che ho intitolato "Raccordi intergenerazionali" D.A.
Ricorre in questi giorni l’anniversario del varo della 180: la Legge Basaglia. Ho una certa età e ho avuto modo di operare fin dal 1971 nel Centro di Igiene Mentale di Reggio Emilia: ai miei occhi, così come a quelli di tutti coloro che hanno operato nei primi anni ’70 nei luoghi dell’antipsichiatria italiana, questa legge, che giunse nel 1978, più che come un punto cardine di svolta appare come una istituzionalizzazione di un modo di operare che già era stato ampiamente sperimentato nel decennio precedente.
Fino alle prime sperimentazioni di Gorizia, Trieste, Parma, Reggio Emilia, Arezzo, Roma, Napoli, Cutrofiano, etc. l’antipsichiatria operò per la chiusura delle istituzioni totali e per la nascita nel territorio di ambulatori e di strutture intermedie (D. Napolitani) che permettessero da una parte un rapporto con le viarie alterità non più incentrato sulla segregazione e sul trattamento degli uomini come cose, ma sull’incontro con l’altro da me che permettesse una cura individualizzata e centrata sul dialogo fra soggetti; dall’altra un lavoro in equipe e collettivi parzialmente orizzontali, cioè non più centrati sulla gerarchia.
In un altro lavoro, scritto insieme a Deliana Bertani, ho chiamato “istituzioni professionali” queste nuove strutture che andavano nascendo in tutta Italia, in contrapposizione principalmente alle istituzioni totali nate nell’800 sotto il segno del pensiero scientista allora imperante, che era un pensiero oggettivante, catalogante e segregante. E secondariamente alle istituzioni promiscue (La Salpetrière! E qui a Reggio Emilia il quasi coevo San Lazzaro), ugualmente segreganti, nate all’inizio del ‘600 per ragioni di polizia e di pulizia della città protocapitalista, come diceva Foucault.
La sostituzione del doganiere pavido (psichiatra, psicologo, infermiere, educatore, etc), che segregava poiché aveva paura, letteralmente, di comprendere gli altri da sé, con un nuovo operatore di frontiera (Napolitani) che non aveva timore di lasciar passare l’altro nei territori bonificati della normalità e di dialogare con lui da soggetto a soggetto quindi è il primo degli elementi cardine sui quali furono fondate le nuove istituzioni professionali.
Il secondo, come abbiamo appena visto, era quel lavoro in equipe in cui, certo, l’ultima parola spettava a coloro che guidavano il gruppo di lavoro, ma in cui ogni decisione era presa dopo ampio dibattito. Il che, insieme alla istituzione di momenti formativi in itinere nati dai reali bisogni attuali degli operatori, permetteva una crescita professionale continua, che unita all’abitudine alla discussione, poi era in grado di influire fortemente sul piano della qualità del rapporto con i pazienti.
Il terzo elemento, al quale più su abbiamo appena accennato, era costituito dalla nascita del ‘territorio’, inteso non come luogo fisico, ma come luogo innervato di istituzioni (prescuola – scuola – sociale – ospedale, etc. ) che in quegli stessi anni sono impegnate in processi di riforma che poggiano sulle basi simili a quelli dell’antipsichiatria. Istituzioni con le quali, specialmente in età evolutiva, ben presto si definiscono consuetudini e intese che anche in questo caso precedono quelle che poi furono sancite nei protocolli scritti.
Ed, infine, ultimo e importantissimo elemento il fatto che tutto ciò poggiasse su una alleanza fra questi operatori esperti e non tecnici, cioè non esecutori acefali, ma operatori che “si ponevano il problema della cosa”, come diceva Adorno, e “amministratori accorti” (sempre Adorno) che si fecero carico degli aspetti più burocratici e normativi. Come in fondo fece la Basaglia Ongaro quando entrò in Parlamento e contribuì in maniera decisiva alla nascita della 180.
Tutto ciò permise alla stragrande maggioranza della popolazione di fruire di servizi che mettevano al centro del loro lavoro il soggetto e non più la riduzione del soggetto a cosa. Ad esempio la nascita della psicoterapia nel pubblico permise l’accesso di tutti a questo tipo di cura mirata, individualizzata, basata su un rapporto specifico “transfert contro transfert” che fino ad allora era stata riservata ad una minoranza di benestanti.
