Abbiamo scritto in questa rubrica diverse volte sui TSO e anche sull’episodio in cui Jefferson, un ragazzo ecuadoriano, armato di coltello, è stato ucciso, in casa, da uno dei sei poliziotti intervenuti su richiesta di aiuto della madre del ragazzo.
In breve il fatto: il ragazzo ferisce con il coltello uno dei poliziotti intervenuti, ed un altro poliziotto spara sei colpi di arma da fuoco, uccidendo il ragazzo e ferendo involontariamente un collega.
Ora, a distanza di tempo, il Tribunale di Genova, come leggiamo sulla stampa (in attesa peraltro di conoscere le motivazioni), ha assolto il poliziotto, ritenendo che l’uso dell’arma da fuoco fosse scriminato dall’esercizio della legittima difesa.
Si è scatenata, soprattutto sui social networks, come spesso accade, una sorta di tifoseria contrapposta tra colpevolisti ed innocentisti, dove si arriva ad affermare implicitamente che il poliziotto è innocente e/o addirittura un eroe con licenza di uccidere, o al contrario è colpevole perché ha sparato. In entrambi i casi, come si dice, “a prescindere”.
Esattamente come, per la parte contrapposta, il ragazzo è innocente perché di origine straniera o colpevole e anzi meritevole di essere ucciso per lo stesso motivo, perché non è “italiano”. Pochi si tirano fuori da questa assurda competizione, attivata dal precedente Ministro dell’Interno, che non aiuta certo la madre che ha perso il figlio né il poliziotto che ha sparato. Entrambi si porteranno comunque il peso di quello che è successo per tutta la vita.
Questa competizione non aiuta nemmeno il Giudice, il cui compito non è mai facile, ma a volte – come in questo caso – è ancora più difficile.
Vorrei molto semplicemente esprimere alcune banali considerazioni. Nel modo più atecnico e semplice possibile. Me lo perdoneranno Avvocati e Magistrati, Medici e Operatori Sanitari.
- Ogni sentenza, ogni decisione del giudice, riguarda un caso in sé unico ed irripetibile, derivante dallo svolgimento del processo e dagli atti di causa. Giudicare dall’esterno, senza conoscere gli atti, sulla base delle sole di notizie di cronaca, anche la più seria e dettagliata, significa al massimo esprimere un’opinione. Non rappresenta un secondo grado di giudizio. Il Giudice, nel decidere, conosce gli atti e deve fare i conti con i propri pregiudizi. Noi non conosciamo gli atti e non siamo tenuti ad affrontare i nostri pregiudizi: siamo semplici commentatori e critici.
- Un fatto appare assolutamente incontestabile, però: la morte, o se preferite, l’uccisione di Jefferson NON è avvenuta nel corso di un Trattamento Sanitario Obbligatorio, ma durante una operazione di polizia.
- Esistono delle scriminanti per la commissione di un reato grave come l’omicidio, che non consentono la punizione dell’uccisore. Come la legittima difesa, che richiede un giudizio comparativo tra il pericolo per sé o gli altri e l’azione difensiva che ha portato alla morte. Se il Giudice ha assolto il poliziotto, è perché ha ritenuto che sparare a Jefferson fosse l’unica strada per evitare a sé ed agli altri poliziotti di essere feriti gravemente o uccisi. Perché ha valutato si trattasse di una situazione al limite, cercando di ricostruire la situazione e giudicarla al tempo del fatto, come se fosse stato presente al tempo, valutando se non era possibile fare o pretendere altro dal poliziotto.
- Anche al di fuori degli abusi e degli errori tragici di cui abbiamo parlato in questa rubrica, come il caso di Mauro Guerra, il T.S.O. stesso sembra – nella percezione comune – essere basato sugli stessi principi della legittima difesa e dello stato di necessità. Ma non è così: il TSO è una extrema ratio, una situazione al limite, da evitare. In Italia anche i trattamenti psichiatrici sono di norma volontari. Anche se “matti”, abbiamo il diritto di scegliere “se”, “come”, “quando” curarci. E comunque, abbiamo il diritto di essere adeguatamente informati sulla natura e gli effetti della terapia, così come abbiamo il diritto di rifiutare qualsiasi tipo di cura ci venga somministrata contro la nostra volontà.
