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L’amicizia tra l’umano e il divino

23 Feb 20

A cura di Redazione Psychiatry On Line Italia

Dialogo di Sarantis Thanopulos con Ginevra Bompiani

 

Sarantis Thanopulos: “Bella la tua idea Ginevra che per togliere al potere la regolazione dei rapporti umani bisogna cominciare dal rapporto dell’uomo con il divino. Il divino “eleva” l’essere umano al di sopra delle condizioni oggettive della sua esistenza. E, insieme, pone un limite alla sua autoreferenzialità nel rapporto con i suoi simili e con la natura. La mia prospettiva atea sul divino (religioso o non che esso sia) è, di fatto, “agnostica”: non essendo padroni di nessuna conoscenza  assoluta, dobbiamo tenere sempre presente uno “sguardo di Dio”, una visione che eccede ogni nostra visione, non come una verità suprema da raggiungere, ma come una spinta a mantenere aperta, coraggiosa la nostra prospettiva e come un limite che ci insegna la prudenza e ci ricorda la nostra dipendenza dagli altri e dall’ambiente in cui viviamo.

Il dialogo dell’uomo con ciò che lo eccede è necessariamente aperto al molteplice, alla polifonia, diversamente si spegne. Questo dialogo, fondamento della nostra appartenenza al mondo, ma anche di ogni autentica fede religiosa, è in gran parte colonizzato, confiscato da un legame normativo Dio/essere umano. Il potere assoluto e non emendabile del primo sul secondo riproduce, in realtà, il dominio dell’unisessuale, dell’indifferenziato monocratico, sulle differenze sessuali, l’universale come riproduzione infinita di un unico particolare. Se l’indifferenziato facesse cadere la sua ombra sulla vita, favorendo la donna piuttosto che l’uomo, sono d’accordo con te, non per questo la vita sarebbe migliore. È una fortuna che la donna resista di più dell’uomo all’alienazione, ciò è una risorsa di tutti. Perché cos’altro pone un limite all’arbitrio (la tracotanza cieca dell’essere umano divinizzata come norma religiosa) se non il gioco di intesa tra le nostre differenze fondato sull’esposizione erotica della donna alla vita?


 

Ginevra Bompiani: Grazie, Sarantis, di aver reso più chiaro il pensiero che ho abbozzato la settimana scorsa: che il rapporto divino-umano sia il modello dei rapporti terreni di autorità e da esso si debba partire per trasformare i rapporti umani da rapporti di potere in rapporti di consonanza e polifonia: per passare cioè dalla forza all’amicizia. Anche la Bibbia dice che “il Signore parlava con Mosè faccia a faccia come uno parla con il proprio amico” (Es.33, 11, citato da Gabriella Caramore nel suo bellissimo libro “La parola di Dio”). E tuttavia il Deuteronomio si chiude dicendo che “nessun profeta sorse più in Israele simile a Mosè, che Jahvè aveva conosciuto faccia a faccia” (Dt 34, 10). Ma una sola volta basta per dire che quel rapporto è possibile. Che è possibile non abbassare lo sguardo umano di fronte a “ciò che ci eccede”, come tu dici, e a quel che ci manca.

Ed è forse proprio questa la condizione necessaria per smantellare il patriarcato. Tu che esalti sempre l’amicizia, sarai d’accordo a farne il modello universale dei rapporti: non eros, ma philia. Non che eros non sia importante, è l’esuberanza della forma, la conciliazione del conflitto. Non è un modello, ma un’evidenza. Il tremendo fulgore della vita..

Ma a proposito delle condizioni per smantellare il patriarcato, ce n’è una, apparentemente più semplice, anche se sradicherebbe un’abitudine mai veramente contestata: smettere di usare il termine ‘uomo’ per intendere ‘uomo e donna’. La parola uomo non comprende la parola donna, se non come la casa del padrone contiene le donne, i figli e i servi. Quando si dice uomo, non si dice niente di diverso da ‘uomo maschio patriarcale’. Da molto tempo io preferisco il termine ‘umano’, che si apre a ogni genere senza ordinarlo in gerarchie. Ed è la prima apertura alla polifonia, al ‘gioco di intesa tra le nostre differenze’, come dici. Anzi, è la prima scopertura del rapporto eros/eris, amore/conflitto, il primo tentativo di comporlo in amicizia. 

 

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