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Nè padri nè mariti, ma soldati. Due note su “The IrishMan” di Martin Scorzese

30 Nov 19

A cura di Maurizio Montanari

Didascalico, didattico, a tratti ripetitivo. Magistrale.
Il cinema di Martin Scorsese non è confondibile con nessun’altro modo di ritrarre la realtà. La cinepresa che cala dall’alto roteando attorno al viso dei suoi attori preferiti ( in questo cast un trio De Niro, Pacino, Pesci in stato di grazia) , si insinua a mezz’aria nei corridoi degli ospedali o dei casinò, posta alla giusta altezza per raccontare di quel limite dov'è l'interiorità di un uomo e di un padre sfuma e confluisce in una legge superiore alla quale si sottomette. Quella del legame mafioso.
Un mondo dove ciò che appare è. Dove la devozione rituale non ammette eccezioni.   E’ questa la cifra dei soldati descritti da Scorsese. Obbedienti  al capo, pronti ad azzerare amore filiale e frantumare amicizie. Da soldati si vive e da soldati si muore.
Come in tutti i film di Scorsese non c'è spazio per la morale o le buone intenzioni, soppiantate dal racconto di ombre che si incamminano lungo l’epilogo di una via dedicata all’osservanza a  codici e legami che trascendono e superano qualsiasi legge. Frank non conosce il senso di colpa, né cerca la redenzione davanti al sacerdote che bussa al suo animo  incontrando invece l’adesione incondizionata al codice malavitoso. Obbedendo al motto ‘ E’ come deve essere’ , lapidaria frase con la quale Russel  ordina le  esecuzioni dei nemici,   De Niro testimonia laconicamente davanti all’obbiettivo l’incredulità di chi non si capacita di  come le figlie si siano allontanate. Lui è stato , secondo la linea che da Scorsese, un buon padre di famiglia, ha servito la comunità, ha protetto la prole da pericoli legati a quelle attività. ‘Io ho cercato di proteggervi’, dice affranto alla figlia  . ‘Ma da cosa? ‘ le risponde la ragazza, stigmatizzando la colpa del padre, quella cioè di aver abdicato la funzione di genitore ad un ordine superiore, cementando la famiglia in un universo chiuso e paranoico, popolato di nemici da abbattere ed intimidire, regolato dal volere del capo (  Harvey Keitel ) che non voleva eredi, ma soldati. I pericoli oltre le mura dell’universo mafioso sono diversi dai perturbanti che assediano la crescita di un adolescente, e Irish man lo impara a sue spese.   Quando Frank uccide Hoffa  tradisce un cedimento di commozione solo impercettibile, ma anni ed anni di sincera amicizia nulla possono contro l’ordine insindacabile  di Joe Pesci che  lo obbliga a far prevalere la funzione di soldato rispetto a quella di amico. Frank, sicario ormai solo e irredimibile, stupisce gli agenti che gli chiedono di dire la verità sull’omicidio di Hoffa, liberando la vedova dal peso dell’enigma. Essi non comprendono, come non lo hanno mai capito le figlie ed il giovane prete, che l’obbedienza alla famiglia mafiosa va al di la di qualsia legame terreno, dunque il concetto di redenzione non può appartenere all’ultimo dei soldati. Chi si ricorda le parole di Totò Riina in carcere? ( Io non mi pentirò mai, posso farmi altri mille anni.)  Consapevole di questo Frank va a scegliersi   la bara, poi la tomba, poi guarda in camera e chiede di non essere archiviato. Né amici né padri né amanti, si è parte di un gruppo, e con esso si finisce. La scena finale dei tre che cadono a pezzi in carcere, scegliendo ciascuno la propria fine    senza mai un cedimento, è l’occhio spietato di un cinema  privo di fronzoli puntato su  una realtà che ha come cifra la solitudine. E’ il cinema di Scorsese. Per certi aspetti  IL cinema.

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1 commento

  1. admin

    dopo oltre tre ore il film
    dopo oltre tre ore il film regala uno dei più bei finali della storia.
    Soldati e figli alla ricerca o nell’attesa di un Padre

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