- L’unica eccezione è, appunto, costituita dal Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), richiamato impropriamente per il caso di Jefferson, che consiste nel ricovero coatto e forzato del paziente e che, per rispettare questi diritti, è rigidamente normato e disciplinato, secondo gli art. 32-35 L. 833/78 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale e dalla L. 180/78, nel rispetto dell’art. 32 della Costituzione. Le procedure per il TSO vengono attivate quando il bilanciamento tra il diritto alla salute del cittadino e quello alla sua libertà individuale da come risultato la prevalenza del diritto alla salute, e comunque quando il dovere di intervenire a beneficio del paziente, pur in conflitto con il diritto alla libertà del cittadino, viene giudicato prevalente su quest’ultimo. Il provvedimento del TSO prova a rendere compatibili due diritti inalienabili del cittadino: la difesa della salute e la libertà individuale nell’esercizio di questo diritto, nel rispetto comunque della dignità personale e con le minori limitazioni possibili ai suoi diritti civili e politici.
- Gi operatori della Psichiatria sanno che se si lavora bene, quasi mai sarà necessario ricorrere al T.S.O. Nel peggiore dei casi, probabilmente, sarà possibile convincere il paziente ad accettare spontaneamente e volontariamente il trattamento sanitario. Ma non è sempre così: in alcuni casi è inevitabile. Esattamente come, in alcuni casi, è inevitabile difendersi per salvare sé od altri da un pericolo imminente, e se il pericolo è la morte, può essere giustificata persino l’uccisione di un’altra persona.
- Ecco l’unico punto di contatto tra il TSO e la legittima difesa: solo un giudice potrà valutare, successivamente, se il comportamento costituisca reato e vada punito o no: perché ferire o peggio uccidere una persona, così come sottoporla a trattamenti sanitari non voluti e d altre limitazioni della libertà individuale, in assenza di un valido titolo o comunque causa di giustificazione prevista dalla Legge, rappresenta sempre un reato.
- Questo non vuol dire, però, che ogni volta che ci si trova di fronte ad un persona in stato di alterazione mentale armata di ascia o di coltello, non sia possibile assolvere chi compia un intervento nei suoi confronti, anche usando le armi o la soppressione momentanea della libertà individuale. Il caso del pazzo che vaga uccidendo chi incontra con un’arma da fuoco o da taglio è un evento meno frequente di quanto non lo sia l’attacco di uno squalo o l’essere colpiti da un fulmine o da un meteorite. Ma può accadere e se accade va affrontato senza ritardo, spesso senza avere la scelta tra diverse e meno gravi opzioni. Sempre senza inneggiare all’uso delle armi e della repressione né santificare il folle di per sè. Si cercheranno dopo le responsabilità, se ci sono, di chi non ha addestrato il poliziotto, di chi non ha saputo o voluto curare il paziente, ma entriamo in un altro campo, in genere extra processuale.
Non dobbiamo, in conclusione, dimenticare che anche i diritti fondamentali della persona, con pochissime eccezioni, spesso sembrano confliggere con altri diritti fondamentali.
E che spesso, quando la legge lo consente, il giudice deve come abbiamo detto compiere un bilanciamento dei diversi diritti in gioco. Sono pochissimi i casi in cui un diritto prevale su tutti gli altri e non è derogabile, come ad esempio il divieto di tortura. Ma non è il caso di Jefferson. Rispettiamo per ora il verdetto, il lutto della madre, il poliziotto, ed attendiamo gli eventuali altri gradi di giudizio. Intanto, possiamo unirci al dolore della madre di Jefferson, come non volle e non seppe fare il Ministro dell’Interno quando fu ucciso il ragazzo.
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