa in tre passi distinti. Il primo passo è quello critico. Il perverso ambisce a denunciare la Legge degli uomini come un’impostura, a smascherarne la falsità e l’ipocrisia, a sviluppare una serrata critica alla dimensione disciplinare, repressiva, assoggettante della Legge. Per Sade la Legge assomiglia ad un “serpente velenoso”. La Legge degli uomini è un veleno perché trasforma la vera virtù – la spinta acefala della pulsione – in vizio, perché associa la virtù al giudizio morale imboccando la strada superegoica dell’esaltazione idealizzante del sacrificio e della colpa.
La critica della Legge è un punto fondamentale del pensiero perverso. Non a caso Sade assume l’atto perverso come una sorta di “negazione della negazione”: negazione di quella negazione morale che la Virtù eserciterebbe sul Vizio. Nega la negazione della vita promossa dalla Legge; solo il Vizio, non la Virtù, sarebbe, infatti, l’espressione naturale – “senza Legge” – della vita. Il carattere di impostura e di artificio simbolico della Legge consiste invece nel fatto che essa allontana l’uomo dalla Natura rendendolo schiavo, prigioniero della Legge stessa, la quale non sarebbe altro che una manifestazione della difesa impaurita del soggetto nei confronti dell’eccesso indomabile del godimento. È la prossimità paradossale che Lacan sottolinea tra Kant e Sade: eleggere il godimento – la “volontà di godimento” sadiana – come nuovo imperativo universale della Legge al quale vengono subordinate le vite individuali e i loro interessi più empirici.
La colpa e la maledizione della Legge degli uomini è negare la realtà della Legge del godimento. La Legge degli uomini aliena la vita dalla sua Origine, da quel godimento compatibile col corpo che Sade vede incarnarsi nella vita della Natura. Non è quindi un caso che il progetto sadiano consista nel tentativo di rinaturalizzare l’uomo, di ricuperarne l’Origine, l’innocenza della vita al di qua dell’esistenza della Legge.
Il secondo passo è quello fondazionista. Il progetto perverso non può essere contenuto nella sola critica alla Legge. La sua esigenza è assai più radicale. Esso non si accontenta della versione paolina della Legge nella sua dialettica col desiderio (interdizione-trasgressione), ma pretende di riscrivere ex-novo la Legge, di rifondare la Legge, di dare alla Legge un nuovo fondamento. Il “senza Legge” del godimento perverso non è quindi un vero “senza Legge” perché il godimento diviene la nuova e unica forma possibile della Legge una volta abbandonata l’impostura della Legge degli uomini. Il vero perverso non gode, infatti, nella trasgressione della Legge – è questo è semmai il tratto perverso che può accompagnare il desiderio nevrotico –, ma aspira alla sua rifondazione radicale.
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http://www.doppiozero.com/materiali/i-tre-passi-fondamentali-della-perversione
TUTTO È LECITO TRANNE LA FAMIGLIA TRADIZIONALE
di Claudio Risè, ilgiornale.it, 14 marzo 2017
Qualsiasi cosa, purché contro la natura. Chiunque in Italia può essere genitore, tranne quelli veri, nei confronti dei quali il ferreo polso dell’autorità giudiziaria ama fare sentire il proprio non discutibile potere. Dopo le madri povere, cui invece di erogare un sussidio vengono sottratti i bimbi per darli in adozione, tocca ai genitori «troppo anziani». Alla coppia di Casale Monferrato non verrà restituita la loro bimba malgrado si sia rivelata falsa l’accusa di abbandono che sette anni fa aveva motivato l’allontanamento. Non c’è stato nessun abbandono, ma «ormai l’abbandono fa parte della sua storia» ha stabilito il giudice di Torino. E quindi la bimba resterà con la coppia cui era stata prima affidata, e poi data in adozione.
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http://www.ilgiornale.it/news/cronache/tutto-lecito-tranne-famiglia-tradizionale-1374838.html
(Fonte dei pezzi della rubrica: http://rassegnaflp.wordpress.com)
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