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ALBERTO SOI: CHI HA PAURA DELL’ UOMO NERO?

11 Nov 19

A cura di Pierpaolo Martucci

Alberto Soi è senza dubbio un personaggio singolare, un artista che piuttosto che riconoscersi come tale preferisce definirsi “mediatore d’incontri tra cose”, creatore di “collage psichici”. Sa raccogliere – meglio ritrovare – oggetti in luoghi e tempi differenti e improvvisamente unirli, mischiarli, evocarne il “demone” che animisticamente li abita, svelarne le proprietà in senso quasi “patafisico”, un po’ nella direzione indicata da Boris Vian e Jean Baudrillard (1).
Lo abbiamo conosciuto in Sardegna, terra in cui è nato ed è tornato a vivere dopo la lunga parentesi milanese giovanile degli anni Settanta e Ottanta (2). In quel periodo frequenta gli studi professionali del circolo di Albe Steiner, dove apprende il “mestiere del grafico” e si mescola alla fucina culturale fatta da designers, artisti, grafici, fotografi, intellettuali di sinistra che confrontavano esperienze e progetti e partecipavano ad eventi tipici, come ad esempio le feste provinciali dell’Unità che al tempo si tenevano al Parco Sempione, e raccoglievano le migliori eccellenze professionali operanti a Milano.
Poi, a metà degli anni Ottanta, la svolta, propiziata dai contenuti e dalle forme visionarie dei fumetti di Moebius e dagli altri disegnatori del gruppo di Métal Hurlant, nonché dalla fantascienza distopica di scrittori come William S. Burroughs, Kurt Vonnegut, Philip K. Dick. Nell’arte di Soi compaiono suggestioni tecnologiche che non l’abbandoneranno più: nel cranio di un cavallo rinvenuto anni prima nella campagna sarda incastra “in maniera selvaggia” valvole, transistor, avanzi di radio e vecchi televisori. Il risultato – “Cavallo Cibernetico” (1985) – è un “cavallo robot morto per l’esplosione dei suoi circuiti”. Si manifesta un concetto che – specialmente dopo il ritorno dell’artista in Sardegna negli anni Novanta – ricorrerà nella sua produzione: la “scadenza dell’eterno”, ossia l’inevitabile caducità del pur potente legame fra vita (umana) e tecnologia.  Esattamente come i corpi animali anche la tecnologia (oggi erroneamente percepita quasi come atemporale) ha una sua scadenza e i manufatti che Alberto Soi realizza, ibridando ossami e avanzi di apparecchiature (tutti reperiti casualmente!), costituiscono paradossali “fossili del futuro” (CORSA, SPIweb, https://www.spiweb.it/cultura/futuro-fossile-ovvero-la-scadenza-delleterno-r-corsa-intervista-soi/).
Non meno intrigante è il ciclo Barocco digitale (2014-2016), creato con un collage di immaginette sacre della tradizione devozionale popolare (santini, Madonne, volti del Salvatore) applicate su piastre, fogli di bachelite verde con cavetti di rame e altri elementi di hardware, provenienti dallo smontaggio di vecchi computer. Sono opere “d'insospettabile resa estetica e misteriosa suggestione” (3), in cui l’arcaico archetipo religioso si incrocia con una dimensione sacralizzata, quasi metafisica della macchina informatica, estrema aporia del post moderno.  Il pensiero corre all’universo virtuale di Matrix, ma anche a quello straordinario, brevissimo racconto di Frederic Brown, “The Answer” (La risposta, 1954), dove si immagina la creazione, frutto di millenni di lavoro, del collegamento simultaneo di “tutti i giganteschi computer elettronici di tutti i pianeti abitati dall'universo […] da cui sarebbe uscito il supercomputer, un'unica macchina cibernetica racchiudente tutto il sapere di tutte le galassie”. 
A quel punto, azionando una leva, è possibile interrogare l’elaboratore:
“L'onore di porre la prima domanda spetta a te, Dwar Reyn.
Grazie – disse Dwar Reyn. – Sarà una domanda cui nessuna macchina cibernetica ha potuto, da sola, rispondere. Tornò a voltarsi verso la macchina. – C'è, Dio? 
L'immensa voce rispose senza esitazione, senza il minimo crepitio di valvole o condensatori.
– Sì: adesso, Dio c'è.
Il terrore sconvolse la faccia di Dwar Reyn, che si slanciò verso il quadro di
comando. Un fulmine sceso dal cielo senza nubi lo incenerì, e fuse la leva inchiodandola per sempre al suo posto” (4).

Tornando a Soi, egli, nel suo personalissimo dialogo con τέχνη non delega affatto il futuro umano alla tecnologia. In realtà essa ha tempi di scadenza brevissimi, i suoi artefatti nascono e muoiono in un attimo, l’obsolescenza programmata è il loro destino, come per gli androidi replicanti di Blade Runner, a noi così dolorosamente simili.
Piuttosto, sulla scia delle correnti che privilegiano l’objet trouvé, il ready made, l’artista sardo coltiva il dono quasi sciamanico di svelare il tratto oscuro e perturbante delle cose quotidiane, che nella loro apparente marginalità sembrano riflettere e insieme esaltare le nostre fobie e pulsioni più nascoste, quelle che agitano le nostre nevrosi e istigano i nostri delitti. Così un volto (dis)umano, nero e inquietante, campeggia in una fittizia pagina di distopica “Pubblicità Regresso”, per promuovere una “campagna a favore della serenità”.  Ma in concreto l’immagine – invisibile al nostro sguardo usuale – non è altro che la fotografia del perno di sollevamento di un cassonetto stradale per la raccolta della carta!
“Tranquilli, va tutto bene!”, rassicura sornione il finto manifesto.
 


 

 
NOTE

  1. BAUDRILLARD J., Il sistema degli oggetti, ed.ital., Milano, Bompiani, 1972.
  2. Per una informazione approfondita sull’opera di Alberto Soi si rinvia all’intervista a cura di RITA CORSA, “Futuro fossile, ovvero la scadenza dell’eterno”, riportata su SPIweb https://www.spiweb.it/cultura/futuro-fossile-ovvero-la-scadenza-delleterno-r-corsa-intervista-soi/
  3. MENESINI A., Commento a Barocco Digitale. In: Soi A., Barocco digitale. Cagliari, Arti grafiche Pisano, 2016, p.8.
  4. BROWN F., La risposta. In: Il secondo libro della fantascienza, Torino, Einaudi, 1961.

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