Mi aveva incuriosito trovare per almeno tre volte citato nell’interessante raccolta di scritti di psichiatria coloniale di Angelo Bravi edita recentemente a cura di Luigi Benevelli e Marianna Scarfone, della quale mi sono da poco occupato in questa rubrica[i], in riferimento alla storia della psichiatria in ambito ottomano il nome di Luigi Mongeri accanto a quello del noto psichiatra lombardo Serafino Biffi[ii], del quale pudre abbiamo già avuto modo di occuparci su questa rubrica.
A soddisfare la mia curiosità è giunto perciò provvidenziale, sul numero di dicembre di History of Psychiatry (vol. 29, n. 4, pp. 424-437), un articolo di Fatih Artvinli dedicato proprio a questo personaggio per me misterioso, che mi sono perciò affrettato a leggere e riassumere: “Pinel of Instambul”: dr. Luigi Mongeri (1815-82) and the birth of the modern psychiatry in the Ottoman Empire.
La istituzioni psichiatriche dell’impero ottomano risalgono ad alcuni secoli prima che esse comparissero in Europa, e proprio sulla stessa rivista dove è comparso questo articolo avevo avuto occasione di commentare e pubblicare, qualche anno fa, la descrizione del Timerahane d’Istambul, voluto dal sultano Bajazet I a cavallo tra XV e XVI secolo, da parte di un mozzo genovese fatto schiavo dai turchi, Gio. Antonio Menavino[iii]. Secondo quanto scrive Artvinli, all’inizio del XIX secolo il principale manicomio dell’impero ottomano era il Suleymaniye Bimarhanesi di Istambul, e versava in pessime condizioni.
Luigi Mongeri era nato a Milano il 16 novembre 1815, aveva frequentato il ginnasio di Brera e il liceo di Longone e si era laureato in medicina all’Università di Pavia nel 1839. Rifiutata la carriera presso l’ateneo pavese, pare per l’adesione a gruppi risorgimentali che si opponevano al governo austroungarico, si spostò lo stesso anno a Istambul dove trovò impiego come medico militare e successivamente come medico coinvolto nell’organizzazione della quarantena contro il colera, per poi spostarsi a Creta dove continuò a lavorare in quest’ambito dal 1842 al 1849, quando le sue posizioni rigorose in materia di quarantena gli attirarono ostilità di carattere politico. Dopo essere stato allontanato, si dedicò per circa un anno alla pratica privata, per poi rientrare a Istambul nel 1850 e divenire il medico personale di personaggi vicini alla Corte.
Nel ricordo dei suoi collaboratori di quegli anni spicca l’attitudine filantropica del Mongeri, in particolare verso i compatrioti esuli e perseguitati; contrario alla vendita degli schiavi, si fingeva a volte un acquirente per poterli liberare. Quando visitò il Suleymaniye Bimarhanesi rimase colpito dalla misera condizione dei ricoverati, e rifiutò altre offerte più prestigiose per ottenerne la direzione, che poi mantenne dal 1856 al 1873 sforzandosi di migliorare le condizioni di vita, di abolire l’uso delle catene – o sostituirle quando non era possibile con la camicia di forza – di introdurre nel modo più estensivo il trattamento morale e il metodo no restraint e di promuovere, attraverso l’introduzione del metodo statistico, la formazione del personale e la documentazione della propria attività attraverso la discussione di casi clinici e forensi e ragionamenti di ordine più generale, il progresso scientifico della disciplina.
Tutte queste ragioni gli valsero il soprannome di “Pinel di Istanbul”, o “Pinel dei Turchi”.
Tra le principali osservazioni, notò – come negli stessi anni anche Moreau de Tours – che l’internamento presentava tassi molto più ridotti in Turchia rispetto all’Europa, e tra le donne rispetto agli uomini. Per spiegare il primo di questi fenomeni prese in considerazione un’avversione verso il manicomio diffusa tanto nelle classi agiate che nelle più povere, che faceva sì che si ricorresse ad esso solo in presenza di effettivo pericolo e anche l’idea, condivisa da Pinel e da Moreau de Tours, che l’urbanizzazione e il progresso sociale fossero associati a un aumento dei tassi di malattia. mentale. Quanto alla religione, svolgeva tra i turchi un duplice ruolo: da un lato, con il rigore delle sue prescrizioni, svolgeva un’azione preventiva contro la follia. Ma dall’altro, quando l’adesione raggiungeva il limite del fanatismo e della violenza, poteva essere un fattore che ne favoriva l’insorgenza, e questo non può non farci pensare al dibattito molto recente che ha riguardato il rapporto tra malattia mentale e terrorismo di ambito islamico e, più in generale, se l’adesione smisurata a un’idea prevalente possa, oltre un certo limite, essere considerata follia[iv].
