In un lungo ed ancora in corso contenzioso tra FENASCOP, l’associazione che rappresenta le strutture residenziali psichiatriche extra ospedaliere e la Regione Liguria insieme a A.Li.Sa. (Azienda Ligure Sanitaria della Regione Liguria), il TAR Liguria accolse il ricorso di FENASCOP che si opponeva ad un sistema di sconti e riduzioni tariffarie (ne scrivemmo qui).
A.Li.Sa. e Regione Liguria però appellarono al Consiglio di Stato ed emanarono altri provvedimenti (impugnati anch’essi da FENASCOP e ancora pendenti nei giudizi davanti al TAR Liguria) per poter continuare ad applicare la disciplina annullata dal Giudice Amministrativo, mediante modifiche che avrebbero dovuto, nelle intenzioni, cercare di “sterilizzare” le impugnazioni ancora pendenti proposte da FENASCOP e dalle Associazioni che rappresentano le strutture per disabili, a cui si sono aggiunte le strutture extra ospedaliere per le persone con problematiche da dipendenza.
Dopo aver respinto la richiesta di sospensiva della Sentenza di primo grado, ora il Consiglio di Stato ha rigettato anche l’appello proposto da A.Li.Sa. e sostenuto dalla Regione Liguria.
La Sentenza (qui il testo integrale) è particolarmente complessa e difficile da leggere, ma rappresenta una ennesima sconfitta della linea regionale ligure in materia di contratti e tariffe. Linea goffamente ispirata al sistema lombardo senza mutuarne gli aspetti positivi, orientata senza dubbio a favorire l’ingresso di nuovi operatori nazionali ed internazionali nel Servizio sanitario Regionale Ligure e garantire la sopravvivenza e la nascita delle sole strutture di più grandi dimensioni, con inevitabili nefaste conseguenze in materia di istituzionalizzazione dei pazienti. Ma la Sentenza mette alcuni punti fermi a tutela dei pazienti e delle strutture.
Il Consiglio di Stato ha infatti affermato, nel respingere l’appello della Azienda Ligure Sanitaria della Regione Liguria che “in teoria” un sistema di scontistica e regressione tariffaria basato su “economie di scala” (i provvedimenti prevedevano ad esempio il dimezzamento delle tariffe per le prestazioni rese oltre il 95% del budget annuale assegnato alla struttura; l’abbattimento del 30% della tariffa per i pazienti ultra sessantacinquenni di età che non fossero trasferiti in altra struttura a minore intensità terapeutica e per quelli ospitati oltre 36 mesi in Comunità terapeutiche Psichiatriche) non è di per sé automaticamente illegittimo. Ma diventa illegittimo se tramutato in provvedimenti che, attraverso una adeguata istruttoria, non dimostrino che la percentuale di budget determinata oltre la quale è ammessa la “regressione tariffaria” (la riduzione tariffaria), consente comunque al paziente di ricevere cure adeguate e alla struttura di veder garantita la sostenibilità economica e il diritto ad una remunerazione corrispondente alle prestazioni sanitarie rese, per le quali deve, anche lavorando a tariffa ridotta, rispettare gli standard di accreditamento, sempre più onerosi e stringenti. Ecco tutto questo secondo il Consiglio di Stato. “qualora si ritenesse applicabile il principio dell’utilità marginale, la quantificazione delle sue conseguenze – ovvero la determinazione delle fasce del budget assoggettate a riduzione tariffaria – dovrebbe conseguire da un’analisi specifica dell’accertamento e dell’incidenza dei costi in concreto riducibili” Determinazione che, nei provvedimenti anche recenti, dell’amministrazione regionale ligure è completamente assente: si dice che aumentando le prestazioni da rendere, si riducono i costi: ma non si dimostra che ciò accada, quanto accada, rispetto a quali costi accada. E non si dimostra come e quanto la riduzione dei costi corrisponda alla riduzione tariffaria; non si dimostra che comunque la sostenibilità economica del sistema sia garantita.
