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Greta, perché tanto odio?

26 Set 19

A cura di Maurizio Montanari

‘ Nana deforme’, ‘ mocciosa viziata pagata dai poteri forti’.  Sono solo alcuni degli epiteti con i quali Greta Thunberg  è stata attaccata e derisa tanto da politici e giornalisti di importanti testate, quanto dall’abitante medio di quella polis telematica che è la rete. Un florilegio di epiteti tra il ridicolo ed il feroce sullo sfondo dei quali si intravede  un’ impostazione teorica paranoica e complottarda. 

‘Greta lo fa per narcisismo’. ‘Greta è al soldo di qualche lobby’. ‘Greta ci marcia’.

E’ talmente fitto il fuoco  verso il corpo, la postura e i movimenti della suddetta da far passare in  secondo piano il messaggio che va veicolando. 

Perché oggi  il  valore simbolico di alcune azioni ha perso di efficacia e credibilità, e i portatori di tali messaggi sono spesso  tratteggiati  come micragnosi  omuncoli preda di interessi particolari? Sembra che un cinismo di massa sia impadronito dell’opinione pubblica, sempre piu’ orientata a scorgere nell’animo di ogni uomo, anche il piu’ adamantino, un tornaconto personale , un doppio fine  nelle cose che fa e dice. Questa prospettiva, cinica, è propria dell’analisi. E’ infatti sul lettino che il virtuoso ammette il suo desiderio inconfessabile di fama, di potere, appagato dall’adorazione o dal ritorno personale che alcune sue battaglie  gli procurano. L’uomo puro dunque non esiste. Ma questo non giustifica un abbattimento radicale della simbologia dei gesti e delle azioni. Senza il simbolico, l’uomo non è che, celinianamente, ‘ una trippa calda che cammina’. 

Che il Generale, noto per i suoi accorati discorsi  patriottici,  amasse avere le folle del paese ai suoi piedi, che il parroco coltivasse  un alcova di amanti, o che il vicesindaco fosse solito non pagare il conto, erano cose risapute anche diverse  generazioni fa. Erano quei segreti conosciuti da pochi,   celati a piu’,  per poter permettere alla funzione che quegli uomini,   deboli e fallaci  , incarnavano, di poter continuare ad esistere.

La pruderie nello scovare i  vizi privati era avvertita come una minaccia al mantenimento dello status quo sociale, per questo il figlio minore si beccava la sberla se, a tavola, osava dire ciò che alcuni già sapevano ( il maestro palpeggia la bidella!). Come maestro era portatore di messaggi che dovevano orientare gli alunni. Il politico invece  sosteneva  idee di pace sociale e carità cristiana che smorzavano gli animi nei periodi di carestia. La loro funzione simbolica , pubbliche virtu’,  veniva tutelata dai loro vizi privati.

Oggi invece tutto è sfrondato, ogni foglia è gettata a terra.  

La progressiva depauperizzazzione, il drastico calo del potere di acquisto, il  lavoro ormai divenuto un bene temporaneo, ha creato una condizione per la quale esprimere, dare forma, sondare un desiderio può comportare la rabbia altrui. Molti uomini e donne  si trovano immersi in una dimensione coercitiva del lavoro per il lavoro, del prodotto per il prodotto, incatenati ad una condizione che si guardano bene dal mettere in discussione, pena la strada, la fame, la fine delle rate, della casa , dell’abbigliamento del bambino. Il capitalismo attuale  si sostiene su una dimensione di riduzione del desiderio del singolo per alimentare il profitto della struttura. No ferie, no pausa bagno, stipendi ridotti all’osso, delocalizzazione come arma per irretire ogni possibile insubordinazione.

Dopo aver accettato la custodia che queste strutture garantiscono, i soggetti iniziano a pensare alla loro vita. Avere un figlio, programmare l’acquisto di una casa, sognare una vita nella quale si possa dare forma alla creatività, ai propri desideri profondi.

E a quel punto, scoprono che ciò non è possibile. Non è possibile anteporre un desiderio proprio al fine ultimo della Struttura, che ti caccia se osi restare incinta, se vai in bagno, se chiedi un aumento per la rata dell’auto.
 Questo è il momento della rabbia, della frustrazione, della disperante consapevolezza di esser chiusi in una gabbia nella quale non è possibile desiderare.

Questa condizione è all’origine di quella che, specie nei social vediamo agire, vale a dire la distruzione del desiderio altrui che passa per un denudamento delle bassezze, vere o presunte, di chi si fa portatore di un sogno che trascenda la quotidianità. Una ferocia trasversale porta a inondare di odio qualunque barlume desiderante faccia la sua comparsa, in una mortifera tendenza all’azzeramento. 

‘ Si è smarrito mentre tentava di scalare l’Everest’
Ma chi glie lo ha fatto fare? SI arrangi!
‘ Ha una crisi cardiaca al 30 kilometro del cammino di Santiago’
Peggio per lui, poteva starsene a casa!’
'Cade nel corso di un escursione’
Meglio ! Un cretino in meno in giro ‘
‘ Si batte contro l’inquinamento’
Ma cose le importa? E’ ricca e può permettersi di gettare via il suo tempo!
‘ E’ morta perché lottava per i diritti delle donne’
Poverina, si vede che era cosi’ butta che nessuno se la filava!’

 

Qualunque azione che un tempo sarebbe stata oggetto non dico di ammirazione, ma quantomeno di curiosità, oggi suscita una rabbia cieca  , senza filtro e senza mediazione.
Per chi abita in un campo   bruciato, ogni filo d’erba che sorge nei terreni vicini deve essere raso al suolo. La rete ha avuto il merito di avvicinare coloro i quali  erano, un tempo, abitanti di luoghi ritenuti inavvicinabili: politici, star televisive. Intellettuali. Oggi è ‘ possibile seguirli  passo passo nella loro quotidianità, nei loro acquisti. Sapere cosa mangiano, cosa indossano. Dove dormono. Questa reductio ad una  condizione di vicino      li ha   spogliati di qualsiasi valenza simbolica, riducendoli solo ed esclusivamente a rivali una perenne battaglia per la vita.

Pochi giorni fa, un importante dirigente politico  mi raccontava come anni fa il suo arrivo ai comizi in limousine era quasi un obbligo,  un sembiante che la gente si aspettava . ‘Se fossi arrivato senza auto blue e cravatta, avrei deluso le loro aspettative. Oggi, il solo passare con una berlina media, significa sopportare le feroci critiche, dal vivo e sui social, di chi immediatamente chiede quanto quell’auto costi al contribuente, se io la usi per fare la spesa con la mia famiglia, o se, come appartenete alla casta, non si riuscito ad averla a prezzi di favore ‘

 

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