Quanto al fatto che la differenza tra i tassi di malattia mentale in oriente e occidente si faccia decisamente più marcata nel genere femminile, Mongeri ritiene che questo sia di nuovo da riportare al diverso tasso di civilizzazione, che fa sì che alcuni passaggi della vita della donna come il menarca e la menopausa, la gravidanza o il parto siano vissuti con maggiore naturalezza tra le donne orientali, e non comportino gli stress che comportano in occidente.
Nella comparazione tra psichiatria dell’oriente e dell’occidente Mongeri mette ancora in luce come la prima abbia origini più antiche, risalendo al XV secolo quando la medicina occidentale si era ancora assai lontana dall’immaginare di occuparsi in modo specifico della follia; tuttavia nei secoli successivi è andata incontro a decadenza, mentre a partire dall’inizio del XIX secolo la psichiatria occidentale ha cominciato a conoscere quell’impulso che la rendeva in quel momento un modello per il resto del mondo.
Mongeri si batté quindi con energia perché l’internamento manicomiale, che non era regolamentato dallo Stato e si prestava perciò ad abusi, fosse regolato per legge, e perché il manicomio potesse essere trasferito in altro e più idoneo edificio. Realizzò il primo di questi obiettivi nel 1876, con l’approvazione del Regolamento da lui predisposto, che regolava il ricovero e il funzionamento interno, ponendoli sotto il controllo dello Stato e sotto l’autorità del medico. Accanto ad esso, Mongeri predispose una sorta di checklist da utilizzarsi per l’esame iniziale del malato. Quanto al secondo obiettivo, riuscì a realizzarlo nel 1873 con il trasferimento del manicomio al Toptasi, sulla sponda europea della città.
Un medico inglese, John H. Davidson, in visita a questo nuovo istituto nel 1875 apprezzava lo scarso ricorso alla contenzione e l’idroterapia, mentre criticava la scarsa disponibilità di spazi per l’ergoterapia che condannava la maggioranza degli internati al dolce far niente (in italiano nel testo). Davidson ci lascia anche un’immagine che appare gerarchizzata di quello che era il “giro visita” di Mongeri, con i malati allineati e il medico con assistente e capi infermieri che passa e si ferma presso alcuni per interrogarli. I pazienti all’ingresso, però, erano ricevuti dal medico in studio ed esaminati in modo approfondito.
Il grado d’integrazione che Mongeri realizzò nell’ambito della cerchia del Sultano è testimoniato anche dal suo coinvolgimento nel 1876, in qualità di perito, nella deposizione dopo soli tre mesi di regno di Murad V che pareva essersi ammalato per l’impressione destata dalla morte violenta del suo predecessore. Quanto all’Italia e all’Europa, riscosse grande stima e fu socio di numerose e prestigiose società a carattere medico e scientifico.
Mongeri continuò quindi a lavorare fino al decesso avvenuto in Istambul il 25 novembre 1882 presso il manicomio Toptasi e la clinica psichiatrica privata Ospedale La Paix, originariamente edificata dai francesi per la cura dei feriti della guerra di Crimea e, alla sua morte, fu commemorato da uno psichiatra lombardo coevo, Serafino Biffi sui Rediconti dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere. Lasciava un figlio omonimo, anch’egli psichiatra, che lavorò per dodici anni ad Istambul e poi in Italia, scrivendo in particolare due volumi nella popolare collana dei Manuali Hoepli. Il primo, dedicato al padre, è del 1907 e s’intitola Patologia speciale delle malattie mentali; il secondo è del 1908 ed è intitolato Principii di psicopatologia legale.
