Apriamo una collaborazione con Giuseppe Craparo sul tema Janet, trauma e dissociazione. Questa collana di contenuti si raccoglierà intorno all’opera di Pierre Janet, autore obbligatorio per chi si interessi di trauma, sopravvivenza a traumi emotivi, disturbi dissociativi. Pierre Janet può essere considerato il padre dell’attuale psicotraumatologia, la quale trae da esso molteplici linee-guida e spunti, prima di tutto l’approccio trifasico alla sindrome post traumatica. L’approccio trifasico, di derivazione janettiana, è un canovaccio operativo usato in psicotraumatologia per approcciare le sindromi dissociative e post traumatiche, basato su tre momenti: stabilizzazione, lavoro sulle memorie traumatiche, integrazione. Dobbiamo a Janet, insieme ad altri, modalità alternative di interpretazione del disturbo isterico per come fu concettualizzato agli “inizi”, una concettualizzazione gerarchica della mente nel suo funzionamento -attualissima-, un lavoro sostanziale sull’automatismo psicologico, e molto altro. Lo stesso Craparo ne ha scritto all’interno del fondamentale volume Riscoprire Pierre Janet. In ultimo, va ricordato l’impatto che Janet ebbe su uno dei più grandi psicoterapeuti italiani: Giovanni Liotti.
Raffaele Avico, redazione Psychiatry on Line
INTRODUZIONE
di Giuseppe Craparo
Come primo articolo per la rubrica Appunti Janettiani, ho deciso di riproporre parte dell’Introduzione al numero monografico, da me curato, dal titolo “Pierre Janet e la psicologia contemporanea”, pubblicato nel 2014 nella rivista Psichiatria e Psicoterapia: https://www.fioritieditore.com/prodotto/psichiatria-e-psicoterapia-no-1-marzo-2014/ e che raccoglie gli scritti di Francesca Ortu, Giovanni Liotti, Vittorio Lingiardi e Clara Mucci, Riccardo Williams, Ellert Nijenhuis. In questa breve Introduzione mi sono soffermato sulla vexata quaestio riguardante l’originalità del pensiero freudiano e sulle mutualità di concetti formulati da Janet all’interno del corpus psicoanalitico.
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Come ci ricorda Henri F. Ellenberger (1970), sebbene Janet diede un notevole impulso allo sviluppo di un nuovo “sistema di psichiatria dinamica volto a sostituire quelli del diciannovesimo secolo” (p. 387) soffrì allo stesso tempo, venendone adombrato, il confronto con la nascente psicoanalisi e con il suo fondatore Sigmund Freud. Confronto che si focalizzò, soprattutto, su questioni relative alla paternità di idee e di costrutti che negli anni si sono dimostrati profondamente differenti soprattutto per le loro implicazioni teoriche e cliniche.
In questo periodo, un medico straniero, il Dr. Sigmund Freud (di Vienna) venne alla Salpêtrière e si interessò a questi studi; constatò la realtà dei fatti e pubblicò nuove osservazioni dello stesso genere. In queste pubblicazioni modificò i termini dei quali mi servivo, chiamò psicoanalisi quel che avevo chiamato analisi psicologica, chiamò complesso quel che io avevo chiamato sistema psicologico per designare questo insieme di fatti di coscienza e di movimenti, sia delle membra che delle viscere, che rimane associato nel ricordo traumatico, considerò come una rimozione quel che io attribuivo a un restringimento della coscienza, battezzò con il nome di catarsi quella che io designavo come una dissociazione psicologica o come una disinfezione morale. Ma soprattutto trasformò un’osservazione clinica e un procedimento terapeutico con indicazioni precise e limitate in uno smisurato sistema di filosofia medica (Janet 1923, p. 38).
Dalle parole di Janet, sembra che la psicoanalisi freudiana non fosse altro che una “cattiva trasposizione dell’analisi psicologica” (Janet 1889, p. 38). Nelle sue risposte alle dichiarazioni di Janet, Sigmund Freud replicò di aver condiviso, almeno inizialmente, alcune considerazioni di Pierre Janet, come ad esempio quelle che riguardavano il ruolo della dissociazione nella sintomatologia isterica, ma ribadendo allo stesso tempo, a ragione dal mio punto di vista, la novità delle proprie speculazioni.
Prima di Breuer e di Janet il grande psichiatra Leuret aveva già espresso l’opinione che doveva essere possibile trovare un senso perfino nei deliri dei malati di mente, purché si riuscisse a tradurli. Confesso che per lungo tempo fui disposto a riconoscere i grandi meriti di Janet per la spiegazione dei sintomi nevrotici, perché egli li concepiva come manifestazioni di idées inconscientes che dominano gli ammalati. Dopo d’allora però Janet si è espresso con eccessiva cautela, quasi volesse far intendere che l’inconscio non è per lui nient’altro che un modo di dire, un espediente, une façon de parler, che, nominandolo, non ha pensato a nulla di reale. Da allora non comprendo più le argomentazioni di Janet, ma ritengo che egli abbia inutilmente rinunciato a buona parte del suo merito” (1915-17, p. 421).
