Se questo fosse un incipit di un libro di storia o di un racconto che parla del passato o viceversa un libro di fantascienza che parla del futuro, potrebbe essere esattamente un libro che parla del nostro presente.
Molti di noi hanno potuto osservare e forse anche ammirare l'atto di eroismo civile di una giovane attivista svedese, Elin Ersson, che è riuscita a evitare (o molto probabilmente solo a rimandare) il rimpatrio forzato di un esule afgano, probabilmente destinato alla morte nel proprio paese, semplicemente opponendosi al decollo rimanendo in piedi sull'aereo.
La sua azione di resistenza non violenta è stata una specie di capolavoro comunicativo, un atto sociale di elevatissima rilevanza, in quanto è riuscita in un sol colpo a mettere assieme più piani: quello civico-politico, il problema dei visti per esuli politici in alcuni paesi europei; quello legale, la sua protesta è stata coraggiosa, misurata ed efficace; quello mediatico, un semplicissimo video virale che in poche ore fa il giro del mondo e solleva un polverone; ed infine quello puramente comunicativo nel quale le parole a difesa della propria azione di protesta sono state veicolate da contenuti emotivi dirompenti.
“Cosa è più importante la vita di un uomo o il vostro tempo?” ha ripetuto accoratamente Elin ai passeggeri dell'aereo, alcuni dei quali spazientiti per il mancato decollo del volo. E mentre dice questo molte lacrime hanno accompagnato queste parole.
Ecco, le lacrime per uno straniero che torna al proprio martoriato paese, cacciato da uno dei paesi più evoluti e ricchi del pianeta, probabilmente destinato come moltissimi altri suoi connazionali ad una ingloriosa fine. E da quest'altra parte il tempo, prezioso probabilmente, dei passeggeri di un aereo che trasporta persone in viaggio per affari o vacanza o anche solo per spostamenti autorizzati. Una gerarchia di valori capovolta senza alcun problema.
In questa epoca storica è diventato urgente accompagnare il discorso etico-politico con le lacrime empatiche di Elin. È diventato cioè urgente ristabilire la gerarchia valoriale per la quale la difesa dell'umanità dell'altro e della sua vita esige di essere ristabilita e ribadita. Sembra assurdo ma è proprio così.
Ma perché non si può fare a meno delle sue lacrime? Perché è necessario liberare la pancia emotiva e non possiamo limitarci ad utilizzare dei buoni argomenti razionali? Sono proprio necessarie le lacrime di Elin? A quanto pare sì.
Ce lo spiega il filosofo Paolo Virno, il quale ha approfondito in un suo saggio (Neuroni mirror, negazione linguistica, reciproco riconoscimento in “Forme di Vita” n° 2+3/2004 – Derive Approdi) il rapporto esistente tra empatia elementare (i neuroni mirror) e linguaggio e della possibilità che i costrutti sociali e linguistici hanno sia di negare l'umanità dell'altro che di recuperarla.
L'empatia elementare che caratterizza la struttura noi-centrica della nostra specie e confermata dall'esistenza di un substrato neurologico ad hoc (i neuroni mirror, appunto), è in ogni momento sabotabile e sospendibile da una negazione culturalmente sovrastrutturata. In ogni momento la negazione dell'umanità dell'altro è dietro l'angolo ed è sufficiente definire non-uomo chiunque abbiamo deciso possa occupare lo spazio paranoideo che abbiamo socialmente e politicamente costruito per lui. Nella storia questo evento non è solo costante ma assolutamente ricorrente e la nostra epoca si sta ricandidando a sdoganare la ferocia linguistica e non solo. Questo è sotto gli occhi di tutti e la cronaca non fa altro che confermarcelo. In Italia e in ogni paese occidentale, compresa la civilissima Svezia. Si aprono le fogne e i ratti escono indisturbati e legittimati. Le nostre parti meno civilizzate e meno evolute della nostra umanità riprendono il sopravvento.
Le lacrime di Elin, dunque, non hanno nulla di pietistico e lacrimevole, sono semplicemente il tentativo, riuscito, di riconnettere il piano emotivo che attiene alla nostra più antica natura noi-centrica con il piano politico del pieno riconoscimento dell'umanità dell'altro.
Grazie Luigi per questo tuo
Grazie Luigi per questo tuo contributo. Penso anche a noi psicologi come a persone che sanno alzarsi, se necessario anche da sole, interrompendo così il tempo coatto per introdurre il tempo della relazione profonda e del valore. Credo che anche per noi, come per tanti, sia venuto il momento di uscire dal coro e rischiare. Sono certa che in cambio ne avremo la possibilità di guardarci gli uni con gli altri con cuori rinnovati.
grazie a te Maria Teresa
grazie a te Maria Teresa