Venti Luglio, Laurea in Medicina: centodieci e lode con dodici punti per una tesi in psichiatria, scritta sotto un ombrellone ad Arenzano, un anno prima.
Ho la gola secca, la camicia di seta madida sotto il vestito di lino bianco ghiaccio, il teatrino è finito: ho avuto la stretta di mano del Preside, la finta discussione tra i Commissari, il distratto interesse del Controrelatore, l’estenuante attesa del mio turno, nell’afa del pomeriggio che striscia, umido e rubro, verso una notte stellata; sono solo, non ho voluto nessuna claque, adesso prenderò un aperitivo col Relatore, quattro chiacchiere di circostanza e poi una telefonata a casa per dare la notizia attesa e prevista.
Ripiego con cura la spifferosa capotte di tela leggera della Morgan 4 / 4 canonicamente british racing green, smonto i traballanti vetri laterali, metto in tasca la cravatta e mi lascio inghiottire dal traffico dell’ennesima serata in cui nessuno mi aspetta, qualcuno guarda la macchina eccentrica ed esclusiva, nessuno è in ansia per me, nessuno sta per correre ad abbracciarmi: niente feste di Laurea, niente di niente, solo io con un Dott. in più sul biglietto da visita, i miei giocattoli costosi, la mia solitudine infinita, coltivata con rabbiosa determinazione.
Gli psichiatri curano ultimi che non saranno mai primi, gli psichiatri rubano i sentimenti dalla bocca della gente, gli psichiatri, a una certa età, si fanno crescere la barba, vanno a congressi uggiosi portando pantaloni di fustagno o di velluto col cavallo troppo basso e la collega con cui intrecciano romanticissime storie segrete di sesso assatanato, gli psichiatri fanno continue riunioni di équipe e hanno lo sguardo finto indagatore dietro occhiali da vero architetto, le psichiatre col tempo mettono su un po’ di culo, vanno a congressi soporiferi portando, sotto il braccio, pacchi di quotidiani una volta rigorosamente di sinistra, ora doverosamente radical-chic e il collega col quale intrecciano sessuosissime storie segrete di amore romantico, le psichiatre si realizzano “ molto ” nel loro lavoro, gli psichiatri e le psichiatre hanno almeno un matrimonio fallito alle spalle, gli psichiatri e le psichiatre cercano di parlare con voce impostata o, forse, tentano di impostare con voce parlata e sembrano sempre sul punto di dire qualche grande verità, in realtà pensano poco, come tutti, solo che hanno in grande spregio il darlo a vedere, spesso non sanno cosa fare e a volte vorrebbero cambiare mestiere, gli psichiatri e le psichiatre hanno la mente triste, probabilmente è per questo che in comune tra me, che ho il cuore triste, e loro c’è solo una tristezza non condivisibile.
L’analista mi ha fissato finalmente l’appuntamento per il primo colloquio, sono arrivato in largo anticipo, più di sempre; mi sono messo il vestito buono come per andare a dar un esame .
Le racconto, in rapido sunto, con gli occhi bassi ma senza apparente imbarazzo, la mia vita con i suoi contre e surcontre e gli ultimi miei guai affettivi, che mi hanno convinto, definitivamente, a risolvermi a chiedere una analisi, ora che lo stipendio di assistente mi dà una certa indipendenza economica; adesso la guardo in viso: no, non ho chiesto colloqui ad altri analisti; non ho nessuna intenzione di diventare psicoanalista, dimentichi che sono medico, dimentichi che sto specializzandomi in psichiatria, io desidero solo trovare un migliore rapporto con me stesso, perché, vede, io non mi voglio bene, soprattutto non mi piaccio e questo succede ogni volta che mi sento di nuovo ottanta chili.
« Ma lei mi sembra molto magro, ora.»
« Certo, è proprio per questo che sono qua.»
Con quale criterio si sceglie un’analista? Con quale criterio si viene scelti?
