L’orgasmometro femminile deriva da uno analogo strumento, già in un uso in andrologia, che misura l’intensità dell’orgasmo nei maschi. Riproduce lo schema di di un test psicometrico che valuta la percezione soggettiva dell’intensità del dolore fisico. Già con questa loro scelta i ricercatori sono scivolati, al primo passo, in una caduta definitiva, irreparabile: il dolore fisico è invasivo, sospende la complessità dell’esperienza, crea l’esigenza impellente di liberarsene; il piacere orgasmico è psicofisico, ama la complessità e la persistenza della tensione che lo determina.
Come accade con tutti i misuratori, supposti scientifici, dell’esistenza, anche gli studiosi di Tor Vergata, endocrinologi e sessuologi, usano parametri grossolani e metodi di calcolo sofisticati. Cercano di dare misurazione oggettiva a una dimensione soggettiva. Definiscono percezione soggettiva dei vissuti la loro oggettivazione quantitativa (ho mangiato, ho sofferto, ho goduto poco, abbastanza, molto). Alterano così profondamente il rapporto tra segno oggettivamente percepibile di un’esperienza e il suo dispiegamento soggettivo che la rende esperibile, sottomettendo il secondo al primo.
La percezione soggettiva di un’esperienza è indissociabile dall’esperienza stessa. Ogni volta che la oggettiviamo, ne usciamo. Per accordarla alle condizioni oggettive in cui prende forma, in modo da proteggerla e facilitarla, o per liberarsene perché non riusciamo a reggerla. Il calcolo delle quantità in nessun modo può dar conto della qualità di ciò che viviamo contenente necessariamente un “non so che” di imprevedibile e incalcolabile. Per fortuna viviamo ancora in un modo in cui i robot
non hanno sostituito i cuochi (per fare un esempio meno impegnativo dell’orgasmo). Va da sé che la pasta affogata nella panna non è digeribile. La misurazione delle quantità supporta la vita, non la sostituisce.
L’orgasmometro misura, in realtà, solo se stesso, ciò è di moda in certi ambienti scientifici. A Tor Vergata si afferma che “costruirsi le esperienze, riconoscere i segnali del proprio corpo, seguirli e abbandonarvisi, capendo quando è il momento di perdere il controllo” consente di raggiungere un orgasmo intenso. È difficile godere se ci si concentra a leggere i segnali e saper stabilire il momento giusto per perdere il controllo è assai incompatibile con la possibilità di perderlo veramente. Senza tener conto del fatto che il problema reale (squisitamente di natura psichica) è la paura tout court di lasciarsi andare, a cui nessun calcolo dei tempi può porre rimedio.
Probabilmente i ricercatori romani scambiano l’abbandono e l’orgasmo con la scarica da ritardare. Il loro lavoro è infatti impostato sulla sessualità maschile. Dicono che l’uomo raggiunge l’orgasmo quasi in ogni condizione, mentre per la donna è più difficile. Maschio-centrici scambiano il godimento profondo con l’eiaculazione. Ignorano la seconda disfunzione sessuale maschile, oscurata dal fenomeno drammatico dell’eiaculazione precoce: l’eiaculazione ritardata che si realizza come sfogo, senza diventare orgasmo.
Il sapere tecnico può sostenere l’esperienza. Quando se ne appropria, la desoggettiva: la trasforma in un agire costruito a tavolino, uno schema comportamentale riproducibile a commando che produce un piacere meccanico.
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