Nel diario di oggi intervengono Bruno Forti , direttore del DSM di Belluno, Mauro Monzani da Fidenza e un collega che non mi dice dove lavora, Enrico Loria , di cui riporto integralmente la mail . Li ringrazio per il loro contributo , spero siano lo stimolo per altri che volgiano proporre riflessioni da raccogliere nel Diario.
Ci son questioni che si stanno delineando come ambiti dentro i quali raccogliere esperienze ma anche ragionamenti. in questi ambiti, e non poteva essere diversamente, c’è tutta la psichiatria, con le sue ombre e le sue luci, come è stata , come è e come sarà, di conseguenza, la sua capacità di definirsi dentro una cultura della salute mentale che comprenda l’esperienza di questa crisi. .
Faccio riferimento a:
Ci son questioni che si stanno delineando come ambiti dentro i quali raccogliere esperienze ma anche ragionamenti. in questi ambiti, e non poteva essere diversamente, c’è tutta la psichiatria, con le sue ombre e le sue luci, come è stata , come è e come sarà, di conseguenza, la sua capacità di definirsi dentro una cultura della salute mentale che comprenda l’esperienza di questa crisi. .
Faccio riferimento a:
- La tematiche del ridimensionamento dei servizi. Il problema della gestione del contagio ha provocato chiusure di centri diurni e di attività territoriali , limitazione al lavoro dei CSM, congelamenti nelle comunità terapeutiche , isolate e non più votate al rapporto con il territorio. Inizialmente molti si sono detti confortati da una “ritrovata autonomia “e risorse da parte di pazienti e famiglie .. ma è un assetto che può rimanere così? quale il prezzo che famiglie e servizi possono pagare a questo ridimensionamento ? A questo tentano di rispondere protocolli organizzativi, sperimentazioni nei diversi DSM ( alcune delle quali abbiamo pubblicato nel diario ) e, anche, qualche tentativo di indicazione da parte di società scientifica (vedi ad esempio le indicazioni delle SIEP ) .Anche se il contributo delle Società scientifiche psichiatriche italiane per ora non sembra essere particolarmente significativo, va dato atto all’importante contributo che POL IT sta dando al dibattito in questo e tutti gli ambiti seguenti.
- Riflessioni di tipo psicodinamico o in generale ermeneutico sui vissuti della crisi , della emergenza . Provengono da varie tribune e contesti: dalla società di psicoanalisi, da fenomenologi, ma anche da singoli liberi professionisti. In questo ambito, nel quale il rischio alla autoreferenzialità è elevato , molti si sono impegnati a cercare di disvelare il senso profondo e ultimo di quanto sta accadendo ricorrendo a interpretazioni che hanno ha che fare con la morte , la catastrofe e la necessità di elaborare le conseguenze di questo impatto. Spesso trovando conferme ai paradigmi di partenza, altre volte senza precisi riferimenti e , nel peggiore dei casi, con un discorsi normativo sulla natura degli stessi , utilizzando il bisogno di idee che in questo momento è molto diffuso. Restano sempre aperti interrogativi relativamente alla efficacia di questo tipo di interventi, assieme alla convinzione che contribuire alle idee sia sempre e comunque utile.
- Interventi che provengono da una crescente letteratura sull’esperienza traumatica e che fanno riferimento a precedenti esperienze in tema di catastrofi. Di conseguenza si sviluppano modelli e protocolli di intervento di cui è un esempio quanto sta facendo Franco Veltro ( rimando al suo contributo al diario )
- Apertura alla telepsichiatria. Una apertura tradiva, come ho già avuto occasione di dire. http://www.psychiatryonline.it/node/8496 Questa apertura è universale e senza le critiche e i dubbi , talora molto astratti , che in passato avevano contraddistinto l’ uso di questi strumenti. Si apprende dall’esperienza , per citare un noto e citatissimo psicoanalista cui , probabilmente le videoconferenze sarebbero piaciute.
