IL CARCERE IN ITALIA: UN PARLAMENTARE E UN EX DETENUTO TESTIMONIANO
26 Ott 17
A cura di Rossana Putignano
IL CARCERE E I DISTURBI PSICHIATRICI
Il problema delle carceri in Italia è sempre stata una questione spinosa legata al sovraffollamento. Ufficialmente il sistema della premialità e degli sconti di pena hanno lo scopo di dare rinforzi positivi ai detenuti che hanno avuto, nel tempo, una evoluzione positiva, una qualche redenzione o hanno dato una rimostranza di essere cambiati nel profondo; tuttavia, noi tutti sappiamo che il decreto “svuotacarceri” e gli sconti di pena nascondono la necessità di smaltire le carceri per dare accesso ad altri detenuti. Ma cosa accade quando i detenuti hanno problemi psichici o hanno una pericolosità sociale che meriterebbe una detenzione più lunga? Ciò non vuol dire che ci sia necessariamente una correlazione tra patologia e commissione di un reato però dobbiamo chiederci se il carcere sia un luogo di cura e riabilitazione oltre che di pena o se il carcere può addirittura favorire certi disturbi. L’Università di Oxford ha effettuato uno studio su 23 mila detenuti fra ii 9 milioni di soggetti ristretti nelle prigioni di tutto il mondo.Secondo questo studio inglese 1 detenuto su 7 soffre di disturbi mentali più o meno gravi, che vanno dalla depressione alla schizofrenia. In Italia 4.000 detenuti soffrono di disturbi mentali, ma altrettanti sono sieropositivi e la grande maggioranza è rappresentata da tossicodipendenti e immigrati. Rispetto alla popolazione generale, la popolazione carceraria è quella più a rischio di sviluppo di malattie mentali: 1 uomo su 2 e 1 donna su 5 soffre di disturbo di personalità antisociale mentre la depressione è da 2 a 4 volte più frequente. Gli psichiatri inglesi, dinanzi a questi risultati si sono chiesti se questi disturbi siano antecedenti alla carcerazione o siano una conseguenza della detenzione. Secondo il responsabile dello studio Dr. John Danesh, occorrono altre ricerche in merito tuttavia, una certezza è emersa: se la malattia è già presente il suo mancato trattamento non fa che peggiorarla, tuttavia, il carcere può costituire una occasione per curare e seguire una serie di individui che non hanno mai avuto accesso a colloqui clinici e che non hanno mai assunto alcuna terapia farmacologica; infatti, negli USA ci sono centinaia di migliaia di persone che soffrono di psicosi, depressione maggiore o entrambi i disturbi, una quantità doppia rispetto ai ricoverati nei servizi psichiatrici. L’Italia si sta attrezzando in questo settore con l’assunzione di personale sanitario penitenziario (psicologi, criminologi e psichiatri): ogni detenuto viene sottoposto all’ingresso a un colloquio di filtro cercando di individuare eventuali tratti di alterazione psichica e eventuale necessità di successivi controlli psichiatrici al fine di collocare i soggetti più a rischio in sezioni più protette, riducendo, così, il rischio di atti autolesivi che sono molto frequenti tra i detenuti. Ad esempio, in Francia il tasso di suicidi tra il 1985 e il 1995 è stato il doppio rispetto a quello delle carceri italiane. Dal 1998 il carcere di Milano Opera offre un Servizio di assistenza psichiatrica per le più diversificate patologie mentali: stati ansioso- depressivi, disturbo post traumatico da stress, doppia diagnosi per abuso di alcool e droghe, tossicodipendenza, disturbi di personalità e schizofrenia. Vengono effettuate oltre 1000 visite garantendo terapie psicologiche e farmacologiche con un controllo continuo delle condizioni di salute. Sono prevalenti disturbi d’ansia, depressivi ma anche disturbi psicotici, schizofrenia e gravi di studi di personalità in una percentuale 10 volte superiore alla popolazione generale. I TS (tentativi di suicidio) rappresentano il 