Il PTSD può esser considerato una patologia del processo di memorizzazione di un determinato evento. Come sappiamo, il ricordo di un evento confluisce nella memoria a lungo termine, a seguito di un lavoro di processamento che prevede un processo di scomposizione degli elementi del ricordo:
- gli aspetti emotivi dell'evento, vengono ritenuti dall'amigdala
- gli aspetti episodici dell'evento, vengono ritenuti dall'ippocampo
A seguito di questa elaborazione da parte di queste strutture arcaiche del cervello, il ricordo ritorna alla corteccia e viene “cognitivizzato”, divenendo parte integrante della storia del soggetto, e vissuto come qualcosa di pensabile poiché “successo nel passato”. Il sonno svolge, in questo, una funzione di “culla” dell'elaborazione del ricordo (si approfondisca qui: https://www.frontiersin.org/articles/10.3389/fpsyg.2017.01935/full)
Nel PTSD, tuttavia, qualcosa va storto, e il ricordo dell'evento non riesce a essere processato e cognitivizzato, rimanendo intrappolato nelle zone più profonde della struttura cerebrale, il che porta due conseguenze:
- verbalizzare l'evento, non basta, e non sembra essere d'aiuto per elaborare il ricordo
- un'attivazione di ippocampo e soprattutto amigdala, produce una protratta condizione di alterazione neurofisiologica, e il permanere dell'individuo in uno stato alterato di minaccia costante e stato fight/flight
Molteplici evidenze hanno inoltre messo in evidenza (come ho scritto qui) come in situazioni di questo tipo l'intervento regolatore e frenante della corteccia prefrontale, non sia efficace, e di fatto il soggetto rimanga in balia di un'eccitazione anomala di amigdala e ippocampo.
A proposito di questo, ricordiamo come ciò che viene comunemente definita “resilienza” è da intendersi come una efficiente capacità di regolare l'impatto di un trauma per via pre-frontale, quindi per via top-down, dalla corteccia agli strati più profondi del cervello.
Nel caso in cui questo non avvenga, il soggetto rimane preda di uno stato permanente di minaccia percepita (RISPOSTA A).
Quando invece lo stress post-traumatico diviene estremo, esiste la possibilità che la mente metta in atto una risposta di tipo dissociativo, concomitante, invece, a un'iper-risposta regolativa prefrontale. Abbiamo qui visto come il meccanismo del PTSD funzioni a “dente di sega”, e che oltre una certa soglia di attivazione, intervenga un meccanismo di collasso del sistema in favore, appunto, di uno stato dissociativo (RISPOSTA B). Ruth Lanius, prima linkata, è molto chiara su questo. Lo stato dissociativo si accompagna a una prevalente attivazione del sistema parasimpatico, con:
- ipoattivazione del sistema nervoso periferico
- sudorazione
- diminuzione del battito cardiaco
Nel 90% dei casi, la risposta post-traumatica, è la risposta A (iper-attivazione e iper-mobilizzazione). Nel 10% dei casi, la risposta è di tipo prevalentemente dissociativo.
Per chi volesse approfondire in senso più tecnico, questo corso tenuto da Marco Pagani del Cnr rappresenta un'ottima risorsa.
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