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COVID-19: Dal letame non nascono fiori. La salute in Liguria ai tempi del Coronavirus

5 Apr 20

A cura di Emilio Robotti

Oggi voglio parlarvi di ciò che in questi giorni ci sta più a cuore, più che mai: la nostra salute e la nostra vita. Per capire in che mani siamo. Una famosa canzone del più grande cantautore italiano recitava “dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono fiori.” E’ un vezzo della politica odierna assumere il significato di questa frase nel modo opposto a quello vero. Ovvero: chi c’era prima ha lavorato male, non lamentatevi oggi che ci siamo noi. Faremo di meglio, dicono, perchè non possiamo fare peggio. Ma come scrive uno scrittore contemporaneo, “nella vita accadono cose che sono come domande. passa un minuto, oppure anni, e poi la vita risponde.” In Liguria in molti ci siamo fatti delle domande, quando abbiamo visto i malati oncologici deportati, per curarsi, da Genova a Savona, perché il Servizio Sanitario Regionale non era stato in grado di programmare l’acquisto dei macchinari necessari. Ci siamo fatti delle domande, quando prestazioni urgenti non venivano erogate, o lo erano con tale ritardo da essere praticamente ormai inutili. Ci siamo fatti delle domande, quando per curarci, noi o i nostri cari e persino quando avevamo alcune eccellenze in regione, dovevamo in molti casi andare fuori regione o rivolgerci ai privati, pagando l’intera prestazione, a volte ad un costo inferiore al ticket pubblico; quando dovevamo pagare i ticket sulle prestazioni, tra i più cari in Italia. Quando la Regione magnificava l’erogatore privato e la necessità di coinvolgerlo appieno nell’erogazione del servizio pubblico, indicendo gare di appalto che andavano deserte o che venivano annullate dal Giudice Amministrativo. Quando la Regione e l’Azienda Sanitaria Regionale, A.Li.Sa., di fronte a tutto questo additavano responsabilità di “altri”, snocciolavano dati e coefficienti, facevano annunci. Ci facevamo delle domande. Ed ognuno di noi si rispondeva a modo suo. In Liguria, poi, era un’ulteriore ragione per esercitare la lamentela trasformata in vera e propria arte e filosofia di vita: il “mugugno”. Ma tutto questo, stavolta, non era mugugno. Era la realtà, lo “stato dell’arte” oggi contenuto anche nella relazione della Corte dei Conti sullo stato del servizio sanitario regionale ligure, che si può sintetizzare così: un servizio non governato, costoso, inefficiente, che eroga prestazioni con qualità medio-bassa e richiede ticket tra i più costosi. Ma la vita, come diceva lo scrittore, risponde ed ha risposto a queste domande, purtroppo con l’arrivo del Coronavirus. E’ del 31 gennaio di quest’anno la dichiarazione dello stato di emergenza per il Coronavirus da parte del governo. Fino ad arrivare all’ultima settimana di febbraio e all’avvio di quella fase che stiamo ancora vivendo: la conta dei morti, lo stare a casa reclusi, l’angoscia, la scoperta di quanto siano importanti gli altri e la socialità, la rincorsa ad aiutarsi ed a trovare modi per restare in contatto attraverso la tecnologia e non solo, come alcune tombole giocate alla finestra dei palazzi del centro storico di Genova. Noi ci siamo dati, a fatica delle risposte. E la Regione, e A.Li.Sa.? Che risposte hanno dato? Eccole. Dal 31 gennaio fino alla fine di febbraio, quando è esploso il Coronavirus con l’istituzione delle prime “zone rosse” in Lombardia, poco o nulla. Nulla per cercare di procurarsi, per tempo, i Dispositivi di Protezione Individuale come le mascherine, non dico per tutti i cittadini, ma almeno per i sanitari che sarebbero stati impegnati nella gestione delle persone contagiate dal virus. Poi, all’arrivo dei primi dispositivi di protezione, cerimonie di consegna e destinazione solo ed esclusiva alle strutture ospedaliere, le uniche di fatto destinate ad affrontare l’esplosione del virus. Pur sapendo che la drammaticità della pandemia è la enorme e veloce diffusione del contagio ed il corrispondente pericolo di saturare i reparti ospedalieri, specie quelli di terapia intensiva, che già si sa essere in numero insufficiente. Pur lasciando allo sbaraglio il personale delle strutture residenziali extra-ospedaliere ed i loro ospiti, particolarmente fragili nei confronti del virus. Pur lasciando allo sbaraglio, o nella impossibilità di intervenire se non telefonicamente i Medici di Medicina generale, non avendo i dispositivi di protezione per poter effettuare visite a domicilio, essendo gli ambulatori necessariamente chiusi. Anche sul fronte tamponi ed esami sierologici, per SETTIMANE a livello regionale si è evitato di intervenire per capire se i casi sospetti tra gli operatori sanitari, tra gli ospiti delle strutture extra-ospedaliere o nelle case dei privati cittadini