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Il narcisismo paterno e i crimini delle figlie: Danao e Lear

9 Dic 18

A cura di Sabino Nanni

Se un genitore si attende dal rapporto con la sua prole un pieno appagamento narcisistico, senza limitazioni; se offre e pretende un rapporto esclusivo con i figli, in questi permarranno affetti primitivi, ambivalenti, che si risolveranno nel tradimento e nell’odio. La letteratura che ne offre due esempi in Danao (personaggio de “Le supplici” di Eschilo) e nel protagonista del “Re Lear” di Shakespeare nel loro rapporto con le figlie. In entrambe le tragedie notiamo l’assenza di una figura materna: quello verso il padre è l’unico affetto che le figlie hanno conosciuto crescendo. Danao pretende ed ottiene dalle figlie (le Danaidi) d’essere l’unico uomo che esse possano amare. Per tutti gli altri maschi, le ragazze hanno sviluppato una “innata avversione”, tanto che, per sfuggire ai loro pretendenti in Egitto, fuggono insieme al padre in Grecia, ad Argo. Già nel “parodo” della tragedia, la corifea (una delle Danaidi) ci fa capire che Danao è ispiratore e fomentatore della loro implacabile misandria, dell’odio per qualsiasi uomo che non sia il genitore:

 
“… andiamo errabonde.
Non che decreto d’alcuna città ci condanni
Ad esilio per colpe di sangue;
ma per l’innata avversione contro ogni maschio
detestiamo le nozze dei figli d’Egitto
e la loro perversa libidine.
Danao padre e guida,
ispiratore della rivolta, pesato ogni rischio,
scelse il disagio più fulgido:
perdutamente fuggire sull’onda del mare
fino agli approdi di Argo…” (pag. 9)
 
Danao si comporta, nei confronti delle figlie, come un fidanzato geloso:
 
“V’invito a non coprirmi di vergogna
Con la vostra giovinezza che attrae a sé gli uomini.
Tenero frutto non è mai agevole custodirlo:
lo deturpano le bestie e gli uomini assieme…”
 

Purtroppo, della trilogia di cui faceva parte (ed in cui viene rappresentata l’intera vicenda), ci è rimasta solo la tragedia “Le supplici”. Conosciamo, tuttavia, da altre fonti il seguito della storia. I pretendenti delle Danaidi finirono per ottenere il loro scopo sposandole. “Senonché la stessa notte delle nozze, su istigazione di Danao, ciascuna [delle figlie] sgozza il proprio marito. Una sola, Ipermnestra, risparmia [il novello sposo] Linceo, e dovrà perciò subire un processo intentatole dai suoi, uscendone alla fine salva in nome della santità della fede coniugale e per intervento di Afrodite [una figura materna protettiva idealizzata]” (pag. 5) Il narcisismo malato di Danao si rivela miope: se l’unico modo per prolungare la propria esistenza (e continuare ad amare se stessi) oltre la morte è proiettarsi nei figli, e nei figli dei figli, Danao, con il proprio atteggiamento assurdamente possessivo, decreta la fine della propria discendenza e quindi di se stesso: secondo Pindaro le Danaidi, come punizione per il crimine commesso, saranno condannate alla sterilità: è il totale fallimento dell’istanza narcisistica paterna. Al contrario, Ipermnestra, sottrattasi all’influenza malata del genitore, sarà l’unica figlia che lo ripagherà (immeritatamente) con una copiosa ed illustre discendenza: da lei “discenderanno i re d’Argo e, rampollo meraviglioso, Eracle”  (pag. 5)

 

Analogo atteggiamento assurdamente possessivo troviamo in re Lear: il protagonista della tragedia di Shakespeare, avendo deciso di cedere alle figlie il proprio regno ed i propri possedimenti, pretende da loro una professione di amore esclusivo e imperituro:

 
Lear: “Gonerilla, primogenita nostra, parla tu per prima”
Gonerilla: “Signore, io vi amo più di quanto
la parola possa dire, più caro voi mi siete
della vista degli occhi, di spazio e libertà…”
     
Subito dopo:
 
Lear: “Che cosa dice la nostra seconda figlia,
l’amatissima Regana, sposa di Cornovaglia?”
Regana: “…scopro
che trovo felicità soltanto nell’amore
dell’amata Altezza vostra”
(pag. 9)
 

La vanità paterna viene del tutto appagata da Gonerilla e Regana (che presto, come sappiamo, ottenuta l’eredità, tradiranno il genitore, espellendolo persino dal palazzo); viceversa, una delusione attende Lear nel momento in cui interpella l’ultimogenita Cordelia:

