Dopo un lungo e faticoso lavoro documentaristico esce, finalmente, il libro “La doppia morte di Gerolamo Rizzo”, a cura di F. Bollorino e G. Di Petta. Un memoire autentico e drammatico, che ha per protagonisti gendarmi e psichiatri, carnefici e vittime, chiosato da cinque specialisti, sul tetro sfondo manicomiale del primo Novecento.
L’ex Ospedale psichiatrico di Cogoleto, erto su una collina, a poche centinaia di metri in linea d’aria dalla costa, costituito da edifici organizzati a villaggio e collegati tra loro da ampi viali è, probabilmente, il più grande d’Italia. Fu costruito nel 1911 per essere affiancato a quello di Quarto dei Mille. La nostra storia comincia qui. Un giorno Francesco Bollorino, scavando tra i faldoni impolverati che contengono le cartelle cliniche degli internati di Quarto, trasferite nell’archivio di Cogoleto, scopriva, per caso, il manoscritto di un paziente, Gerolamo Rizzo, vissuto cento anni fa. Le cartelle cliniche e, attraverso di esse, le vite di migliaia di pazienti, abitavano grandi scaffali, in faldoni suddivisi per anno, in tre ampi stanzoni al primo piano di un edificio isolato. In lontananza, attraverso i finestroni, si vedeva il mare. Al piano terra la morgue, a chiusura del cerchio di tante esistenze spezzate, raccontate con molti documenti burocratici e pochissime note, in diari clinici inchiostrati. La grafia ordinata di un maestro elementare vergava le carte ingiallite dal tempo, affidando a questo memoire un ultimo, stremato appello, rivolto non si sa chi. “Una notte, verso le undici, mi svegliarono dei colpi dati alla porta della mia camera che era chiusa e delle voci che mi chiamavano e mi dicevano che aprissi alla Ninetta, che voleva entrare nella mia camera. Siccome sentivo voci di uomini che mi chiamavano per nome, non mi potevo spiegare cosa volesse da me questa signorina, accompagnata da due o più uomini, per questo feci il sordo, facendo mostra di dormire. Quelle persone stettero un’ora dietro alla mia porta a chiamarmi, picchiando con i piedi perché io aprissi, poi se ne andarono minacciando. Da quel momento non ebbi più quiete, fui perseguitato notte e giorno da voci, che di notte mi toglievano completamente il sonno, mi rimproveravano perché non avevo aperto alla Ninetta, e dicevano, anche, che dovevo sposare questa signorina, figlia di onesta famiglia di Genova. Tentai molte volte di fuggire a Genova prendendo il treno, ma queste voci mi seguivano in treno e a Genova”
Questo è il tremendo incipit del memoire di Gerolamo Rizzo, una stremata quanto inascoltata richiesta di giustizia, una sorta di autolegittimazione, di fronte al mondo dei giusti, della tremenda violenza subita e inferta. Quando Francesco me ne parlò e mi preannunciò l’idea di pubblicare questo manoscritto, chiedendomi una prefazione, mi resi immediatamente disponibile. In realtà, quando lessi il manoscritto, durante una delle mie notti di guardia, mi resi conto che avevamo tra le mani un vero e proprio fossile, che, opportunamente analizzato, era in grado di svelare nei dettagli l’enigma di una follia lucida. Ne è venuta fuori una storia clinica, tragica e umana, che si svolge in un’Italia tra la belle époque e il bagno di sangue della Grande Guerra.
Gerolamo è un giovane uomo di circa trent’anni, insegnante, con discreta cultura, dal carattere ombroso e solitario, quando, una notte, subisce l’irruzione allucinatoria che non lo lascerà più e che si insinuerà nella sua vita dirigendone tragicamente i passi verso il baratro finale, non senza prima portarlo, purtroppo, a travolgere un’altra esistenza innocente. La descrizione che fa Gerolamo della sua vicenda è insieme straordinaria e iperreale.
Il tragitto psicopatologico più plausibile, desumibile sulla base di una lettura fenomenologica dell’esperienza narrata, è quello che Gerolamo avesse una personalità vulnerabile di base sensitivo-paranoide, alla Kretschmer, che fa quindi uno scompenso paranoicale persecutorio la cui frangia si allarga, si dilata e si approfondisce fino ad una demolizione pressochè completa dell’esame di realtà.