fossero Coronavirus o no e se sì poter isolare più efficacemente i focolai di diffusione del virus. Per settimane, più di un mese, si è praticamente lasciato a casa i malati, si è abbandonato il personale ed i malati nelle strutture non ospedaliere, dove hanno continuato ad ammalarsi e morire i pazienti ed i sanitari. Facendo così in modo non solo che si potesse diffondere ulteriormente il contagio, ma favorendo la saturazione delle strutture ospedaliere e dei reparti di terapia intensiva, dove i malati arrivano ormai in condizioni critiche senza interventi precedenti di cura adeguati. Nel frattempo, la Regione si faceva però cura di criticare i comportamenti altrui, ovvero dei cittadini che violavano le disposizioni di restare a casa. Giustamente ribadendo con la mano destra comportamenti virtuosi, ma con la mano sinistra abbandonando i malati a casa e nelle strutture non ospedaliere, i malati ed i sanitari impegnati a curarli. Ed in tutto questo tempo, mentre l’elenco dei morti e dei malati si allungava, snocciolando dati e coefficienti da parte die rappresentanti istituzionali e di A.Li.Sa., l’Azienda Regionale Sanitaria, attaccando i Medici di Medicina Generale che imploravano di ricevere i dispositivi di protezione individuale o i giornalisti che anche solo facevano domande ritenute inopportune. Solo ora si comincia, a livello di Regione e ASL, a parlare di esami sierologici in primo luogo ai sanitari, di più tamponi, di consegne di dispositivi di protezione individuale, di assistenza sul territorio e a domicilio. Ma solo quando è tardi, quando è ancora troppo poco, quando ancora alle parole non corrisponde – mentre scriviamo – un adeguato fare. In Liguria abbiamo seguito l’esempio di una regione con l’amministrazione dello stesso colore, la Lombardia. Che ha visto infatti migliaia di morti, più che in ogni altra parte del mondo, che ha visto le residenze per anziani abbandonate e diventare dei cimiteri. Mentre una terza regione con lo stesso colore di amministrazione e lo stesso becero armamentario comunicativo, a dispetto di una politica che solo apparentemente sembrava uguale, ma con scelte di fatto opposte alla Lombardia ed alla Liguria, conseguiva risultati meno drammatici, come espone uno studio pubblicato sull’Harvard Business Review . In Liguria, mentre si invocava la disciplina, lo stare a casa, mentre a livello nazionale si suggeriva prima e si ordinava poi di limitare i contatti interpersonali e si chiudevano le scuole, non solo si chiudevano i teatri, ma si lasciavano aperti i cinema. Ma di fronte alla elementare prudenza dei direttori sanitari che vietavano le visite dall’esterno a parenti ed amici dei ricoverati per limitare i rischi ai ricoverati (ed ai sanitari stessi, ricordate? quelli ancora oggi senza i dispositivi di protezione adeguati) la Regione attraverso A.Li.Sa., a pandemia già dichiarata dall’OMS e dalle autorità nazionali, invece di effettuare esami ai casi sospetti nelle strutture ed inviare i dispositivi di protezione per i sanitari, in contrasto con il DPCM 8.3.2020 emanava una circolare ("organizzazione accessi dei familiari alle strutture residenziali" Prot. A.Li.Sa.6472.12.-03- 2020) chiedendo alle direzioni sanitarie delle strutture che avevano vietato le visite dall’esterno ai familiari “la richiesta di adeguare le indicazioni operative al reale bisogno dell’utenza fragile ospitata” affermando che “per tale utenza è necessario contemperare tutte le misure di prevenzione con la necessità di garantirne la sostenibilità dal punto di vista del benessere psichico degli utenti, altrettanto importante per la loro sopravvivenza.” Avete capito? Spingevano i direttori sanitari a consentire, a pandemia dichiarata, le visite dei familiari e degli amici ai pazienti più fragili di tutti! Contraddicendo tra l’altro se stessi, dopo aver detto qualche settimana prima di non consentire nelle stesse strutture le visite dall’esterno con l’eccezione dei soli “caregiver” (circolare a.Li.Sa. prot. n. 4426 del 25.2.2020). Avete capito in che mani siamo? E allora mi chiedo: perché siamo nelle mani di queste persone? Che cosa abbiamo fatto? E non lo sto chiedendo solo a coloro che hanno votato questa giunta regionale. Lo sto chiedendo a noi tutti, a me stesso. Dobbiamo chiedercelo, con ancora più forza, non solo quando la pandemia sarà superata, ma da quando convivere con la pandemia inizierà a sembrarci normale, chiedendo che si faccia sin d’ora, senza aspettare le elezioni, spazio alle persone capaci e competenti, che sappiano agire in nome del bene comune. Perché, come diceva in un’altra canzone il grande De Andrè, riguarda tutti noi. Perché anche se ci sentiamo assolti, siamo lo stesso tutti coinvolti. E lo saremo per lungo tempo.

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