Questa è la mail che ho ricevuto da Bruno Forti :
Caro Gerardo
Nel nostro DSM, nelle condizioni eccezionali imposte dal Coronavirus, abbiamo cercato di mantenere un equilibrio tra la tutela dal contagio dei pazienti e degli operatori e l’intervento di cura. Non sono d’accordo con chi ha azzerato del tutto o quasi l’attività ambulatoriale e territoriale, limitandosi all’urgenza.
Prima di tutto perché il nostro mandato è quello della tutela della salute mentale. Dall’esperienza fatta in questi ultimi decenni sappiamo che questa tutela può essere praticata solo in maniera integrata da più servizi. Uno degli elementi comuni agli interventi che vengono effettuati è il mantenimento, sia pure con diversa frequenza e a vari livelli di intensità, della relazione terapeutica con le persone e con le famiglie.
Secondo, perché limitarsi all’emergenza significa aumentare progressivamente il ricorso all’emergenza stessa. Il che, oltre ad essere un problema in sè, comporta allo stato attuale la possibilità di dover gestire persone a rischio contagio e scarsamente controllabili dal punto di vista comportamentale.
Certo, l’attività di fondo è stata ridotta, ma deve continuare soprattutto per quei pazienti in cui l’allentarsi della relazione terapeutica, il venir meno di certe consuetudini e regole di vita e il contatto con gli altri che gli interventi psicosociali implicano può compromettere un equilibrio e una situazione di benessere accettabile.
Anche la chiusura dei Centri Diurni non significa che non si mantenga un contatto con le persone più problematiche e la possibilità di continuare a livello individuale un percorso riabilitativo. Il nostro lavoro deve continuare ad essere, per quanto possibile in una circostanza come questa, quello di prevenire. Prevenire le ricadute, prevenire la regressione delle persone, prevenire il progressivo deteriorarsi delle condizioni psicofisiche, prevenire una conflittualità familiare dalle conseguenze imprevedibili.
In un certo numero di casi sono i pazienti stessi, spesso quelli meno gravi, a ridurre, per un comprensibile timore del contagio, il ricorso ai nostri servizi o a chiedere colloqui telefonici. In questi casi è rimarchevole come il contatto telefonico non sia quello che era in condizioni normali, ma assuma spesso la consistenza di un contatto de visu. Paziente e operatore si adattano in qualche modo alla situazione mutata, e la relazione a distanza viene a sopperire, anche se non del tutto, a quella ravvicinata.
Molto sommariamente, ci sono due categorie di pazienti. Quelli che tutto sommato sembrano adattarsi senza eccessive difficoltà alla situazione, e non sono pochi tra i nostri pazienti. In fondo il ritiro e il distanziamento sociale sono diventati regola, e per alcuni questo sembra essere rassicurante, un motivo per sentirsi come gli altri. Ma tale situazione potrebbe essere solo apparente e temporanea. Non sappiamo quali possano essere le conseguenze a lungo termine imposte dall’isolamento.
Altri, per una serie di motivi che possono andare dalla ricerca di sostanze ad una condizione di irrequietezza e di ricerca continua del benessere o di un sollievo, tollerano con difficoltà questa situazione. Soprattutto se comporta una minor possibilità di contatti sociali e il vivere forzatamente in un clima di tensione familiare. E se si manifesta in luoghi in cui il distanziamento sociale è più frequente che altrove.
Per il momento la psichiatria, eccettuate le situazioni drammatiche in cui il rischio contagio e l’emergenza comportamentale si sommano, si colloca in una posizione relativamente periferica rispetto alla mobilitazione generale della sanità rispetto al Coronavirus. Un po’ come succede nella routine. In Veneto l’indicazione è che l’attività psichiatrica rimanga “invariata”, come se davvero potesse, per mille motivi, rimanere invariata in una situazione eccezionale come questa.
