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Garcia Lorca e la disperazione del depresso: perdita di speranza, di capacità di comunicare, di creatività
27 Feb 18
A cura di Sabino Nanni
Un rapporto d’amore certo, importante, intenso (soprattutto se vissuto nelle prime fasi della vita), lascia nel nostro mondo interno tracce durature: è come se la persona che ci ha amato restasse viva, con le sue caratteristiche, dentro di noi: è ciò che la psicologia del profondo chiama “oggetto interno idealizzato”. Esso svolge importanti funzioni: è la base emotiva della fede religiosa, ed è il fondamento della speranza: se tale rapporto idealizzato è stato, almeno in parte, reale, se ha lasciato le sue tracce, allora esso è possibile, e potrà tornare a realizzarsi. Esso, inoltre, costituisce il punto di riferimento fondamentale, che dà un senso emotivo alla conoscenza e rende possibile la comunicazione coi nostri simili. La perdita, temporanea o protratta, del contatto con tale oggetto interno dà luogo ad una patologia in cui i suddetti aspetti della vita interiore sono sconvolti. Scrive, a questo proposito, Garcia Lorca:
Si la esperanza se apaga
Y la Babel se comienza,
Qué antorcha illuminarà
Los caminos en la Tierra?
(Se la speranza si spegne / e ricomincia la Babele / che torcia illuminerà / le strade della Terra?)
L’oggetto idealizzato è il faro che orienta il percorso della nostra evoluzione e la “torcia” che lo illumina; senza un contatto con esso, si brancola nel buio, e ci si perde. La speranza di ritrovarlo è ciò che ci accomuna ai nostri simili, e che rende possibile capirsi; se essa si spegne, si ritorna alla confusione dei linguaggi di Babele. Garcia Lorca aggiunge:
Si la muerte es la muerte
Que sera de los poetas
Y de las cosas dormidas
Que ya nadie las recuerda?
(Se la morte è la morte / che ne sarà dei poeti / e delle cose addormentate / che più nessuno ricorda?)
“La morte è la morte” non è da intendersi, qui, come una tautologia (in cui soggetto e predicato sono le stesse parole o sinonimi). Se la “morte”, come la intendiamo noi adulti (la fine della vita) è la “morte”, come la si esperisce all’inizio della nostra esistenza (la perdita definitiva del primo oggetto d’amore), come potranno più i Poeti ricostruire quell’antica situazione con la loro Arte? Come potranno ridestare i ricordi, di solito dimenticati e inesprimibili, di tale antico rapporto? Il Poeta descrive sinteticamente gli aspetti dello stato di disperazione che vive il grave depresso: la perdita della speranza, il disorientamento di chi non riesce più a cogliere un senso nelle conoscenze, di chi non sa più quale sia la sua meta, la perdita della possibilità di comunicare. A queste Garcia Lorca aggiunge la perdita delle capacità creative del Poeta. C’è, a quest’ultimo proposito, un paradosso: nel momento in cui il Poeta descrive, con le proprie capacità introspettive, la sua perdita di contatto con la “Musa ispiratrice” (l’oggetto interno idealizzato), egli lo fa… con l’aiuto della Musa stessa, ritrovandola. La Poesia, rendendoci pensabile l’antica esperienza di perdita (altrimenti intollerabile), ci aiuta anche a ritrovare ciò che si è perduto, e, con esso, tutto ciò che anima la nostra vita. Ecco perché ritengo che la Poesia (se la si capisce) sia anche un’efficace psicoterapia, e che la psicoterapia debba essere anche un po’ Poesia.
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