2% degli interventi. E’ stato appurato da Massimo Clerici, Claudio Mencacci e Silvio Scarone, psichiatri operanti nelle carceri milanesi di Opera e San Vittore, che “non sono solo le condizioni psichiche a portare al suicidio ma anche le difficoltà all’interno del carcere o i problemi familiari di questi soggetti”. Purtroppo, per la scarsità dei fondi messi a disposizione dal Ministero di Giustizia, il servizio di assistenza sanitaria a Opera non può funzionare giornalmente, né possono essere attivati programmi riabilitativi e psicoterapici per i casi più gravi (come il servizio di psichiatria penitenziaria messo appunto dalla U.O 52 della A.O. di San Paolo) che porterebbero l’assistenza carceraria milanese davvero all’avanguardia. Nel 2002 Scarone, Clerici e Mencacci hanno pubblicato la versione italiana delle linee guida dell’APA per la gestione del problema sanitario all’interno delle carceri. (“Assistenza Psichiatrica nelle Carceri” , ed. Masson). Si tratta di una guida completa su come adempiere alle responsabilità che ogni professionista dovrebbe avere verso questo tipo di pazienti. Pur avendo le capacità per curarli le risorse sono limitat, cosi come le resistenze dell’opinione pubblica e degli stessi colleghi che non consentono di agire adeguatamente. Secondo questi psichiatri “per superare le resistenze serve una valida azione informativa […] un coinvolgimento più attivo dei medici”.
PROBLEMI STRUTTURALI
Il carcere è una struttura finalizzata a responsabilizzare il detenuto e a prepararne il reinserimento. Un bell’esempio di penitenziario è il carcere di Bollate vicino Milano, un modello che funziona e che mette a disposizione dei detenuti numerosi laboratori e possibilità ri-creative. Tuttavia, alcune strutture sono deficitarie, mancano addirittura le docce, al Regina Coeli vi sono stati, addirittura, casi di scabbia. Vi sono 2 docce in un blocco per 32 persone che lamentano fila troppo lunghe e una tensione continua per l’attesa mentre nel penitenziario di Como ci sono addirittura le infiltrazioni dal sofitto e in quello di Trani i sanitari sono a vista davanti la porta di ingresso. Il problema strutturale è un problema molto diffuso, e anche se alcune strutture sono più nuove, queste non nascono da una programmazione a lungo termine ma rispondono all’esigenza di sovraffollamento. Ogni persona ha 4 metri quadrati a disposizione ed è il minimo rispetto alla normativa italiana; spesso, le attività di reinserimento si svolgono in luoghi inagibili e appare arduo un rinnovamento delle strutture nonostante lo stato italiano spenda 3 miliardi l’anno per l’esecuzione della pena. A Spinazzola è stata aperta una piccola struttura carceraria ed è stata subito chiusa; sono stati fatti investimenti fino alla fine (oltre 200 mila euro) ma le attività non sono state più poste in essere per la chiusura dell’istituto. A Revere, nei pressi di Mantova, vi è un istituto non terminato che sta cadendo a pezzi. Sono stati spesi 2500 mila euro, un grande sperpero, tuttavia, strutture come questa non possono essere utilizzate poiché l’80 % delle strutture ha più di 100 anni. A Latina, in una piccola prigione con 144 detenuti, è stata attrezzata una palestra è grazie alle donazioni perché i fondi che ricevono non sono abbastanza (1000 euro per tutto l’anno, meno di 10 euro l’anno per detenuto). Le case circondariali si stanno attrezzando con tanti volontari e, se queste figure non ci fossero, i penitenziari non andrebbero avanti. Oltre ai comuni detenuti esistono coloro che non hanno una casa adatta ai domiciliari, quindi, restano in carcere. Al problema strutturale, dunque, si associa quello del sovraffollamento. A tal proposito ho intervistato l’on. Achille Totaro oggi parlamentare alla Camera dei Deputati con Fratelli d’Italia, eletto nel 2013. Totaro ha una lunghissima militanza politica alle spalle sin dall’età di 15 anni, è stato eletto al senato nel 2006 con AN e rieletto nel 2008 con Popolo della libertà. Totaro si è da sempre occupato del sociale, specie delle carceri:
“ Mi occupo di sicurezza generale da sempre, perché è sempre stato un argomento di cui mi sono sempre interessato, anche quando ero consigliere comunale a Firenze e poi mi sono occupato anche del sociale; spesso, anche nei penitenziari, vado ad incontrare non soltanto le guardie penitenziarie ma anche i detenuti, perché all’interno vi sono delle persone che io conosco, che hanno i figli i quali hanno avuto problemi con la giustizia e ogni tanto vado ad incontrare i detenuti che conosco; sono stato in diverse carceri e incontro sia la polizia penitenziaria sia detenuti, quindi conosco bene la realtà carceraria! Nella mia militanza politica mi è successo di passarci per caso, a Firenze erano tutti comunisti quando ero ragazzino, avevo 20 anni, non era facile fare politica né a scuola né all’universitào a lavoro, io ero di destra ed erano frequenti minacce, denunce, aggressioni e di processi ne ho avuti tanti per la mia militanza politica ma per mia fortuna sono stato assolto ma sempre dopo diversi gradi di giudizio. Giro molto i penitenziari e conosco la realtà dei penitenziari e quello che avviene dentro”.
Qualche settimana fa l’on. Totaro ha visitato il carcere di Pisa e ha notato una fondamentale differenza tra le carceri del centro nord e del centro sud; addirittura, descrive la situazione all’interno delle carceri come la “cartina tornasole” del caos presente in Italia fino a definire il carcere non più riabilitativo né tantomeno punitivo.
“A Pisa ho visto una situazione degradata come l’avrò vista già altre volte ma questa volta all’ennesima potenza. Esiste una diversità fra i penitenziari del centro- nord e del centro-sud; da Roma in sù il 65% della popolazione carceraria (anche 70%) comincia ad essere costituita da detenuti stranieri con tutte le problematiche che ciò comporta, mentre nel centro-sud vi è una sorta di pax interna per cui gli italiani bene o male, anche se delinquenti, capiscono determinate regole. Nel centro-nord non le capiscono, quindi, continuamente si verificano situazioni di aggressioni, di gente che fa rivolte, minacce nei confronti della polizia penitenziaria; in tutto questo dobbiamo considerare che il parlamento ha approvato una la legge che quintuplica le condanne per quanto riguarda i pubblici ufficiali: adesso,nei penitenziari cominciano a capire, minacciano di farsi male, sbattono la testa dicono che sono stati i poliziotti, si tagliano dicono che sono stati i poliziotti, fanno le denunce, è diventato impossibile per gli operatori della polizia penitenziaria operare li dentro in situazioni fatiscenti. Per esempio, il carcere di Pisa è stato costruito negli anni ‘30 e da allora non avevano mai pulito il tetto dagli escrementi dei piccioni, hanno levato oltre una tonnellata di escrementi di piccioni, è una situazione disastrosa col tetto che cade a pezzi, hanno messo delle impalcature con i calcinacci che cascano in testa a chi lavora dentro e all'interno vi è la totale mancanza di regole: mi riferisco agli scontri fra spacciatori di droga tunisini con giorgiani e albanesi, che già si contengono i territorio all’esterno, lo fanno anche dentro il carcere; vedi la rivolta che c’è stata nei giorni scorsi quando è andata a fuoco l’intera sezione c’erano solo 12 agenti di polizia penitenziaria a fronteggiarli, hanno dovuto fare salti mortali perchè si trovavano davanti a sezioni con 90 detenuti da spostare; il direttore mi ha riferito che c’è il più grande traffico di spaccio droga più dentro che fuori; i detenuti fanno dei lavoretti