Penso che il problema psichico diventerà molto più centrale quando la fase più acuta dell’emergenza sarà passata, quando le difficoltà emotive dei nostri pazienti e della popolazione, anche secondariamente alle devastanti conseguenze economiche, saranno manifeste nella loro evidenza. In questa fase, che presumibilmente durerà a lungo, sarà auspicabile che la psichiatria possa diventare maggiormente centrale e attrezzarsi più di quanto lo sia attualmente, anche agendo di concerto con gli altri ambiti sanitari e sociali. Bruno Forti
Questo invece , in forma di decalogo , il contributo di Mauro Mozzano da Fidenza
CONSIDERAZIONI SPARSE AL TEMPO DEL CORONAVIRUS
di Mauro Mozzani Responsabile dei Servizio di Salute Mentale e Dipendenze Patologiche di Fidenza (Parma)
- La Nostra società (italiana/europea/occidentale) fortemente caratterizzata dalla spinta al Narcisismo ed alla fruizione di piacere deve fare i conti con una malattia (nemico?) che mostra a tutti il ritorno del Rimosso: l’idea della morte come esperienza collettiva
- Ciò che colpisce maggiormente è il gap fra l’esperienza soggettiva della paura e la reazione come collettività; mentre mi pare rispettabilissimo il timore che ognuno di noi prova a fronte del contagio,( io sicuramente si), sono colpito dai “riti” collettivi che la comunità mette in atto. Cosa c è di diverso dal Papa solitario in preghiera in Piazza S.Pietro rispetto allo stregone che fa la danza della pioggia ed allo sciamano che scaccia le disgrazie e le malattie con rituali esoterici? Eppure sembra confortare..
- Perché il Virus viene connotato come “ nemico” e vengono utilizzate metafore da “guerra” ? L’umanità si è evoluta attraverso le malattie in una mutua ed inestricabile convivenza con virus e batteri e da sempre l’evoluzione umana ha privilegiato le popolazioni immunizzate attraverso la convivenza con gli animali: le popolazioni isolate o che non avevano tale convivenza si sono trovate impreparate e fragili di fronte alle altre ( è la storia degli indiani d’America , dei Maya e degli Incas etc).
- La paura, come sempre, favorisce aspetti regressivi ( assalti ai supermercati, incetta di beni di prima necessità, ricerca degli “untori” ) mostrando quanto fragile sia il tessuto culturale su cui si costruisce una società democratica. Si era drammaticamente già visto vicino a Noi con la guerra della ex Iugoslavia: in pochi mesi fu spazzato via un tessuto di convivenza e tolleranza che era presente da decenni ed i peggiori presero il sopravvento ) purtroppo dobbiamo anche ricordare che uno dei capi dei peggiori fu uno Psichiatra..)
- Di nuovo sui Riti collettivi: provo disagio di fronte alle candele accese oppure alle bandiere alle finestre ed ancora al canto collettivo di “ Bella Ciao”; è come se di fronte alla paura non riuscissimo ad alzare, collettivamente , lo sguardo con coraggio, facendo le cose necessarie ma senza ricorrere a riti magici o al richiamo di altre resistenze
- “ Non sarà più come prima” si dice; non lo so ma , nel caso, ben venga qualcosa che ci riporti con i piedi per terra e dia qualche spallata alla follia su cui da tempo siamo avviati e che mi pare peggio del Corona: sovrappopolazione, eliminazione delle altre specie, modificazione sconsiderata dell’ambiente, inquinamento, scioglimento ghiacci ed altre cose simili
- La Psichiatria e gli Psichiatri che parte vorranno fare? Al momento mi pare prevalere un atteggiamento di frustrazione( non serviamo a niente, non sappiamo fare i medici veri, i nostri pazienti non hanno nemmeno bisogno di noi etc) e di debolezza culturale. Saremo in grado di fare di più che aspettare che tutto ritorni come prima? Oppure siamo in grado di ripensare il nostro lavoro e la nostra organizzazione?
- In questo momento è molto evidente quanto le case di Riposo per anziani siano dei luoghi terribili, oltreché pericolosi. Forse bisognerebbe ripensare a come mantenere nella comunità il patrimonio di esperienze accumulato con una organizzazione che privilegi sostegni maggiori alla domicilirità ed alle famiglie
- Troverei utile modificare i “bollettini di Guerra” giornalieri(: tot morti, tot contagiati, tot guariti etc); forse introdurrebbe più “ normalità “ confrontare i dati con quelli analoghi degli anni precedenti: per es “ dal 1/3 al 27/3 abbiamo avuto tot morti, nello stesso periodo dello scorso anno ne avevamo avuti tot”. Questo restituirebbe il senso che la morte è parte della nostra vita e non è un evento eccezionale di questo periodo; lo sono i numeri ma non l’idea della morte.
