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Salute Mentale: Riforme fatte e Riforme da fare: al centro il welfare dei giovani

7 Dic 17

A cura di Michele Sanza

Nel 2018, ormai prossimo ci apprestiamo a ricordare i 40 anni della riforma psichiatrica, quella che ha consentito di superare l’ospedale e di rifondare la cura dei disturbi mentali basandola su principi di umanizzazione. Da allora è presente un apparato tecnico qualificato composto dai Servizi territoriali di Salute Mentale organizzati in forma dipartimentale in tutte le regioni d’Italia. La riforma della Legge 180 del 1978 è erroneamente nota come legge Basaglia, in quanto il grande psichiatra triestino non aveva condiviso tutti i passaggi parlamentari che avevano portato all’approvazione della norma che aboliva il manicomio.  Quella riforma, e forse ancor più la legge 833 dello stesso anno, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, che ha trasferito la psichiatria dall’amministrazione prefettizia, alle dipendenze del Ministero degli interni, alla sanità pubblica, ha trasformato in modo irreversibile la vita di centinaia di migliaia di malati che fino a quel momento avevano subito un destino di segregazione e di esclusione, ponendo le basi per una assistenza fondata su principi morali e scientifici nel pieno del solco della medicina.

 

            Una straordinaria riforma che ha inciso sulla vita nazionale e che è andata ben oltre il campo specifico della Salute Mentale. Ha affermato in concreto il principio della inalienabilità dei diritti umani, il principio della eguaglianza diseguale, che guarda a tutte le minoranze e i gruppi di persone fragili e ha posto in primo piano il ruolo della comunità civile nella cura dei disturbi psichici, proponendo un nuovo modello di responsabilità sociale e di solidarietà che si è esteso ad altri contesti. Possiamo ben dire che la 180 è stata una delle grandi riforme della nostra Nazione che ha contribuito a traghettare in Europa, e quindi nel pieno della civiltà occidentale, un Paese che fino agli anni ‘60 era ancorato a stilemi sociali arcaici e scontava la nefasta eredità del fascismo nelle vita delle istituzioni e nel rapporto di queste con i cittadini.  

 

            Toppe volte si ricorda il contenuto morale della 180, in quanto legge di altissimo profilo di giustizia, trascurando le basi scientifiche da cui quella legge aveva origine. L’osservazione che molte delle manifestazioni che si ritenevano proprie della malattia mentale fossero solo fenomeni secondari della reclusione manicomiale, lo si può considerare una tappa del faticoso cammino intrapreso dall’Umanità nel secolo dei Lumi e mai del tutto concluso.  La nozione che l’equipe curante potesse riabilitare i malati sepolti nell’ospedale psichiatrico solo se fosse stata disposta a rivedere un modello di funzionamento gerarchico che poneva il medico al centro, o meglio al di sopra, di tutte le altre professioni sanitarie, è un concetto oggi basilare nell’organizzazione dei più moderni ospedali, che in Italia è stato sperimentato e praticato per la prima volta in Psichiatria.  Bene faremo, dunque, a non far cadere nel silenzio i 40 anni della riforma 180. Ma c’è un modo ancora migliore per “rendere omaggio” a questa grande legge, ed è farla vivere e rivivere nel suo stesso spirito di trasformazione, di adeguamento delle istituzioni curanti ai bisogni dei cittadini e alle conoscenze proprie della scienza medica.

 

            I Dipartimenti di Salute Mentale in un numero crescente di regioni, inclusa la nostra, hanno sposato il modello integrato con i Servizi delle Dipendenze Patologiche, della Neuropsichiatria Infantile e dell’adolescenza. Questa confluenza nata per dare origine a maggiori sinergie  nel lavoro delle equipe di questi tre servizi, presenta ancora la fisionomia di un  semplice condominio che stenta a mettere realmente in rete le risorse terapeutiche. Mentre è sempre più raro che nei giovani un disturbo mentale si presenti “puro”, senza una contestuale problematica di abuso di sostanze, le linee operative richiedono ancora una faticosa integrazione che risponde più ad esigenze organizzative interne che non ai bisogni dei pazienti e delle loro famiglie.

 

L’evoluzione delle conoscenze scientifiche sui disturbi mentali ha chiarito, in molti casi, che l’origine di queste patologie dipende dai fattori genetici ma che solo l’incrocio con fattori ambientali (di rischio) può determinare la definitiva evoluzione in senso patologico. Numerose sono le condizioni avverse “note” che punteggiano il travagliato tragitto che trova nelle psicosi, le più gravi tra le patologie mentali, un punto di arrivo ma che la comunità professionale si ostina a denominare esordio. Molto spesso questi pazienti dei servizi per gli adulti, prima ancora di esserlo, hanno attraversato la Neuropsichiatra infantile per via di comuni disturbi emotivi o di un atteggiamento troppo ritirato, più avanti nel corso dell’adolescenza hanno incontrato difficoltà nella socializzazione e nell’iter scolastico, non di rado abbandonando gli studi prima di concluderne il ciclo. Talvolta sono figli che appartengono a famiglie fragili, con genitori a loro volta affetti da disturbi mentali o da abuso di sostanze.

 

Il passaggio al 18 anno di vita è un momento nell’esistenza di un giovane, e della sua famiglia, meramente burocratico, ma costituisce una soglia terribilmente cogente per la presa in carico. I servizi che terminano la propria opera si affannano in laboriose equipe di transizione in direzione dell’età adulta, lasciando scoperti bisogni che non verranno più interpretati. Serve piuttosto un modello che realizzi la coalescenza delle equipe di Salute Mentale, e di queste con l’area del sociale, proponendo una lettura dei bisogni comune e trasversale, ma soprattutto mirata e tempestiva.

 

Per ridurre la prospettiva della disabilità mentale occorre intervenire prima, farlo nei luoghi di vita, offrire servizi attraenti per le famiglie, per gli adolescenti e per i giovani. Offrire competenze specialistiche nella relazione con soggetti che non possono essere trattati fin dal primo incontro come pazienti ovvero come malati. Ma questo può avvenire solo nel contesto di un welfare più vicino alle esigenze degli adolescenti e dei giovani. La riforma che ci aspettiamo e che vorremmo porre al centro del dibattito, altrimenti nostalgico e retorico sui 40 anni della 180, è una profonda revisione del Dipartimento di Salute Mentale che porti impegno professionale  e risorse sulla prevenzione, direttamente nella comunità, quei luoghi che abbiamo cominciato a chiamare di prossimità e che sono le nuove frontiere dei servizi territoriali. 

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