facendo finta di lavorare e possono arrivare a guadagnare quasi 900 euro al mese e questi stranieri non hanno alcun tipo di regola, sta diventando una situazione insostenibile! Il carcere ormai non è rieducativo, certamente non è rieducativo, perché per essere rieducativo devi avere una educazione pregressa, perché questa gente non sa nemmeno cosa è l’educazione, parliamo specialmente degli stranieri 65% 70% di presenza straniera nei penitenziari; poi, il carcere non è nemmeno punitivo: lì dentro fanno che cavolo gli pare, è la cartina tornasole del caos che abbiamo nel nostro paese, nella nostra nazione e chi opera li dentro si trova ad operare in condizioni disastrose. Le carceri del centro-nord sono in una condizione molto più grave rispetto alle carceri del centro-sud . Parlo di Pisa ma a Firenze vi è il carcere più grande della Toscana e li questi problemi sono all’ennesima potenza. Per dire, fanno la preghiera islamica durante la notte, è una situazione fuori del controllo della legalità e delle regole anche li dentro”
L’INIZIO: IL BLINDO SI CHIUDE
Il blindo si chiude ed è il silenzio, il vuoto, il nulla. Non puoi sapere cosa succede di li a poco, nei prossimi mesi, nei prossimi anni. Generalmente, viene assegnata una stanza per 3 persone che hanno delle regole interne, non scritte a cui un detenuto deve attenersi, bisogna tenere la testa bassa e sopportare le provocazioni e il contatto frenetico che esiste con le persone perché il paradosso del carcere è proprio questo: non si sta mai soli, uno vorrebbe stare solo ma risulta impossibile. Occorre tenere la testa bassa e sopportare le provocazioni, sopportare il contatto frenetico con le persone. Appena i detenuti entrano nella casa circondariale, l’equipe di educatori fornisce loro un percorso di circa 6 mesi per prepararli, spiegando loro dove si trovano e quali sono le norme comportamentali da seguire. Nel tempo, si susseguono diverse emozioni e manifestazioni di dolore, aggressività, autolesionismo e ideazione suicidaria motivo per cui, alcune strutture, oltre all’accoglienza, mettono a disposizione un’accoglienza di secondo livello per le persone più fragili (che paradossalmente sono quelle che hanno commesso il reato più grave) che hanno bisogno di un intervento multiprofessionale. All’accesso alcuni vengono obbligati a compiere delle flessioni sulle ginocchia per controllare che i detenuti non abbiano degli oggetti nascosti nelle parti intime. Poi segue l’accettazione con l’immatricolazione dell’individuo tramite identificazione segnaletica e la visita medica. In questo frangente i detenuti vengono forniti di beni di primo accesso e vengono seguiti da alcuni volontari che riportano eventuale necessità di altri indumenti di ricambio. In un’altra stanza, solitamente, viene lasciato il denaro che andrà a far parte di una sorta di carta di credito per acquisti. Le chiavi e le sbarre sono un elemento traumatico, tuttavia, esistono carceri in cui le sezioni sono aperte e anche le cucine sono accessibili come nel Carcere di Rieti. Le celle sono aperte dalla mattina alle 9,00 fino alle 15,00 e dalle 16,30 fino alle 19,45 con delle ronde che assicurano la vigilanza. Ogni sezione ospita 45 detenuti che devono autogestirsi e organizzarsi tuttavia, manca un servizio sanitario all’interno dopo le 20,00 per cui, se un detenuto dovesse sentirsi male, verrebbe chiamato il 118. Si tratta di una struttura con una grande vivibilità interna ma è carente dal punto di vista sanitario e con una grande difficoltà a reperire attività a livello territoriale per impiegare i detenuti. Uno dei penitenziari più grandi è quello di Lecce di Borgo San Nicola. La maggior parte dei blocchi è destinata per i tenuti comuni che non necessitano di grande sorveglianza; ogni cella, pensata per