Il mondo persecutorio di Gerolamo non arriva mai alla fredda sistematizzazione, e per questo il suo delirio rimane caldo, evolutivo, fino a compromettere totalmente il senso comune. L’approdo clinico di Gerolamo è, verosimilmente, quello di una schizofrenia paranoide con una relativa conservazione di una parte critica, per quanto sottile, di uno spettatore narrante, che affida la verità incredibile della propria catastrofe esistenziale ad un racconto infilato in una cartella clinica, nella speranza ultima che un giorno, qualcuno, leggendo, possa restaurare la verità. L’altro aspetto, per gli psichiatri cruciale, da una prospettiva scientifica, è la documentazione minuziosa di una evolutività clinica “naturale” della patologia, non interferita da cure. Questo riapre l’annosa questione della cronicizzazione della malattia e della crucialità di trattare bene l’esordio, rispetto alla possibilità di modificare il decorso e, soprattutto, nel caso dei deliri persecutori, di prevenire agiti catastrofici. Rimangono, certo, la tristezza e il senso di impotenza rispetto a Gerolamo, un essere umano come noi che, progressivamente, “rapito” da forze esterne, aliene, incomprensibili, si allontana dal consesso comune fino ad uccidere e poi morire a sua volta. Questo è quello che ancora può accadere. Questo è quello che noi non dovremmo consentire.
Da questo punto di vista, raccogliere lo stremato richiamo di incontro di Gerolamo, una voce che, come il diario di Anna Frank, ha superato la glaciale siderazione del tempo concentrazionario, forse ci consente, oggi, di guardare diversamente a tutte quelle situazioni, solo apparentemente dissimili, che incontriamo nel nostro quotidiano.
L’assurdo della vicenda di Gerolamo, al di là della morte data e della morte ricevuta, sta proprio in quella lunga frangia silenziosa e iniziale di deflagrazione, quando la follia prende piede tra le pieghe della normalità e quando, nonostante la richiesta di aiuto, nessuno riesce a fare nulla, al di là delle minacce, dell’indifferenza, o del blando sostegno morale. E’ anche, il nostro, un modo per chiedere idealmente, come psichiatri, perdono. Perdono non aver capito, per non aver compreso, per esserci limitati a fare il rogito notarile di una storia clinica che parte da un’esecuzione e culmina con un’esecuzione. E tra le due esecuzioni nulla, tranne la reclusione. L’ultima notazione concerne la verità dell’impianto psicopatologico : Gerolamo, digiuno di psicopatologia, racconta la sequenza della sua ingrediante follia in termini drasticamente sovrapponibili a quelli codificati dalla psicopatologia nella fattispecie fenomenologica e psicoanalitica. Per noi psichiatri di una certa curvatura culturale questa documentazione diaristica rappresenta, dunque, una validazione in parallelo dell’impianto concettuale, descrittivo ed ermeneutico della psicopatologia fenomenologica e psicoanalitica. Ovvero sentiamo che un corpus dottrinario stratificatosi storicamente ed un paziente hanno usato lo stesso linguaggio. E questa è l’unica validazione che ha un senso, poiché fatta da chi ha tragicamente, e fino in fondo, vissuto certe esperienze.
Per noi clinici e psicopatologi è questa la verità migliore possibile sulla follia, ovvero sentire di aver codificato un linguaggio che, a volte, ci consente di comprendere una richiesta di aiuto, a volte di formulare una proposta di aiuto, rompendo in questo modo la parete dell’incomunicabilità che si instaura fatalmente tra chi rimane è “al di qua” e chi, invece, tracima “al di là” del cosiddetto senso comune. L’idea i pubblicare questo scritto, ad ogni modo, va oltre l’interesse scientifico, e il destinatario non è solo tra gli psichiatri e gli psicologi. Questo messaggio nella bottiglia, che ha superato l’oceano della storia, che ha superato il Novecento, va al suo destinatario originale : la gente qualunque, l’uomo comune. Gerolamo, ormai tradito da tutti, si appella all’universo mondo, consegna la sua inevasa richiesta di giustizia e il proclama della sua innocenza originaria ad una lettera diretta all’umanità. Poiché tutto è perduto, Gerolamo vorrebbe salvare una certa idea di giustizia, che si inabissa, in un modo o in un altro, ogni volta che un innocente soccombe. Egli è un innocente, benché omicida, poichè costretto ad attuare una soluzione delittuosa per volere di forze che lo hanno dominato senza quartiere, togliendogli ogni serenità. E noi, forse, non essendo riusciti a fare altro, vogliamo essere, alla fine, solo il tramite, che la storia ha interrotto e che la storia ripristina, tra la vicenda umana di Gerolamo e il resto dell’umanità.
LA DOPPIA MORTE DI GEROLAMO
LA DOPPIA MORTE DI GEROLAMO RIZZO – Diaro clinico di una follia vissuta
Il nuovo libro di Francesco Bollorino e Gilberto Di Petta
Se non è disponibile su Amazon lo è alla grande su IBIS
Acquistatelo e fate sapere il vostro giudizio!!!
https://www.ibs.it/doppia-morte-di-gerolamo-rizzo-libro-gilberto-di-petta-francesco-bollorino/e/9788865316122