 
Lear: “… E ora,
nostra gioia, sebbene l’ultima e la più piccola…
… cosa sai dire per guadagnarti un terzo
più opulento di quello delle tue sorelle?”
Cordelia: “Niente, mio signore”
Lear: “Niente?”
Cordelia: “Niente”
Lear: “Dal niente nasce il niente: parla ancora”
Cordelia: “…amo Vostra Maestà secondo il mio legame: ne più né meno”
Lear: “Suvvia Cordelia! Correggi un po’ il tuo discorso
se non vuoi guastare le tue fortune”
Cordelia: “Mio buon signore, voi mi avete generata,
nutrita, amata. Io ripago quei debiti…
Perché le mie sorelle hanno un marito,
se dicono di amare solo voi?
Se mai mi sposerò
il signore la cui mano avrà il mio pegno
prenderà con sé metà del mio amore…
… certo non mi sposerò, come le mie sorelle,
per amare soltanto mio padre”
 
Lear non la prende per niente bene:
 
Lear: “Così giovane e così impietosa?”
Cordelia: “Così giovane, mio signore, e così sincera”
Lear: “E così sia! La tua sincerità sia dunque
la tua dote, e infatti…
…qui io ripudio ogni mia cura paterna
affinità e legame di sangue, e d’ora in poi
ti avrò per sempre straniera al mio cuore e a me…”
(pag. 11, 13)
 

Cordelia, l’unica delle tre figlie che non si lascia coinvolgere nel rapporto malato col padre, sarà anche l’unica a rimanergli fedele: solo lei correrà a soccorrere Lear, privato del suo potere, delle ricchezze e persino scacciato dalla casa.     

 

Le Danaidi (con l’eccezione di Ipermnestra) e le prime due figlie di Lear rivelano una grande aggressività, che dà luogo a veri e propri comportamenti criminali: le figlie di Danao uccidono i mariti, pur di sfuggire al rapporto adulto con un uomo; Gonerilla e Regana, avendo sottratto al padre, con le lusinghe, i suoi beni, lo espellono dal palazzo, abbandonando il genitore solo e malato. Al contrario, Ipermnestra e Cordelia, pur sfidando l’ira del padre per non aver assecondato le sue pretese, si rivelano tuttavia figlie affettuose e sane.
Come spiegare queste differenze? Ritengo che le cause dei comportamenti perversi e criminali delle figlie siano da ricercarsi nell’assenza di una triangolazione edipica (manca, in entrambe le tragedie, una figura materna) e nell’atteggiamento possessivo del padre. La conseguenza è che, nelle Danaidi, in Gonerilla e in Regana, permane un’affettività infantile, immatura, estremamente ambivalente. Solo la soluzione del conflitto edipico, permettendo alle fanciulle di differenziare i propri affetti (ripartendoli tra marito, figli, e padre) permette di accedere a rapporti adulti e sani, più appaganti e meno ambivalenti. Questo avviene in Ipermnestra e in Cordelia: probabilmente in virtù di una costituzione più salda (meno vulnerabile nei confronti dell’amore paterno malato) e di vicende precoci più fortunate, le giovani hanno potuto instaurare, nella loro vita interiore, un oggetto-interno-madre che le guida verso una vera scelta di tipo adulto; in Ipermnestra questa madre idealizzata è rappresentata da Afrodite.
Riguardo ai padri, la tragedia di Danao e di Lear è quella di un narcisismo immaturo e malato, che non accetta limitazioni; non tollera lo scorrere del tempo e la precarietà della vita. Questi padri non riescono ad accettare che solo cedendo la figlia al suo sposo, e la continuità della propria esistenza (oltre la morte) ai figli e ai figli dei figli, potrà essere possibile evitare il più terribile fallimento dell’istanza narcisistica: la fine di loro stessi e, quel che è peggio, la fine di loro stessi proiettati nella propria discendenza.  

 
Bibliografia
1.     Eschilo  (490 A.C.) “Le supplici” (in: Eschilo Le tragedie – Einaudi 1966)
2.     Shakespeare William (1605?) Re Lear (Garzanti 1991)

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2 Commenti

  1. manlio.converti

    Guardi che Re Lear è una
    Guardi che Re Lear è una fiction teatrale, poesia… invenzione…
    La realtà è un’altra e la guarda inebetita…in tutta la sua mutevole complessità…
    Poi partire in quarta con i pregiudizi sui genitori troppo affettuosi e i danni psicologici. Forse sarà vero per un paio dei suoi pazienti e allora per loro lei potrà usare questa METAFORA… ma una metafora non è la realtà…
    E soprattutto i casi reali superano ampiamente quelli che lei opina essere dannosi per la prole.

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    • nanni.sabino

      Evidentemente lei non ritiene
      Evidentemente lei non ritiene che i grandi Artisti, con la loro spiccata sensibilità per la vita interiore, abbiano molto da suggerire a noi clinici. A suo parere, quindi, questa rubrica è inutile. Niente di grave, in quest’ultima cosa, se non fosse che lei pare invitare i Colleghi a gettare nella spazzatura qualcosa come 5000 anni di cultura umanistica, in cui l’Artista ha compreso e rappresentato aspetti che gente più comune, come me, lei e tutti noi clinici, non sempre sa vedere di primo acchito. Mi consola la certezza che Sofocle, Dante, Shakespeare, Dostoewskij, e tanti altri, se vivessero, se ne farebbero una ragione del suo parere negativo. E sicuramente se ne fa una ragione chi li sa veramente capire ed apprezzare.

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