- Comunque, se di piatti di bilancia parliamo, teniamo conto che nello stesso periodo i provvedimenti di quarantena e di isolamento sociale hanno diminuito drasticamente i morti per incidenti stradali: per un giovane morto di Corona ne abbiamo salvati quanti? 30/40 ogni fine settimana? E quante overdose avremo evitato? E quanti per abuso etilico ? Forse quindi bisogna interrogarsi se il “tornare come prima “ debba essere davvero il Nostro obiettivo. Naturalmente ci sono aspetti che ineriscono anche alla politica ma la Nostra riflessione può contare?
- I Nostri pazienti stanno dimostrando aspetti di “ sanità” impensati ed impensabili: forse anche qui non è auspicabile che tutto torni come prima. Loro, che convivono molto di più di quanto non sappiamo fare noi con le loro paure, si sentono più normali: come fare per riconoscere loro tale dignità? Forse una organizzazione meno paternalistica e più lasca sarebbe più adatta?
- Sono colpito dal coraggio di tanti che stanno mettendo energie e superando le loro paure per aiutare le persone in difficoltà: anche su questo non dobbiamo auspicare che tutto torni come prima. Come fare a tradurre ciò in una organizzazione che valorizzi tali energie?
Ecco infine quello che mi scrive Enrico Loria
IO ESCO CON CRITERIO di Enrico Loria Psichiatra e Psicoterapeuta
Dobbiamo prepararci a vivere in un modo nuovo. Questo è il momento in cui assecondare quel tratto antisociale della nostra personalità è una cosa buona e giusta. Perché tutti i tratti di personalità hanno qualcosa di utile e sano, ed esistono e sono previsti dalla nostra struttura psichica, e quindi anche genetica, perché svolgono una funzione potenziale, che al momento giusto può servire. Siamo tutti ultimi in questo momento, ricchi e poveri, famosi e sconosciuti, nobili e figli di nessuno, colti ed ignoranti. Cerchiamo, pur in modo garbato, di evitare i contatti. Quando, camminando per strada, da lontano, vediamo qualcuno all'orizzonte, cautamente allarghiamo la traiettoria per evitare la vicinanza. Di solito l'evitamento degli altri può avvenire per scelta, come nel caso dei mistici che cercano Dio nella profondità di sé stessi piuttosto che nelle cose del mondo, o per difesa, come per coloro che non essendo riusciti a superare le ferite subite, si sono, loro malgrado, chiusi in se stessi. Oggi il ritiro relazionale è una prescrizione, con tanto di conseguenze sul piano biologico e giuridico. Ma ogni esperienza serve ed é utile per quello che sarà poi. Ed allora dobbiamo prepararci ad una nuova vita. Io esco con criterio. La ripresa dei contatti potrebbe essere con dei nuovi confini. L'altro che oggi ci appare visibilmente come potenzialmente infetto, forse domani sarà più facile vederlo come persona con dei limiti, come potenziale peccatore, e non per questo è impossibile amarla. Perché in realtà è vero che siamo peccatori come è vero che l'amore non è basato sulla convenienza e sull'egoismo, ma sulla scelta. È basato sul dono fiducioso di sé. Fine della illusione che possiamo trovare la persona giusta che ci rende felici. In verità, la persona giusta siamo noi stessi quando capiamo che l'unica cosa che conta è trovare il proprio amore, trovare l'amore che, da sempre, è dentro di noi e che ci consente di incontrare gli altri senza illusioni. L'amore rende possibile aprirsi di nuovo alla vita, perché possiamo in qualsiasi momento ritirarci e proteggerci nel nostro amore. Siamo chiamati ad essere responsabili e corresponsabili per un mondo fatto di persone in difficoltà, ma di buona volontà. #ioescoconcriterio
0 commenti