Tra queste, per la prima volta a Napoli e forse in Italia, si è parlato in modo esplicito di Medicina dello Sport e persone LGBT.
Le diapositive mostrate hanno fatto prima un excursus storico, da Eurialo e Niso alle atlete lesbiche spartane, fino alla prima transessuale ed intersessuale, nelle più recenti olimpiadi moderne, per spiegare in modo semplice che le persone LGBT possono fare sport come tutti.
Citando vari articoli e review internazionali, dal momento che gli studi sono fattti sempre grazie alla GLMA cioè alle associazioni di medici LGBT americane, e poche altre nel mondo occidentale, si è passato a spiegare come oggettivamente lo sport nel sentire tradizionale sia invece riservato ai maschi eterosessuali in modo violento ed esplicito, anche attraverso l'uso e l'abuso di linguaggi sessisti da parte degli allenatori.
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La questione del linguaggio ha particolarmente attratto il pubblico di medici dello sport, ma ovviamente non esiste una possibile risposta facile visto che l'italiano ha una semantica binaria e che motivare gli atleti spesso passa attraverso linguaggi verbalmente aggressivi.
Tuttavia anche il comitato olimpico riconosce che donne, persone Lgbt, atleti paralimpici o special, sono le principali vittime di maltrattamenti e violenze, verbali, fisiche e sessuali, quando anche pratichino sport a livello agonistico.
Se le donne sono considerate di serie B, le persone LGBT non possono neanche esistere nel mondo dello sport.
Tuttavia ci sono, come i campioni italiani mostrati nelle diapositive che spiegavano le specifiche mediche e psichiche delle persone LGBT.
I maschi gay sono quelli che meno praticano sport, tuttavia hanno una forma fisica migliore della media. Questa ovviamente è utile per facilitare le relazioni sessuali ma è ottenuta fuori dai circuiti sportivi. Le persone omosessuali sportive fanno abuso di doping e altre sostanze d'abuso (tabagismo, alcol e stupefacenti) più dei maschi eterosessuali.
Le donne lesbiche che non fanno sport tendono all'obesità più delle donne eterosessuali ed hanno un maggior numero di malattie e operazioni chirurgiche (tranne quelle ginecologiche) perché non accedono ai percorsi di prevenzione e cura. L'obesità probabilmente (almeno secondo alcuni lavori americani) è una difesa delle donne lesbiche verso le avances eccessive dei maschi eterosessuali. Secondo altri studi invece è un modo di farsi del male e di disprezzare sè stesse in contesti omofobi.
Le persone transessuali ed intersessuali hanno ovviamente più problemi di tutti a praticare sport perché i loro corpi intermedi imbarazzano e creano problemi negli spogliatoi e sul campo.
Nei bagni non ci sono mai problemi, ovviamente, perché i bagni sono sempre chiusi, ma quando ci si spoglia tutti insieme l'imbarazzo è reciproco. Anche la campionessa europea 2011 di Taekewondo ha dovuto sempre allenarsi con difficoltà nel merito.
Sul campo gli studi dicono che dopo un anno dalla transizione ormonale i livelli e i benefici secondari (o gli svantaggi) sono paragonabili alla popolazione di riferimento. Tuttavia gli inglesi solamente hanno specificato in modo ancor più restrittivo, che dopo solo 4 anni è possibile ad un o una atleta trans partecipare a competizioni agonistiche.
Spetta alle piccole iniziative contro l'omofobia nello sport fare qualcosa, ma anche ai corsi di formazione in Medicina di Genere LGBT in questo caso Medicina dello Sport, fare la propria parte in ambito istituzionale e sanitario.
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