PREMESSA
Questo vuole essere un commento all'articolo di recente pubblicazione The Role of Attachment Trauma and Disintegrative Pathogenic Processes in the Traumatic-Dissociative Dimension a cura di Benedetto Farina, Marianna Liotti e Claudio Imperatori.
Benedetto Farina lo presenta così:
“In questo articolo pubblicato oggi su Frontiers abbiamo riassunto gli ultimi dieci anni di ricerca sui temi esplorati e promossi da Gianni Liotti. Gran parte delle idee espresse nell’articolo sono sue. Credo che valga le pena leggerlo per l’aggiornamento su alcuni temi. Il primo riguarda il concetto e la definizione di attaccamento traumatico (AT) che ancora molti clinici clamorosamente e colpevolmente non conoscono o confondono. Un secondo tema di aggiornamento è quello sull’aspetto dimensionale della clinica derivante dall’AT. La ricerca più recente e autorevole conferma che i diversi traumi dello sviluppo costituiscono il maggior fattore di rischio per TUTTI i disturbi psichici e non solo per quelli definiti post-traumatici. La presenza di AT nella storia di sviluppo peggiora la prognosi di qualsiasi disturbo e crea resistenza a qualsiasi forma di trattamento. Un terzo tema accennato nell’articolo in uno stato embrionale è quello della distinzione tra meccanismi patogenetici dis-integrativi e dissociativi operati dal trauma. Questa è una tesi originale ancora in via di definizione ma che potrebbe, se confermata, avere importanti ricadute nella clinica “
L'ARTICOLO
In questo articolo vengono chiariti alcuni punti a proposito dei concetti di dissociazione e trauma.
Innanzitutto, quali sono gli effetti di quello che viene definito “trauma da attaccamento” (un trauma di natura relazionale originato nello sperimentare attaccamento e senso di minaccia, insieme, nei confronti del proprio caregiver)?
Vengono riportate 3 principali conseguenze:
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l'esposizione prolungata a una condizione così altamente stressogena, produce una risposta neurobiologica protratta che interferisce con il normale sviluppo del cervello
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la simultaneità delle due risposte messe in atto da parte del bambino (tensione verso l'attaccamento al caregiver e terrore sperimentato), produce una reazione di “detachment” parasimpatico (come dimostrato dalla teoria polivagale e dagli studi di Stephen Porges)
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la coesistenza dei sopra menzionati sistemi motivazionali interpersonali opposti, produce una contraddittorietà di stati e modelli rappresentazionali nella mente del bambino, impossibilitato, perchè troppo giovane, a un'operazione efficace di sintesi. Come conseguenza di questo, viene ridotta la capacità di regolazione emotiva
In secondo luogo, vengono chiariti alcuni punti a proposito del concetto, difficile e non ancora totalmente esaurito dalla letteratura scientifica, di dissociazione.
Da notare la distinzione tra dissociazione cosiddetta positiva (con uno stato di coscienza “intruso” o bucato da percetti traumatici che sovvengono alla coscienza, di fatto alterandone lo stato) e dissociazione negativa (cioè caratterizzata da momenti di apparente vuoto, gap, o assenza -per esempio le amnesie dissociative).
Viene inoltre specificata la posizione di Liotti sulla questione differenza tra dissociazione come detachment e dissociazione come compartimentazione: Liotti sostiene esista uno stato di detachment solo come conseguenza a una tensione verso la compartimentazione. Ovvero, lo stato di detachment si presenterebbe quando il soggetto si trovasse nella controversia di dover integrare o far vivere insieme parti di sé opposte, inconciliabili o distanti:
“According to Liotti (1992), detachment symptoms are the consequences of the impasse created by the contemporary existence of multiple, incoherent, mutually incompatible states of consciousness. Not very different is the model described by the psychoanalyst Philippe Bromberg who considers the dissociation a solution against the affective/cognitive incoherence: “the disjunction that takes place, not between inharmonious mental contents, but between alien aspects of self-between states that are so discrepant that they cannot coexist in a single state of consciousness without potential destabilization of self continuity”
Di fondo, quindi, la dissociazione sarebbe considerare unicamente nella sua accezione di compartimentazione, con lo stato di detachment da intendersi come stato accessorio e provvisorio, creato dall'impasse interiore contestuale a un'integrazione impossibile di parti di sé. L'impulso teorico di Pierre Janet è evidente.
