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1927- Il Discorso dell’Ascensione di Benito Mussolini

1 Feb 19

A cura di Luigi Benevelli

Il 28 maggio 1927, festa religiosa dell’Ascensione, il Duce Benito Mussolini tenne alla Camera dei Deputati un discorso poi detto “dell’Ascensione” nel quale esaltò il "numero come potenza", esaminò la situazione del popolo italiano dal punto di vista “della salute  fisica e della razza” e passò in rassegna il nuovo assetto amministrativo dando, infine,  “le direttive politiche generali attuali e future dello Stato”.  Il discorso fu importante perché declinò i tratti delle politiche razziali del Regime.
Il Fascismo adottò una eugenetica quantitativa di stampo pronatalista. Le politiche per la salute della razza italiana erano state formalmente inaugurate con l’Istituzione dell’Opera nazionale Maternità e Infanzia (O.N.M.I.) –  legge 10 dicembre 1925, n. 2277- vero e proprio asse portante dell’eugenetica del Regime[1].
L'O,N.M.I.  rispondeva all’esigenza del Fascismo di affermare la propria concezione della donna-madre (per la "modernizzazione della maternità") e seguire l’educazione delle  giovani generazioni fin dalla prima infanzia: all’istituzione dell’ONMI  seguirà quella dell'Opera Nazionale Balilla (1926), che confluirà nel 1937 nella Gioventù Italiana del Littorio.
I 5.700 istituti che in Italia si occupavano di maternità e infanzia soffrivano di scarsità di risorse: per ovviare a tale situazione si era stata decisa la tassa sul celibato “alla quale forse in un non lontano domani potrebbe far seguito la tassa sui matrimoni infecondi”.
Nel 1926 fu messo fuori legge l'aborto, in quanto “crimine contro lo Stato”, e venne vietata qualsiasi propaganda in favore di metodi anticoncezionali.
Grande era la preoccupazione per la denatalità, se si escludeva la Basilicata, alla quale Mussolini tributava il suo “plauso sincero perché essa dimostra la sua virilità e la sua forza, […] evidentemente non ancora sufficientemente infettata da tutte le correnti perniciose della civiltà contemporanea”, in primis l’urbanesimo industriale che porta alla sterilità delle popolazioni e la piccola proprietà rurale. Per non parlare della “infinita vigliaccheria morale delle classi cosiddette superiori della società. Se si diminuisce, signori, non si fa l’Impero, si diventa una colonia!!”.
Mussolini riportò i dati fornitigli dalla Direzione Generale di Sanità del Ministero dell’Interno, diretta dal prof. Alessandro Messea[2], per i quali le malattie sociali erano in preoccupante sviluppo. Per contrastarne la recrudescenza annunciò che era stata intensificata la “difesa sanitaria alle frontiere marittime e terrestri della Nazione”[3], ci si era occupati “dell’igiene scolastica, dei servizi antitubercolari, della lotta contro i tumori maligni, della vigilanza sugli alimenti e le bevande, delle opere igieniche”. Erano comunque da registrare alcuni successi, fra cui rilevante era la scomparsa della pellagra a causa della quale si erano registrati 198 morti ancora nel 1922. Rilevanti invece rimanevano le cause di morte per tubercolosi (59.000 nel 1925). Forte preoccupazione causava l’alcoolismo: al riguardo erano già state chiuse 25.000 delle ben 187.000 osterie aperte in Italia, mentre “Anche la mortalità per pazzia è in aumento e in aumento il numero dei suicidi”.
 

 
 

[1] L'ONMI, amministrata da un consiglio centrale con sede a Roma, dirigeva e coordinava le attività delle proprie istituzioni locali, diffuse in modo capillare sul territorio nazionale. L'organizzazione era piramidale: al Consiglio Centrale rispondevano le Federazioni provinciali, le quali a loro volta controllavano l'operato dei Patronati comunali, alla base. Le cariche erano quadriennali.  A livello comunale, oltre ai medici specialisti nello staff dell’ONMI entravano di diritto l'ufficiale sanitario, il direttore didattico o un maestro e un sacerdote. I '"patroni" e le "patronesse" (che comparivano nella titolatura di "patronato comunale") erano generalmente scelti tra esponenti della vita locale, di solito indicate dal Sindaco, che avessero fatto  esperienze nelle attività assistenziali.
Con l’istituzione dell'ONMI  le politiche per l’infanzia e la famiglia passarono dalla beneficenza, per gran parte a gestione privata,  all’assistenza pubblica controllata dallo Stato. Si affermò la sanitarizzazione di tutto il personale, costituito da specialisti in pediatria (professione ufficializzata nel 1932),  ostetricia (nel 1937 il termine ostetrica prende il posto di levatrice),   otorinolaringoiatriadermosifilopatia e, in seguito, neuropsichiatria infantile.

 
[2] Alessandro Messea (1862-1949), medico , allievo di Bizzozzero a Torino, si dedicò allo studio della microbiologia e della parassitologia. Operò nella Sanità Pubblica della cui Direzione generale fu responsabile dal 1924 al 1930.
[3] Erano stati “derattizzati novemila bastimenti, cioè si sono uccisi quei roditori che portano dall’Oriente malattie contagiose; quell’Oriente donde ci vengono molte cose gentili, febbre gialla e bolscevismo…”.
 

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