Come è spesso accaduto nella Storia, non è difficile prevederlo, anche questa pandemia segnerà una discontinuità e cambierà i modelli di vita. È irrealistico, infatti, pensare che il 4 aprile torneremo a vivere come qualche mese fa. Quasi certamente questo non accadrà neanche il 4 maggio. Per quanti sforzi faccia la comunità scientifica non è neanche plausibile sperare che un vaccino sia disponibile nel giro di qualche settimana. E bene che vada con il virus dovremo farci i conti per un bel po'. Premesso questo, sembra che in Europa si stiano profilando due strategie per affrontare la questione. Un modello rigoroso, quello italiano, che punta all'isolamento radicale per bloccare i contagi. E un modello che possiamo definire del ‘laissez faire’. Entrambi presentano delle criticità, dei costi politici, economici e sociali. Solo per citarne qualcuno: nel primo caso quanto è possibile pensare di tenere chiusa la gente in casa prima che comincino a insorgere patologie depressive, attacchi di panico, claustrofobie e psicopatologie varie? Se anche il modello dovesse avere successo e bloccare i contagi in Italia come verrà gestito nell'immediato futuro il rapporto con le altre nazioni? Verranno chiuse le frontiere nell’irrealistico proposito di bloccare il virus al di là delle Alpi? Il secondo modello, invece, oltre a puntare tutto su una scommessa azzardata e su cui la comunità scientifica ha evidenziato più di un dubbio – l’immunità di gregge –, ha un costo sociale e morale ben preciso e accettato a priori (la circolazione del virus e la morte dei soggetti più deboli). E per quanto ogni paragone con l’eugenetica o con le politiche di salute pubblica nazista siano fuori luogo, dal mio punto di vista, questo modello è moralmente inaccettabile. Fermo restando la preferenza per uno dei due modelli, e stabilito che in entrambi i casi si tratta di una scommessa la cui validità sarà possibile affermare solo retrospettivamente, credo che un paio di cose si possano dire fin da adesso. Il nostro rapporto con questo virus sarà lungo e, anche passata la fase critica (quella contraddistinta dalla curva epidemiologica più alta), bisognerà averci a che fare. Questo si tradurrà in una trasformazione dei nostri modelli di esistenza, nella perdita di quote di libertà e nell’adozione di misure che rappresenteranno la normalizzazione dell’eccezione (con buona pace di Agamben). La grande sfida, allora, non è rappresentata tanto dall’attendere buoni il 4 di Aprile, ma di prepararci a una rieducazione dei nostri comportamenti e a una trasformazione responsabile dei nostri modelli di vita. E la scuola, in tutto ciò, avrà un ruolo decisivo.
Sono contento che l’Italia
Sono contento che l’Italia abbia scelto di salvare tutti i salvabili. Lo sta facendo goffamente, e non sa bene perché lo fa: ma lo fa. Stavolta è facile dire: right or wrong, this is my country.