Deve invero osservarsi che l’Amministrazione appellante non ha esibito in giudizio i dati da cui sono state ricavate le percentuali del budget oltre le quali scatta il meccanismo di regressione tariffaria e le stesse previste percentuali di riduzione: dati la cui acquisizione, in funzione dell’adozione dei provvedimenti impugnati, sarebbe stata imprescindibile, al fine di verificare che il meccanismo in discorso sia compatibile con i concorrenti principi di remuneratività delle tariffe e di effettiva facoltatività delle prestazioni cd. marginali.
Sarebbe invece stato necessario, sulla scorta di una approfondita analisi delle voci di costo sottostanti le tariffe regionali, individuare quelle interessate dalle ipotizzate economie di scala, tenuto conto della specificità delle prestazioni de quibus e delle strutture deputate ad erogarle: invero, se la determinazione della soglia applicativa della regressione, correlata a volumi prestazionali prossimi al limite di budget, può ritenersi prima facie fondata su una ragionevole presunzione di riduzione di alcune voci di costo, a diversa conclusione deve pervenirsi con riguardo alle (significative) percentuali di regressione tariffaria, in ordine alle quali maggiormente evidente è il deficit istruttorio lamentato dalle appellate, con riguardo alla tipologia dei costi interessati dall’abbattimento e della relativa misura.
Il comportamento processuale dell’Amministrazione, unitamente alla mancata menzione dei dati istruttori predetti nel contesto dei provvedimenti impugnati, non possono quindi che avvalorare la censura di carenza istruttoria lamentata dalle appellate.”
Insomma, e questo è certamente discutibile in un campo così delicato come la sanità pubblica e nello specifico l’assistenza psichiatrica, il Consiglio di Stato “apre” alla possibilità di sconti e regressioni tariffarie, conferma ed anzi amplia i margini di manovra delle amministrazioni regionali, ma con precisi paletti che, se rispettati, alla fine, in un percorso circolare, lasciano ben poco spazio alle “teoricamente possibili” scontistiche sulla pelle dei pazienti e di chi li cura. Salvo dimostrare che sono concretamente possibili: cosa non facile e sottoposta comunque all’eventuale vaglio del Giudice Amministrativo, in caso di impugnazione.
A.Li.Sa. e Regione Liguria però appellarono al Consiglio di Stato ed emanarono altri provvedimenti (impugnati anch’essi da FENASCOP e ancora pendenti nei giudizi davanti al TAR Liguria) per poter continuare ad applicare la disciplina annullata dal Giudice Amministrativo, mediante modifiche che avrebbero dovuto, nelle intenzioni, cercare di “sterilizzare” le impugnazioni ancora pendenti proposte da FENASCOP e dalle Associazioni che rappresentano le strutture per disabili, a cui si sono aggiunte le strutture extra ospedaliere per le persone con problematiche da dipendenza.
Dopo aver respinto la richiesta di sospensiva della Sentenza di primo grado, ora il Consiglio di Stato ha rigettato anche l’appello proposto da A.Li.Sa. e sostenuto dalla Regione Liguria.
La Sentenza (qui il testo integrale) è particolarmente complessa e difficile da leggere, ma rappresenta una ennesima sconfitta della linea regionale ligure in materia di contratti e tariffe. Linea goffamente ispirata al sistema lombardo senza mutuarne gli aspetti positivi, orientata senza dubbio a favorire l’ingresso di nuovi operatori nazionali ed internazionali nel Servizio sanitario Regionale Ligure e garantire la sopravvivenza e la nascita delle sole strutture di più grandi dimensioni, con inevitabili nefaste conseguenze in materia di istituzionalizzazione dei pazienti. Ma la Sentenza mette alcuni punti fermi a tutela dei pazienti e delle strutture.
