Percorso: Home 9 Psicoterapie 9 Arte e Psiche 9 CLINICA E ARTE: Solita risposta alle solite critiche

CLINICA E ARTE: Solita risposta alle solite critiche

27 Mar 19

A cura di Sabino Nanni

Per quale motivo il clinico dovrebbe rivolgersi all’Arte? Che nesso esiste fra la psichiatria e la poesia, o la pittura, o la musica? Kohut parlò di “funzione anticipatrice dell’Arte”. Si tratta di questo: l’Artista coglie intuitivamente e rappresenta realtà interiori che solo dopo diversi decenni (a volte secoli), l’indagine clinica arriverà a comprendere con maggiore esattezza. In una prospettiva cronologica “sequenziale”, si ritiene che ciò che è stato colto in un certo periodo influenzi quanto viene compreso in epoca successiva. Tuttavia, è ancora più interessante considerare la prospettiva opposta: che il presente “influenzi il passato”, ossia che quanto si è appreso in epoca recente ci consenta di vedere i testi del passato sotto una luce completamente diversa da come li si considerava allora. L’Autore del passato può aver espresso concetti nuovi per il suo tempo, ma in una forma embrionale, senza averne compreso lui stesso appieno la portata e le implicazioni; concetti che saranno sviluppati e chiariti solo in epoca successiva. Altre volte (molte volte), la lettura di testi del passato con “il senno di poi” ci offre suggerimenti del tutto nuovi. Essi sono il prodotto della riflessione del lettore. Scrive Ogden a questo proposito. “Ogni scritto richiede che il lettore dia un suo contributo di verità a quanto espresso dall’autore, lo assista. C’è sempre un qualcosa che l’autore conosceva, ma non sapeva (pienamente) di conoscere. Il lettore diviene sempre, in qualche misura, il co-autore del testo” (Ogden, 2004, pag. 594). Ecco perché, quale fonte di nuovi suggerimenti per il clinico, la lettura dell’Odissea, o del MacBeth, o della Interpretazione dei sogni non è meno importante di quella della relazione clinica o del testo di psicopatologia più aggiornati. Ecco anche perché, per lo psichiatra, possedere una cultura generale è ancora più importante di quanto lo sia per gli altri professionisti. La psicologia del profondo, applicata ai testi letterari, non fa altro che tradurre in un linguaggio scientifico (fruibile nell’attività clinica) quanto lo scrittore aveva già compreso ed espresso in termini poetici. In questo campo, lo psicopatologo ha molto di più da imparare dal poeta, di quanto abbia da insegnargli.
Un’altra obiezione che si muove ad ogni interpretazione, in termini di psicologia del profondo, di un testo letterario, è che essa tenderebbe a “psichiatrizzare” la realtà umana descritta dall’autore. Qui si fraintende un importante concetto freudiano: quello della universalità di costellazioni inconsce, comuni alla persona sana e al malato. Nel corso della crescita dell’individuo sano, si stratificano e sovrappongono livelli di funzionamento mentale progressivamente più evoluti, si creano strutture difensive e compensative, si determina una maggiore aderenza alla realtà esterna. Il risultato di tutto questo è che le costellazioni inconsce, più primitive, divengono sempre meno visibili, pur persistendo e contribuendo attivamente al funzionamento mentale. Come in un cristallo le linee di clivaggio si rendono visibili solo quando esso si rompe, allo stesso modo quel che nel sano é nascosto si palesa solo quando insorge la malattia [Freud, 1915]. Questo è il motivo per cui lo studio della patologia contribuisce in modo decisivo alla comprensione del funzionamento mentale sano. Ecco anche perché, se si considera quel che ci accomuna a livello inconscio, ci si rende conto che il paziente psichiatrico (anche quello più grave) è molto più simile a noi di quanto porterebbe a credere un’indagine superficiale. Lo scrittore (e, in generale, l’artista) non è mai superficiale. Egli ci suggerisce sempre qualcosa di più, sulla natura umana, di quanto vorrebbe il senso comune. Ecco perché, nei testi letterari più validi, i personaggi mentalmente “normali” ci appaiono sempre diversi da come s’intende di solito la “normalità”, meno “normali” di come li s’intende comunemente. Lo scrittore ci rende empaticamente comprensibili le realtà umane che, considerate isolatamente ed in modo superficiale, apparirebbero come manifestazioni di pazzia. Non si tratta, quindi, di psichiatrizzare le manifestazioni sane ma, al contrario, di ricondurre al mondo dei sani la pazzia; e questo creando un ponte di comprensione empatica con quanto abitualmente appare folle. 

Loading

Autore

0 commenti

Invia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Caffè & Psichiatria

Ogni mattina alle 8 e 30, in collaborazione con la Società Italiana di Psichiatria in diretta sul Canale Tematico YouTube di Psychiatry on line Italia