La istituzioni psichiatriche dell’impero ottomano risalgono ad alcuni secoli prima che esse comparissero in Europa, e proprio sulla stessa rivista dove è comparso questo articolo avevo avuto occasione di commentare e pubblicare, qualche anno fa, la descrizione del Timerahane d’Istambul, voluto dal sultano Bajazet I a cavallo tra XV e XVI secolo, da parte di un mozzo genovese fatto schiavo dai turchi, Gio. Antonio Menavino[iii]. Secondo quanto scrive Artvinli, all’inizio del XIX secolo il principale manicomio dell’impero ottomano era il Suleymaniye Bimarhanesi di Istambul, e versava in pessime condizioni.
Luigi Mongeri era nato a Milano il 16 novembre 1815, aveva frequentato il ginnasio di Brera e il liceo di Longone e si era laureato in medicina all’Università di Pavia nel 1839. Rifiutata la carriera presso l’ateneo pavese, pare per l’adesione a gruppi risorgimentali che si opponevano al governo austroungarico, si spostò lo stesso anno a Istambul dove trovò impiego come medico militare e successivamente come medico coinvolto nell’organizzazione della quarantena contro il colera, per poi spostarsi a Creta dove continuò a lavorare in quest’ambito dal 1842 al 1849, quando le sue posizioni rigorose in materia di quarantena gli attirarono ostilità di carattere politico. Dopo essere stato allontanato, si dedicò per circa un anno alla pratica privata, per poi rientrare a Istambul nel 1850 e divenire il medico personale di personaggi vicini alla Corte.
Nel ricordo dei suoi collaboratori di quegli anni spicca l’attitudine filantropica del Mongeri, in particolare verso i compatrioti esuli e perseguitati; contrario alla vendita degli schiavi, si fingeva a volte un acquirente per poterli liberare. Quando visitò il Suleymaniye Bimarhanesi rimase colpito dalla misera condizione dei ricoverati, e rifiutò altre offerte più prestigiose per ottenerne la direzione, che poi mantenne dal 1856 al 1873 sforzandosi di migliorare le condizioni di vita, di abolire l’uso delle catene – o sostituirle quando non era possibile con la camicia di forza – di introdurre nel modo più estensivo il trattamento morale e il metodo no restraint e di promuovere, attraverso l’introduzione del metodo statistico, la formazione del personale e la documentazione della propria attività attraverso la discussione di casi clinici e forensi e ragionamenti di ordine più generale, il progresso scientifico della disciplina.
Tutte queste ragioni gli valsero il soprannome di “Pinel di Istanbul”, o “Pinel dei Turchi”.
Tra le principali osservazioni, notò – come negli stessi anni anche Moreau de Tours – che l’internamento presentava tassi molto più ridotti in Turchia rispetto all’Europa, e tra le donne rispetto agli uomini. Per spiegare il primo di questi fenomeni prese in considerazione un’avversione verso il manicomio diffusa tanto nelle classi agiate che nelle più povere, che faceva sì che si ricorresse ad esso solo in presenza di effettivo pericolo e anche l’idea, condivisa da Pinel e da Moreau de Tours, che l’urbanizzazione e il progresso sociale fossero associati a un aumento dei tassi di malattia. mentale. Quanto alla religione, svolgeva tra i turchi un duplice ruolo: da un lato, con il rigore delle sue prescrizioni, svolgeva un’azione preventiva contro la follia. Ma dall’altro, quando l’adesione raggiungeva il limite del fanatismo e della violenza, poteva essere un fattore che ne favoriva l’insorgenza, e questo non può non farci pensare al dibattito molto recente che ha riguardato il rapporto tra malattia mentale e terrorismo di ambito islamico e, più in generale, se l’adesione smisurata a un’idea prevalente possa, oltre un certo limite, essere considerata follia[iv].
Quanto al fatto che la differenza tra i tassi di malattia mentale in oriente e occidente si faccia decisamente più marcata nel genere femminile, Mongeri ritiene che questo sia di nuovo da riportare al diverso tasso di civilizzazione, che fa sì che alcuni passaggi della vita della donna come il menarca e la menopausa, la gravidanza o il parto siano vissuti con maggiore naturalezza tra le donne orientali, e non comportino gli stress che comportano in occidente.