Tutto il processo non fu esente da errori ed estremizzazioni e, almeno nel territorio in cui ho avuto modo di operare, è scandibile in tre fasi: la sperimentazione, la virata in direzione dello specialismo, la fase dell’alleanza per. Venne poi una quarta fase, che poi è quella all’interno della quale siamo ancora adesso: quella dell’aziendalizzazione che pone in crisi tutto l’assetto descritto in precedenza.
L’aziendalizzazione fin dall’inizio degli anni ’90 comporta un rovesciamento della logica in base alla quale funzionavano sia i servizi nuovi che quelli vecchi: per dirlo in termini brutali il loro passaggio dal capitolo della spesa a quello delle entrate. Cioè la rottura di quel presupposto in base al quale i servizi erano erogati in base ad un diritto basato sul loro finanziamento attraverso la fiscalità generale, e la sua sostituzione con il principio neoliberista che ciascuno di essi, indipendentemente dalle rimesse che provenivano dalla fiscalità, doveva perseguire fini di profitto, o almeno di pareggio del bilancio aziendale. Fu su queste basi che tutte le istituzioni furono prima (la sanità) o poi (la scuola) investite da una spinta alla privatizzazione, alla tikettazione, alla precarizzazione del lavoro, fino in certi casi alla loro scomparsa! insomma a quello che voi giovani ora avete sotto gli occhi.
Di converso a poco a poco furono profondamente attaccati ed erosi tutti i quattro elementi cardine sui quali erano basate le istituzioni professionali.
Il primo elemento a crollare fu quello dell'alleanza fra operatori esperti e amministratori accorti: poiché da una parte i vecchi amministratori che avevano favorito la nascita dei nuovi servizi furono molto presto sostituititi da nuovi amministratori disponibili e spesso proni nel seguire le logiche neoliberiste. Dall’altra a poco a poco si è andata consolidando in psichiatria dapprima una doppia dirigenza composta da una parte dai vecchi operatori che mantennero i rapporti con i casi, dall’altra una nuova dirigenza molto più sensibile – spesso per mere ragioni di carriera – al nuovo andazzo. E successivamente solo da questi ultimi che hanno privatizzato, spesso in favore delle clientele politico-affaristiche, tiketizzato, chiuso.
E la chiusura degli ambulatori decentrati, dei servizi territoriali, con il conseguente abbandono della cura di quella rete di reti fra le varie istituzioni che era uno dei fondamenti dell’operare inziale, è il secondo baluardo che cade, provocando sia lo sfilacciamento di ogni alleanza con le istituzioni limitrofe e complementari presenti nel territorio (territorio che praticamente sparisce!), sia una gravissima rottura di ogni rapporto personale con i pazienti che, quando non diventano opportunità affaristiche da offrire al privato, dopo l’accentramento e per motivi di risparmio spesso nel pubblico finiscono con l’essere affidati a chi capita. Il che come giustamente dice proprio in queste ore Antonello Correale innesca ed amplifica quella che lui chiama “la valle dei transfert dispersi”.
Il passaggio poi della gran parte dei servizi psichiatrici al privato (no profit e profit) finisce col killerare contemporaneamente gli altri due elementi fondativi delle ‘vecchie’ strutture professionali: l’operatore esperto e il lavoro di equipe. Il primo non solo non risponde più ad alcun bisogno, ma addirittura se parlasse metterebbe paura perché portato ad impicciarsi pericolosamente “della cosa”, cioè di qualcosa che non è più cosa sua! E infatti rimane precario e non viene più aggiornato sia perché così costa meno, ma anche perché così è posto nelle condizioni di non poter dire nulla.
Le equipe, i collettivi infine al massimo rimangono come un trofeo che fa bella mostra di sé sulle pareti del cacciatore, che non è – si badi bene – il tecnico che dirige la struttura, ma il burocrate che fa gli affari con i politici di turno.
E in psichiatria il trofeo più in evidenza è la 180. O meglio: il carapace della 180!
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Bibliografia:
Adorno Th. W., Cultura ed amministrazione, in: Adorno Th. W., Scritti sociologici, Einaudi, Torino, 1976
D. Napolitani, “La struttura intermedia nel panorama psichiatrico”, in “Psicoterapia e scienze umane”, N° 4, 1986, pagg. 74/86.
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