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Amore che sana, amore che distrugge, amore troppo tardivo

16 Apr 19

A cura di Sabino Nanni


Non sempre il sentimento dell’amore svolge la sua funzione positiva di legame tra esseri umani, non sempre è capace di sanare le situazioni difficili. Se immaturo, l’amore può rivelarsi distruttivo: si va dai matrimoni finiti malamente, con separazioni tormentate ed odio reciproco tra i coniugi, fino all’estremo dell’uxoricidio-suicidio. A quest’argomento ho dedicato giorni fa un post  su Facebook, che riporto qui sotto:

 

Quando alla idealizzazione iniziale subentra una considerazione più realistica del/la proprio/a partner, si scopre inevitabilmente qualche aspetto difficilmente sopportabile di questa persona. Tuttavia se, mettendosi empaticamente nei suoi panni, si riesce a comprenderne le ragioni (e se si perseguono di comune accordo importanti progetti, come ad esempio l’educazione dei figli), un buon rapporto è possibile. Forse è solo il sentimento che anima quest’ultimo tipo di rapporto che meriterebbe il nome di “amore”, perché rivolto alla persona reale, e non ad un’immagine della fantasia; e solo questo amore può rivelarsi costruttivo. Viceversa, lo “amore” fatto solo d’idealizzazione è un sentimento primitivo, che può volgersi facilmente nel suo opposto e provocare conseguenze rovinose. Ecco perché, quando si dice che lo “amore” sana tutto (ma proprio tutto), ritengo si dica qualcosa di sbagliato. L’amore è una forza positiva (e può sanare molte situazioni, ma non tutte) solo se governato dall’empatia e temperato da un certo realismo. In assenza di questi può diventare un’arma micidiale.

 

Aggiungo a quanto sopra che l’amore, se sentimento maturo, richiede la capacità di prendere occasionalmente distanza dalla persona amata, quando s’incontrano in costui/costei aspetti insopportabili. Se ciò non avviene, ci si trova nelle condizioni di un bambino indifeso, in balìa della follia del genitore, tutt’uno con lui, troppo coinvolto, troppo bisognoso del suo affetto, per poter capire quel che sta succedendo. È necessario che, al bambino, subentri l’osservatore adulto più distaccato, più in grado di riflettere con calma, in modo autonomo, e di capire. A volte, questo maggiore distacco (e, con esso, la possibilità di comprendere e di riconciliarsi) si verifica… quando il rapporto è finito. Queste considerazioni mi sono venute in mente trattando un paziente, tormentato da angoscia e depressione venate di rimpianto per un rapporto finito male. Sulla base di una reverie, suscitata dal contatto con lui, ho scritto una poesia, (da giudicarsi per quel che vale da un punto di vista artistico), da intendersi, più che altro, come “sottoprodotto” della mia comprensione empatica di questa persona. Eccola:

 
Ora che le tue asperità non possono più urtare
Le mie piaghe, ora che ho solo cicatrici,
Ora che non mi serve più il tuo affetto,
Ma solo che tu viva, come puoi,
Ora che non ti posso più incontrare,
Io ti potrei comprendere ed amare.

 

I rapporti in cui questo occasionale e necessario distacco è più facilmente adottabile sono quelli equilibrati, ossia fra persone DIVERSE, ma di pari valore e dignità; persone che si completano vicendevolmente, pur essendo ciascuna potenzialmente autosufficiente. Viceversa il distacco risulta molto difficile (se non impossibile) in quei rapporti sbilanciati, in cui uno dei due partner è dipendente dall’altro, e quest’ultimo è legato al primo dalla fierezza d’essere stato prescelto come “guida”. Sono rapporti che non possono sottrarsi ad affetti primitivi, fortemente ambivalenti, che facilmente possono volgersi nel loro opposto. La dipendenza in età infantile offre il vantaggio d’essere destinata a terminare con la crescita dell’individuo. Se essa persiste in età (cronologica) adulta, gli affetti primitivi non possono trovare una loro soluzione nella maturazione, e diventano perciò pericolosi.

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