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Educazione sessuale e impossibilità d’amare: “Il segreto” dell’Anonimo Triestino

19 Ago 18

A cura di Sabino Nanni

Uno degli errori che, a parere di chi scrive, vengono commessi anche da chi desidera sinceramente aiutare i propri simili ad evolversi è frutto di superficialità e di fretta. S’individua una meta che si trova nella direzione del progresso, e ci si precipita su di essa, saltando a piè pari (ignorando, negando) tutti gli ostacoli che si oppongono al suo raggiungimento. Che un ragazzo, al momento della pubertà, superi i turbamenti che gli derivano da pregiudizi o disinformazione riguardo al sesso è una meta evoluta e desiderabile. Ma siamo sicuri che il pregiudizio sia l’unica fonte di turbamento? Possiamo essere certi che una “educazione” sessuale, fatta prevalentemente d’informazioni “corrette”, (ossia veritiere e prive di ogni forma di morbosità) sia sufficiente ed efficace per far accedere il giovane ad una vita sessuale sana e serena? L’Anonimo Triestino (pseudonimo dello scrittore Giorgio Voghera), nel suo capolavoro “Il segreto”, non è di questo parere. Una breve premessa: “Il segreto” è un romanzo palesemente autobiografico, in cui il protagonista Mino Zevi ci racconta la storia di un amore (il primo e l’unico della sua vita) che non seppe andare al di là della fantasia. Egli è tormentato da timidezza patologica che, nella sfera sessuale ed affettiva, si traduce in una completa inibizione. Mino è incapace persino di manifestare il suo sentimento alla ragazza che ama. Eppure, egli appartiene ad una famiglia evoluta, che si è sforzata di presentargli il rapporto tra i sessi in modo sereno, come fatto naturale. La paralisi sessuale ed affettiva di Mino si è rivelata non superabile “nonostante” gli sforzi educativi dei genitori, oppure è la stessa “educazione” che ha contribuito a crearla? Vediamo che cosa l’Autore ci dice in proposito:

 

“…il mio fu proprio un classico esempio di quanto poco serva l’educazione [sessuale]. Malgrado le molte spiegazioni che mi erano state date prima ancora che le chiedessi, malgrado che io stesso mi fossi interessato a questi problemi (…quasi con spirito di naturalista), arrivai all’adolescenza non sapendo e non comprendendo nulla, altrettanto e peggio di uno che fosse stato tenuto all’oscuro di tutto (…) La parte essenziale della vita sessuale non consiste in un fenomeno fisiologico, ma in un complesso di fenomeni prettamente psichici, e quindi incomprensibili a chi non ne abbia fatto esperienza diretta. È il sorgere di un nuovo istinto ciò che provoca la crisi dell’adolescenza, non già scoprire una verità concreta, prima ignorata (…) Credo però che il sorgere di un nuovo istinto non basti a spiegare la crisi dell’adolescenza. Il fenomeno acquista gravità per il fatto che l’istinto si manifesta quando l’animo umano è già sufficientemente sviluppato, quando già s’è formata una personalità. Infatti, quando ci si è formati ormai un chiaro concetto della propria individualità, si cerca istintivamente di mantenerla inalterata e di difenderla da ogni influenza estranea. Chi ha la coscienza di se stesso non vuol diventare un altro, non vuol saperne di istinti nuovi. (…) Non conoscevo quell’istinto dalla mia passata esperienza diretta, e nel mio mondo non sapevo trovare un posto per lui. E poco contava anche che i miei genitori mi avessero spiegato ogni cosa, come se si trattasse del fenomeno più naturale di questo mondo. Sentivo che tutt’attorno a me la gente faceva dei misteri, e capivo che ciò non era senza ragione. Capivo che in un essere razionale è insita la tendenza a celare ed a reprimere i propri istinti animali (…) E se, ammettiamo, il bisogno di mangiare nascesse a dodici anni, allora si mangerebbe di nascosto, ci si vergognerebbe di mangiare, si fantasticherebbe sull’istinto di prender cibo altrettanto e più di quanto si fantastica sull’istinto genetico” [pag. 108, 109].

 