La psicoanalisi freudiana si trova per certi versi in una situazione paradossale: la maggior parte dei suoi pazienti è rappresentata, infatti, da persone che desiderano diventare analisti loro stessi e la mia confusione deriva dal fatto che la psicoanalisi è, o dovrebbe essere, principalmente, uno strumento terapeutico ma al tempo stesso è, o dovrebbe essere indispensabile che un analista fosse, oltre che formato culturalmente anche analizzato personalmente per meglio gestire le emozioni che dal suo lavoro, inevitabilmente, derivano. Il problema nasce nel momento in cui le aspettative dell’analizzando sono volte più verso una carriera che verso una cura e, per quanto bravo possa essere il terapeuta a smascherare questi problemi, il rischio che molte analisi più che interminabili siano terminate prima ancora di iniziare è elevato; d’altra parte un ricambio generazionale deve pur esserci e il cursus honorum programmato dalla S.P.I.( Società Psicoanalitica Italiana) , fatto di supervisioni, seminari, controlli severi, è in linea teorica sufficientemente selettivo per evitare grossi guai, anche se questa situazione circolare di analisti che curano altri analisti che curano altri analisti che curano altri analisti ha dei lati molto buffi, a ben pensarci. Procediamo con ordine: il primo ostacolo da superare è rappresentato dalla ricerca di un posto in analisi; i nostri candidandi analisti, in genere, si informano tra i colleghi più fortunati già in analisi, chiedono un po’ in giro, se non hanno altra soluzione si procurano la lista che la S.P.I. pubblica ogni anno: se sono pigri si limitano agli analisti della loro città , se sono molto eroici, molto motivati o con molto tempo libero si danno d’attorno anche nelle città circonvicine, prendendo su il telefono e cercando un appuntamento per essere messi almeno in lista di attesa, e sì, perché, almeno al momento, la richiesta è superiore all’offerta e può capitare, per giunta, che qualche ingegnere del catasto o impiegato della S.I.P. ( Società per l’Esercizio Telefonico) nevrotico, isterico, ossessivo, depresso, persino borderline si intrufoli aumentando la concorrenza e se uno vuole un analista D.O.C. deve risolversi ad aspettare pazientemente che si liberi un posto sull’agognato lettino per la conclusione di una precedente terapia e l’attesa può durare anche anni, per aspera ad astra. Trovato un terapeuta, finita la lunga attesa si è a buon punto, ma nuovi problemi attendono il nostro valoroso ur-analista: prima di tutto va stabilito se l’analista è o meno un didatta, perché se l’analista non è didatta, bensì allievo, associato o ordinario della S.P.I., l’analisi non “ vale ” e dopo un certo numero di ore,(di allenamento?), va cercato comunque un analista didatta, col quale intraprendere un’analisi didattica appunto, l’unica che schiuda le porte della eventuale carriera; tutto risolto, direte, neanche per sogno perché l’analisi didattica va “omologata”, un po’ come fa il R.I.NA.( Registro Italiano NAvale ) per le pompe di sentina, attraverso appositi colloqui da fare per conto della S.P.I. davanti a una commissione di tre analisti che debbono, a pagamento si intende, dare parere favorevole o sfavorevole a considerare il nostro amico un “candidato” a entrare ufficialmente nei ranghi della Società; i più intraprendenti cercano direttamente un analista didatta, ma per la legge della domanda e dell’offerta, di cui sopra, spesso l’attesa è ancora più lunga e il rischio è quello di superare i limiti di età imposti per l’avvio del faticoso tirocinio. A volte mi figuro il mondo psicoanalitico come un grande castello di carte al cui vertice sta il vecchio Sigismondo, che, povero, nessuno mai analizzò e sotto, via via, tutti gli altri interconnessi tra loro da legami affettivi o narcisistici, in equilibrio instabile visto che le aggiunte di nuovi piani vengono sempre fatte dal basso e visto che intorno al castello spira, impertinente, il venticello del Re Nudo della sofferenza del vivere.
La mia analista è un’eterna associata della S.P.I., come carrierista non vale un gran ché. Mi risolsi a chiedere a lei un’analisi avendola vista due o tre volte a qualche convegno e avendo deciso, dentro di me, che a quella donna piccolina, dall’aria dolce e paziente, a lei soltanto avrei potuto affidare la mia vita.
Dopo sei mesi mi arrivò una telefonata per cominciare, se ne avevo ancora l’intenzione la mia analisi personale: quella donna piccolina, dall’aria dolce aveva deciso di prendersi cura della mia vita e io accettai.
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