una persona ne ospita almeno tre; circa 12- 13 celle sono destinate ad ospitare detenuti che necessitano di alta sorveglianza, ovvero, i carcerati per mafia e per reati associativi; il ghetto del carcere è quello costituito dai colpevoli per i cosiddetti “reati infamanti” (stupratori e pedofili) che rappresentano la feccia per gli stessi carcerati; paradossalmente, in questi blocchi sono destinati anche gli appartenenti alle forze dell’ordine e insieme a loro, gli infami per eccellenza, ovvero i pentiti ( che dovrebbero essere destinati al “circuito zeta”); a Lecce, però, non esiste un circuito utilizzato per i pentiti ma i blocchi vengono utilizzati per ospitare individui che transitano solo per il processo e coloro che non possono avere contatti, ovvero, tutti coloro che si sono macchiati di reati a riprovazione sociale; 140 posti destinati a soggetti che hanno la necessità di tutela come i sex offenders. Anche a Lecce, quando il blindo si chiude, si accede immediatamente all’area di “accoglienza”: il detenuto deposita i suoi effetti personali, soldi, documenti e oro; il denaro verrà caricato su un conto corrente interno che può essere utilizzato per acquistare beni di conforto con un limite fissato da ministero (max 100 euro al mese). Ma il primo approccio alla realtà della detenzione avviene nella sala dove i detenuti vengono immatricolati con un sistema scanner per il rilevamento delle impronte digitali ( non viene più utilizzato l’inchiostro per i polpastrelli) e con foto segnaletica (i due profili e la parte centrale). Vengono effettuate visite mediche con esami esterni (e non introspettivi) e successivamente, i detenuti transitano in una cella con una panca senza letti dalla quale poi verranno condotti nel carcere vero e proprio. E’ possibile che il detenuto possa passare la prima notte nella cella di transito, soprattutto quando, dopo una retata, vengono portate decine di persone. Anche nel carcere di Lecce i bagni non sono dotati di docce, come previsto dalla legge 203/2000. Una parte numerosissima dei detenuti in alta sicurezza è composta da una parte camorristi, ‘ndranghetisti, mafiosi e sacristi cioè appartenenti alla Sacra Corona Unita; possiamo immaginare, quindi, le dinamiche relazionali nei contesti associativi e la conseguente necessità di raccogliere informazioni e di segnalare all’autorità giudiziaria le informazioni che provengono dall’interno e che vengono raccolte dagli operatori della polizia penitenziaria. E’ nel carcere che i detenuti per mafia costruiscono e distruggono i rapporti presenti all’esterno; per questo motivo, in fase di assegnazione, sono valutate attentamente le appartenenze ai vari clan: non si andrà mai a mettere un detenuto appartenente a una determinata famiglia con un detenuto appartenente alla famiglia contrapposta. Le organizzazioni criminali, spesso, sono governate dall’interno del carcere e per questo motivo il carcere è anche “luogo di indagine”; infatti, si sviluppano all’interno della casa circondariale le stesse dinamiche che si verificano al di fuori e si possono delineare anche dinamiche che possono condurre a reati all’interno dello stesso carcere. Per questo motivo agli appartenenti alle organizzazioni criminali vengono impediti i benefici di legge, proprio per far muro al passaggio delle informazioni dall’interno all’esterno. La posta, ad esempio, viene controllata con apertura della busta davanti al detenuto; essa verrà ispezionata in tutte le sue parti per il rinvenimento di sostanze stupefacenti e, in caso di sospetto, essa verrebbe sequestrata. Diversamente, i casi di lettura del contenuto da parte della AG possono avvenire solo in presenza di un provvedimento sul controllo sulla corrispondenza che verrà notificato all’interessato.
LA FINE: I LIBERANTI.