Qui l’Anonimo Triestino (come succede sempre ai grandi Artisti) anticipa di diversi anni concetti che l’indagine clinica accerterà solo in epoca successiva. Egli menziona, come elemento cruciale della crisi della pubertà, l’incontro tra un “animo” (un Sé) già formato (definito, anche se non ancora del tutto consolidato) ed una pulsione, nuova e di grande intensità, che è frutto della maturazione fisiologica e che è in grado di scompaginare l’assetto acquisito sinora dalla mente del giovane. Sia l’Autore sia, in epoca successiva, Kohut c’informano che l’integrazione, o la mancata integrazione, di un “istinto animale” (una pulsione cieca, brutale, sganciata dalla vita affettiva del soggetto) possono segnare il destino di una persona. Una pulsione di questo genere è segno (effetto e possibile causa) di una “disintegrazione del Sé”. Si tratta di un problema interiore di ordine affettivo. Come tale, esso, se non si risolve spontaneamente, può essere affrontato e superato solo con l’aiuto della comprensione empatica e del sostegno di chi è più vicino al ragazzo e lo conosce nelle sue particolarità, e non con una pura e semplice informazione “asettica”. A nulla serve a Mino l’essere venuto a conoscenza della realtà oggettiva (fisiologica) della sessualità: il suo turbamento non deriva da ignoranza o da false conoscenze (da “pregiudizi”) riguardo al sesso; non riguarda il suo rapporto con la realtà esterna, ma è del tutto interiore ed intrinseco alla svolta evolutiva della sua pubertà. Trascurando quest’aspetto del problema, i genitori di Mino commettono l’errore di fornirgli informazioni sulla sessualità “prima ancora che egli le chieda”. Ciò significa ignorare che l’accesso alla sessualità richiede una preparazione interiore, ed in questa ogni singolo ragazzo ha i suoi tempi particolari, che vanno rispettati. La stessa, apparente ignoranza in materia sessuale spesso assume il carattere di una difesa che, in quel momento della vita, è necessaria: il ragazzo, in realtà, conosce il sesso (o potrebbe facilmente conoscerlo), ma si convince d’ignorarlo perché non si sente ancora pronto ad affrontarlo.
Un impatto prematuro (anche solo di ordine cognitivo e, ovviamente, ancor di più se concreto e reale) con il sesso contribuisce a precludere l’accesso ad una vita sessuale ed affettiva sana ed equilibrata. Una delle possibili conseguenze è la mancata integrazione (che diviene un’attiva scissione a carattere difensivo) tra aspetti “animaleschi” e quanto di più propriamente umano esiste nella mente. Freud descrisse questo quadro clinico all’inizio del secolo scorso, riconducendolo ad una dissociazione tra la corrente sensuale e quella affettiva della sessualità. Si tratta di persone (all’epoca di Freud di sesso esclusivamente maschile) sinceramente innamorate della fidanzata o della moglie, ma incapaci di un contatto sessuale con lei. La vita sessuale di costoro è limitata al rapporto con prostitute: essi “laddove amano non desiderano, e dove desiderano non possono amare”. Attualmente, l’aver superato del tutto pregiudizi e tabù riguardo al sesso (tuttavia ignorando gli aspetti interiori del problema), ha esteso il contatto prematuro con la sessualità, con le relative conseguenze patologiche, anche alle donne.
Un secondo tipo di evoluzione patologica è quella che riguarda Mino Zevi: in lui il conflitto tra desiderio e amore si risolve con un’inibizione che coinvolge l’uno e l’altro. Al povero Mino non resta che confinare la sua attrazione verso l’amata al solo ambito della fantasia. In essa egli pone tutta la sua ricchezza interiore (ciò costituisce la sostanza del romanzo), ma egli è condannato a rimanere, per tutta la vita, affettivamente frustrato e solo.
Ovviamente, un’educazione sessuale sbagliata non costituisce l’unica causa (e talora neppure la più importante) di una vita sessuale inibita o anomala. Lo stesso Mino Zevi (l’Autore) accenna ad importanti problemi che risalgono all’infanzia. Si tratta di conflitti la cui “azione differita” (“Nachträglichkeit” secondo Freud) si manifesta al momento del risveglio pulsionale della pubertà. Tuttavia il povero Mino non è certo stato aiutato a superarli dall’educazione sessuale che gli è stata impartita.
Le vicende di Mino Zevi ci pongono importanti interrogativi: può una “educazione sessuale” essere ridotta a pura informazione, o insegnamento di nozioni? Può un ragazzo ricevere un autentico aiuto, al momento della pubertà, in ambiente scolastico, da parte di insegnanti o psicologi che difficilmente lo conoscono in modo approfondito come individuo, e che quindi difficilmente riescono a instaurare con lui un rapporto empatico e personalizzato? Può un programma ministeriale, applicato all’intera popolazione scolastica, rispettare le particolarità individuali di ciascun allievo, in particolare i particolari tempi e modi che occorrono a ciascuno per accedere al sesso? Può essere esente da rischi una “educazione” sessuale impartita in età precoce, e riflettente le idee “rivoluzionarie” degli insegnanti (spesso in contrasto con quelle dei genitori), senza alcun riguardo alle particolari necessità interiori del piccolo?

Bibliografia
1.     Anonimo triestino (Giorgio Voghera) (1961) Il segreto (Einaudi 1980)
2.     Freud Sigmund (1910) Su un particolare tipo di scelta oggettuale dell'uomo (primo saggio di: Contributi alla psicologia della vita amorosa – O.S.F. Vol. 6 – Boringhieri – 1974)
3.     Kohut Heinz (1977) La guarigione del sè (Boringhieri 1980)

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