Viene quindi proposta una distinzione tra dis-integrazione (mutuato dal termine originario usato da Janet “disaggregation”, che ancora meglio dovrebbe essere tradotto come “disgregazione” o “disaggregazione”) e dissociazione.
Il primo sarebbe da considerarsi come indicativo di un fallimento delle funzioni integrative mentali superiori (tenendo in mente il principio gerarchico delle funzioni mentali teorizzato da Jackson), il secondo invece un disturbo più “profondo” e strutturale simile al concetto di dissociazione strutturale (parti di sé staccate, autonome e parallele), derivato però dallo stesso meccanismo, antecedente, di dis-integrazione.
Vi sarebbe quindi un primo momento di rottura e fallimento nell'elaborazione delle informazioni traumatiche (dis-integrazione), in seguito precipitato in una nuova forma strutturale (dissociazione). Viene citato il fatto che questi due problemi possano trovar giovamento da due diversi tipi di approccio clinico.
E' importante la questione relativa alla dissociazione vista come conseguenza di un movimento dis-integrativo indotto dal presentarsi delle memorie traumatiche. Anche qui troviamo un modello esplicativo a dente di sega, come nelle teorizzazioni di Lanius a riguardo della fenomenologia psicotraumatologica: l'avvento della memoria traumatica corrompe la normale funzionalità psicologia di un individuo fino a una certa soglia, superata la quale avviene una spaccatura verticale del funzionamento, con più parti che procedono in parallelo, il che è perfettamente coerente con la teoria, tra le altre, della dissociazione stretturale di Onno van Der Hart.
Nell'articolo, viene dunque mossa una critica alla diagnosi di PTSD, considerata troppo limitante per descrivere la portata delle conseguenze derivanti da un “trauma da attaccamento” (da qui la necessità di creare una categoria complex di PTSD, presente sul ICD11 ma non sul DSM):
“The researchers (Van der Kolk et al., 1996, 2005; Roth et al., 1997; Zucker et al., 2006; Cloitre et al., 2011) found that the main differences between the symptoms generated by cumulative trauma and those caused by single traumatic events were a pervasive alteration of affect regulation, different types of somatizations (such as psychogenic pain symptoms, somatoform, and conversion symptoms), state-like dissociation (such as depersonalization and derealization), and more enduring dissociative disturbances of self-identity (e.g., amnesia, ego state fragmentation, and dissociative identity disorder). “
Gli autori propongono poi, insieme ad altri, la creazione di una dimensione traumatico-dissociativa in cui poter inserire tutte le forme di psicopatologia inerenti il trauma (dal PTSD al PTSDc al Disturbo Dissociativo di Identità) ed entro la quale collocare anche altre forme psicopatologiche (come il Disturbo Borderline di Personalità) che sembrerebbero presentare in sé più aspetti post-traumatici di quanto si possa pensare:
“Sar (2017) recently stated: “Dissociation is a constant feature of post-traumatic conditions independent of the main psychiatric diagnosis.” An increasing amount of empirical controlled data supporting this hypothesis are available for several mental disorders (Schilling et al., 2015) including psychosis (Misiak and Frydecka, 2016), mood disorders (McBride et al., 2006; Harkness et al., 2012; Cakir et al., 2016; Prasko et al., 2016), SDs (Jepsen et al., 2014), OCD (Rufer et al., 2006; Semiz et al., 2014), EDs (Waller, 1997; Carter et al., 2006; Trottier and MacDonald, 2017), and anxiety disorders (Michelson et al., 1998; Prasko et al., 2016). “
Viene infine proposta una varietà di strumenti e indicazioni cliniche, nell'ottica di una presa in carico integrata (psichiatria biologista insieme a psicoterapia in forme specifiche di orientamento psicotraumatologico): per una approfondimento di questi aspetti clinici rimando al testo La cura della dissociazione traumatica (qui su Amazon: https://www.amazon.it/dissociazione-traumatica-approccio-pratico-integrativo/dp/8857540537)
Un sentito grazie a tutti coloro che instancabilmente lavorano a questa “materia”, spesso snobbata dalla maggior parte dei colleghi terapeuti. I risultati delle approfondite ricerche sul trauma complesso possono costituire la piattaforma su cui incastellare approcci clinici davvero rivoluzionari. La divulgazione di queste conoscenze, ove accolte dagli addetti ai lavori, contiene il potenziale per un reale cambiamento delle coscienze e, conseguentemente, delle correlate dinamiche relazionali della società.