di Francesca Spinozzi, psicologa-psicoterapeuta, Associazione Rete Italiana Noi e le Voci
L’emergenza coronavirus è arrivata all’improvviso e ci ha costretto a metterci in pausa. Il gruppo Noi Due è stato sospeso dall’11 marzo. Rimangono i contatti individuali, dal vivo quando è possibile o telefonici o videotelefonici con i partecipanti, ma non è la stessa cosa dell’atmosfera che si respira stando insieme in cerchio nel setting di gruppo.
La vicinanza emotiva rimane, è bello sentire gli uni informarsi sugli altri. Sarebbe bello riuscire a ricreare l’incontro di gruppo, almeno attraverso i mezzi tecnologici attuali, come le riunioni tramite videochiamate. Purtroppo, per la tipologia di utenza ciò non è possibile ed è un peccato perché in qualche modo azzererebbe la distanza fisica e permetterebbe comunque di sperimentare le emozioni dell’incontro seppure in un contesto diverso.
Ci resta del tempo per riflettere su quello che abbiamo portato avanti negli anni, su dove siamo arrivati, per poi ripartire da lì, alla ripresa. Questo tempo mi concede la possibilità di riascoltare gli ultimi incontri, che mi lasciano delle tracce importanti su cui lavorare quando ci rivedremo tutti insieme.
Nelle sedute di febbraio riascolto sorridendo alcuni interventi di Paolo, che si arrabattava a trovare soluzioni per Luciana, la quale non riusciva a venire a capo delle sue voci, a cosa volevano significare, a cosa rappresentavano, a cosa in realtà le stavano comunicando al di là del contenuto esplicito. Ad un certo punto la povera Luciana arriva a dubitare perfino della sua intelligenza, perché non capisce cosa le viene detto e alla fine arriva quasi a perdere la voce, stavolta la sua, perché non ha più la forza e la voglia di parlare. In quel momento ho la sensazione che lei non si senta ascoltata davvero e glielo rimando, e ancor di più ho questa sensazione quando trascrivo la registrazione.
Perché risultiamo così inefficaci? Perché non l’ascoltiamo? Sono suggerite a Luciana delle proposte risolutive, le viene detto cosa deve o non deve fare, ma…non è questo quello che ci proponiamo nel gruppo. Non siamo lì per fornire soluzioni, dobbiamo insieme studiare e fare una ricerca sulle voci, dobbiamo ascoltare gli altri e noi stessi per comprendere quello che ci sta accadendo e rielaborare ciò che ci è accaduto in passato, per giungere solo dopo, sì, ad una soluzione. Ma quella è personale per ciascuno e ognuno troverà forse da solo la sua, con l’aiuto e il sostegno degli altri nella fase di comprensione. Allora Luciana ha bisogno di più tempo per comprendere, e noi non glielo stiamo concedendo. Non la stiamo sostenendo, noi siamo un passo avanti a lei, non siamo accanto a lei. Paolo alla fine esprime tutta la sua frustrazione: “Io non so più che ti devo dire”.
Luciana è come bombardata da tanti stimoli che le forniscono risoluzioni, ma lei non è in grado di recepirle, perché non si trova nella fase in cui cercare soluzioni al problema, ma è ancora nella fase d’identificazione del problema. Gli interventi di Paolo suonano un po’ come le interpretazioni che il terapeuta fa in stanza d’analisi, che sono giuste ma premature, perché il paziente non è in grado di coglierle in quel momento.
Allo stesso modo negli ultimi giorni c’è una corsa affannosa alla proposta di farmaci, antidoti, vaccini per contrastare il coronavirus…soluzioni di nuovo, ad un problema ancora da identificare, un virus sconosciuto. Il tempo di ritiro difensivo, che si sta espandendo di volta in volta, allora serve per studiare e comprendere il nuovo virus, per arrivare poi a sconfiggerlo. Allora le soluzioni proposte ora risultano probabilmente premature, perché il problema non è ancora del tutto chiaro.
Bisogna dunque concedersi il tempo necessario alla riflessione e alla comprensione dei fenomeni e dedicarsi alla ricerca, tollerando l’incertezza che precede il presentarsi della soluzione, con la speranza e la fiducia che questa arriverà.
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