Il Consiglio di Stato ha infatti affermato, nel respingere l’appello della Azienda Ligure Sanitaria della Regione Liguria che “in teoria” un sistema di scontistica e regressione tariffaria basato su “economie di scala” (i provvedimenti prevedevano ad esempio il dimezzamento delle tariffe per le prestazioni rese oltre il 95% del budget annuale assegnato alla struttura; l’abbattimento del 30% della tariffa per i pazienti ultra sessantacinquenni di età che non fossero trasferiti in altra struttura a minore intensità terapeutica e per quelli ospitati oltre 36 mesi in Comunità terapeutiche Psichiatriche) non è di per sé automaticamente illegittimo. Ma diventa illegittimo se tramutato in provvedimenti che, attraverso una adeguata istruttoria, non dimostrino che la percentuale di budget determinata oltre la quale è ammessa la “regressione tariffaria” (la riduzione tariffaria), consente comunque al paziente di ricevere cure adeguate e alla struttura di veder garantita la sostenibilità economica e il diritto ad una remunerazione corrispondente alle prestazioni sanitarie rese, per le quali deve, anche lavorando a tariffa ridotta, rispettare gli standard di accreditamento, sempre più onerosi e stringenti. Ecco tutto questo secondo il Consiglio di Stato. “qualora si ritenesse applicabile il principio dell’utilità marginale, la quantificazione delle sue conseguenze – ovvero la determinazione delle fasce del budget assoggettate a riduzione tariffaria – dovrebbe conseguire da un’analisi specifica dell’accertamento e dell’incidenza dei costi in concreto riducibili” Determinazione che, nei provvedimenti anche recenti, dell’amministrazione regionale ligure è completamente assente: si dice che aumentando le prestazioni da rendere, si riducono i costi: ma non si dimostra che ciò accada, quanto accada, rispetto a quali costi accada. E non si dimostra come e quanto la riduzione dei costi corrisponda alla riduzione tariffaria; non si dimostra che comunque la sostenibilità economica del sistema sia garantita.
Deve invero osservarsi che l’Amministrazione appellante non ha esibito in giudizio i dati da cui sono state ricavate le percentuali del budget oltre le quali scatta il meccanismo di regressione tariffaria e le stesse previste percentuali di riduzione: dati la cui acquisizione, in funzione dell’adozione dei provvedimenti impugnati, sarebbe stata imprescindibile, al fine di verificare che il meccanismo in discorso sia compatibile con i concorrenti principi di remuneratività delle tariffe e di effettiva facoltatività delle prestazioni cd. marginali.
Sarebbe invece stato necessario, sulla scorta di una approfondita analisi delle voci di costo sottostanti le tariffe regionali, individuare quelle interessate dalle ipotizzate economie di scala, tenuto conto della specificità delle prestazioni de quibus e delle strutture deputate ad erogarle: invero, se la determinazione della soglia applicativa della regressione, correlata a volumi prestazionali prossimi al limite di budget, può ritenersi prima facie fondata su una ragionevole presunzione di riduzione di alcune voci di costo, a diversa conclusione deve pervenirsi con riguardo alle (significative) percentuali di regressione tariffaria, in ordine alle quali maggiormente evidente è il deficit istruttorio lamentato dalle appellate, con riguardo alla tipologia dei costi interessati dall’abbattimento e della relativa misura.
Il comportamento processuale dell’Amministrazione, unitamente alla mancata menzione dei dati istruttori predetti nel contesto dei provvedimenti impugnati, non possono quindi che avvalorare la censura di carenza istruttoria lamentata dalle appellate.”
Insomma, e questo è certamente discutibile in un campo così delicato come la sanità pubblica e nello specifico l’assistenza psichiatrica, il Consiglio di Stato “apre” alla possibilità di sconti e regressioni tariffarie, conferma ed anzi amplia i margini di manovra delle amministrazioni regionali, ma con precisi paletti che, se rispettati, alla fine, in un percorso circolare, lasciano ben poco spazio alle “teoricamente possibili” scontistiche sulla pelle dei pazienti e di chi li cura. Salvo dimostrare che sono concretamente possibili: cosa non facile e sottoposta comunque all’eventuale vaglio del Giudice Amministrativo, in caso di impugnazione.
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