Nella comparazione tra psichiatria dell’oriente e dell’occidente Mongeri mette ancora in luce come la prima abbia origini più antiche, risalendo al XV secolo quando la medicina occidentale si era ancora assai lontana dall’immaginare di occuparsi in modo specifico della follia; tuttavia nei secoli successivi è andata incontro a decadenza, mentre a partire dall’inizio del XIX secolo la psichiatria occidentale ha cominciato a conoscere quell’impulso che la rendeva in quel momento un modello per il resto del mondo.
Mongeri si batté quindi con energia perché l’internamento manicomiale, che non era regolamentato dallo Stato e si prestava perciò ad abusi, fosse regolato per legge, e perché il manicomio potesse essere trasferito in altro e più idoneo edificio. Realizzò il primo di questi obiettivi nel 1876, con l’approvazione del Regolamento da lui predisposto, che regolava il ricovero e il funzionamento interno, ponendoli sotto il controllo dello Stato e sotto l’autorità del medico. Accanto ad esso, Mongeri predispose una sorta di checklist da utilizzarsi per l’esame iniziale del malato. Quanto al secondo obiettivo, riuscì a realizzarlo nel 1873 con il trasferimento del manicomio al Toptasi, sulla sponda europea della città.
Un medico inglese, John H. Davidson, in visita a questo nuovo istituto nel 1875 apprezzava lo scarso ricorso alla contenzione e l’idroterapia, mentre criticava la scarsa disponibilità di spazi per l’ergoterapia che condannava la maggioranza degli internati al dolce far niente (in italiano nel testo). Davidson ci lascia anche un’immagine che appare gerarchizzata di quello che era il “giro visita” di Mongeri, con i malati allineati e il medico con assistente e capi infermieri che passa e si ferma presso alcuni per interrogarli. I pazienti all’ingresso, però, erano ricevuti dal medico in studio ed esaminati in modo approfondito.
Il grado d’integrazione che Mongeri realizzò nell’ambito della cerchia del Sultano è testimoniato anche dal suo coinvolgimento nel 1876, in qualità di perito, nella deposizione dopo soli tre mesi di regno di Murad V che pareva essersi ammalato per l’impressione destata dalla morte violenta del suo predecessore. Quanto all’Italia e all’Europa, riscosse grande stima e fu socio di numerose e prestigiose società a carattere medico e scientifico.
Mongeri continuò quindi a lavorare fino al decesso avvenuto in Istambul il 25 novembre 1882 presso il manicomio Toptasi e la clinica psichiatrica privata Ospedale La Paix, originariamente edificata dai francesi per la cura dei feriti della guerra di Crimea e, alla sua morte, fu commemorato da uno psichiatra lombardo coevo, Serafino Biffi sui Rediconti dell’Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere. Lasciava un figlio omonimo, anch’egli psichiatra, che lavorò per dodici anni ad Istambul e poi in Italia, scrivendo in particolare due volumi nella popolare collana dei Manuali Hoepli. Il primo, dedicato al padre, è del 1907 e s’intitola Patologia speciale delle malattie mentali; il secondo è del 1908 ed è intitolato Principii di psicopatologia legale.
[i] A. Bravi, Frammenti di psichiatria coloniale e altri scritti (a cura di Luigi Benevelli e Marianna Scarfone), Pavia, Collegio Ghisleri, 2018.
[ii] Per Serafino Biffi cfr. in questa rubrica: P.F. Peloso, Tra psichiatria e giustizia: Imola 1874-2016, POL. it., 8/10/2016.
[iii] P.F. Peloso, Hospital care of madness in the Turk sixteenth century according to the witness of G.A. Menavino from Genoa, History of Psychiatry, IX, 1998, pp. 35-38.
[iv] Si veda in questa rubrica: P.F. Peloso, Terrorismo: questa follia non è follia, POL. it., 28/7/2016; o, più ampiamente, C. Munizza, P.F. Peloso, L. Ferrannini, Terrorismo, terrorista e funzionamento mentale, Rassegna Italiana di Criminologia, n.s., XI, 4, 2017, pp. 253-261, all'interno di un numero speciale della Rassegna interamente dedicato a qesto tema.
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