Sono coloro che stanno per varcare la soglia al di là del muro della casa circondariale. A loro si dà la possibilità di lavorare all’interno e di assumere anche mansioni di responsabilità come quella dello “scrivano” il quale ha il compito di raccogliere le istanze dei detenuti che fanno le loro richieste ottenendo benevoli concessioni. La fine della detenzione rappresenta il desiderio di una nuova vita, tuttavia, molti detenuti hanno paura di questa libertà perché appena varcano la soglia che li separa dal resto del mondo, essi sono costretti a trovarsi faccia a faccia a con i loro mostri interni. E’ una strana sensazione che può essere descritta solo da chi ha provato la detenzione può capire per questo motivo ho raccolto la testimonianza di A.S:
“ Il carcere ti cambia davvero, ti cambia la realtà. Ho faticato tanto e sto faticando ancora tanto perché ti sbattono il passato in faccia, ad esempio se esci con una ragazza hai problemi, soprattutto se sei amico di un noto boss di paese; alla fine tronco io perché non mi va di litigare con nessuno, mentre sul lavoro non ci sono problemi, sto lavorando con un’azienda che si occupa di trasporto di grano; vendo anche abbigliamento e buste. Per il resto, dottoressa, si lotta! niente è facile perché nessuno ti regala niente. All’interno del carcere non è vero che è facile lavorare perché è tutto un cavillo burocratico, i servizi sociali non funzionano; ad esempio, dopo la mia uscita i servizi sociali si dovevano occupare di me, mi dovevano trovare qualcosa da fare io però non ho chiesto nulla per dignità. Anziché aiutarmi il comune, mi hanno aiutato i salesiani, qualche prete della parrocchia dove andavo quando ero piccolo e un paio di amici tra cui il responsabile del gruppo alcolisti anonimi di Bari. Per quanto riguarda la mia riabilitazione sono 4 anni che non bevo ma per mia scelta non perché ero in carcere: ho smesso perché ho visto che con l’alcool non connettevo; inoltre c’è uno spaccio dove puoi acquistare dell’alcool ma la se vuoi stare bene se ne vanno 150 euro. Molti di noi non prendevano il carrello (ndr. il cibo proveniente dalla cucina), pensi che una volta trovammo le magnotte all’interno, volarono i piatti. Non è facile lavorare all’interno perché quelli sono i posti dottoressa, lavorare a terra, stare allo spaccio.All’interno entra anche quello che non dovrebbe entrare, anche con la compiacenza delle guardie penitenziarie; una volta effettuarono un blitz a Bari arrestarono due guardie, entra con le fionde dalle finestre, la ritrovi nei colori, entra nelle maniere più disparate. Io ormai sono pulito e ho la mia libertà. Quando esci anche un bidone dell’immondizia sembra bello, vedevo la libertà che è una cosa bella! Uscito dal carcere, sono rimasto in rapporto con qualcuno, sono stato un anno di fila e in quell’anno ti fai la cella tua, ti affezioni ma il carcere di Bari non è un carcere definitivo, ti fai gli amici poi se ne vanno. Oggi però non mi sento riabilitato per il carcere ma perché l’ho voluto io, ci vuole volontà, non è da tutti ma il mio codice resta sempre “ non toccare i bambini e le donne” perché la vita è cadere e rialzarsi, non ci vuole niente, piglia e ti rimetti a fare le cose che facevi prima. Per fortuna i carabinieri hanno visto che sono cambiato, non ho un fermo in 6 anni, prima erano sempre perquisizioni ora però aspetto “il concordato” perché hanno prosciolto il boss e a me non trovarono niente addosso. Ora l’azienda presso cui voglio a lavorare in Svizzera vuole una carta che attesti che non ho più procedimenti in corso”.
“La liberazione non è la libertà; si esce dal carcere, ma non dalla condanna”.(La fratellanza 2017)
____________________________________________________________________________ “Il carcere è cesura, separazione dal mondo, il posto in cui la società ha deciso che tu devi essere custodito per punire te che ci vai dietro e per proteggere gli altri che stanno fuori […] vieni strappato e messo da una parte” (tratto da un documentario)
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