Lungi dal riconoscere primati o paternità, in realtà l’analisi psicologica di Pierre Janet e la psicoanalisi di Sigmund Freud, al di là di alcune similarità descrittive e concettuali, presentano notevoli differenze teoriche, come diverse sono le implicazioni cliniche. Ne è un esempio il concetto stesso di inconscio. Come si evince infatti dalla sua ampia produzione scientifica, Freud non riduce l’inconscio a ciò di cui l’individuo non è ancora cosciente, o di cui non è mai stato cosciente, né tanto meno all’irrazionale. L’inconscio (dinamico o rimosso), descritto dall’autore viennese, ha invece a che fare con ciò che più di ogni altra cosa contraddistingue la natura umana, soprattutto nella sua qualità di essere sociale: il linguaggio. È questa, in estrema sintesi, la ragione che ha indotto Freud a dare così rilievo alla parola, tanto da aver accolto immediatamente l’affermazione di una sua paziente che definì talking cure il trattamento di cui egli si serviva. Quanto proposto da Freud non ha a che fare con una concezione ontologica dell’inconscio, ma dialogica, in quanto si struttura nella relazione interpersonale, e simbolica, proprio in virtù del suo rapporto con il linguaggio.
Il subconscio janettiano va invece inteso nei termini di una “complessa organizzazione gerarchica delle funzioni mentali che culminano nella coscienza” (Liotti, 2014, p. 31). Quanto formulato da Pierre Janet è più riferibile ad un livello di “coscienza subcosciente” (Ortu, 2014, p. 18) [ovvero di una coscienza che si pone al di sotto della coscienza personale] ravvisabile sia negli stati patologici (caratterizzati da una divisione della personalità, come ad esempio nell’isteria) sia in condizioni non patologiche. Si tratta quindi di un costrutto decisamente diverso dall’inconscio dinamico descritto da Freud, così come differenti sono le considerazioni del rapporto dei contenuti inconsci con la sintomatologia (soprattutto isterica). Se per Freud il sintomo è il prodotto di una trascrizione da decifrare (a causa del meccanismo della rimozione che l’ha originato), in Janet i sintomi hanno a che fare con l’emergere di contenuti subcoscienti in soggetti in cui è ravvisabile un deficit nella “capacità di sintesi personale” associato a un restringimento del campo di coscienza e a una tendenza alla dissociazione (désaggrégation). Punto, questo, duramente criticato da Freud (1924, pp. 88-89), per il quale:
Si può assumere la rimozione come punto di partenza centrale cui poi riallacciare tutte le altre parti della teoria psicoanalitica. Ma prima di procedere desidero fare una considerazione di carattere polemico. Stando alle opinioni di Janet, le donne isteriche sono povere creature, che a causa di una debolezza costituzionale, sono incapaci di tener coesi i loro atti psichici; esse soccombono perciò alla scissione psichica e alla restrizione della sfera cosciente. Stando ai risultati delle ricerche psicoanalitiche, invece, questi fenomeni sono il risultato di fattori dinamici, di un conflitto psichico e di una avvenuta rimozione.
A mio modo di vedere, ciò che viene operato da Janet è per certi versi un rovesciamento della teoria freudiana, soprattutto quando egli considera il conflitto psichico, in opposizione a Freud, prodotto di una personalità matura capace di operare una sintesi fra diversi gruppi psichici originariamente separati. Diversamente da Freud, per il quale la dissociazione ha come suo antecedente la rimozione, per Janet l’origine dei sintomi isterici non riguarda un conflitto inconscio, ma la mancata sintesi di diversi gruppi psichici separati per effetto di emozioni veementi in associazione a memorie di eventi stressanti reali (1889): le memorie di questi eventi consistono nella formazione delle cosiddette idee fisse, ovvero di stati emotivi persistenti, di stati della personalità che non si modificano, non favorendo l’adattamento richiesto dalle situazioni ambientali.
Altrettanto differenti sono le implicazioni cliniche dei due modelli teorici. Infatti, se per Freud il lavoro analitico consiste in un procedere interpretativo al fine di far emergere una verità inconscia di cui il soggetto può non saperne nulla (la funzione dello psicoanalista non è di istruire il paziente fornendo un “sapere”, ma di creare le condizioni perché si sintonizzi con la verità inconscia dei propri contenuti pulsionali, dei propri desideri), l’operare clinico è per Janet un lavoro di valutazione del trauma e dei sintomi post-traumatici, e di rafforzamento delle capacità di sintesi e di elaborazione emotiva delle memorie traumatiche (Janet 1913, p. 139).
In virtù di questa breve, e incompleta ne sono consapevole, disamina delle differenze fra Janet e Freud, ritengo che sia necessario, chiaramente per chi ha a che fare, come il sottoscritto, con la psicoanalisi, lavorare ad una sua riformulazione teorico-clinica che prenda in considerazione, in maniera complementare, sia il modello freudiano, centrato sulla rimozione, sia quello janettiano, centrato sulla dissociazione. Ciò non significa negare l’invenzione freudiana dell’inconscio rimosso, ma considerare, in termini evolutivo-relazionali, l’idea che quanto affermato da Freud abbia a che fare con un modello della mente linguisticamente strutturato (linguaggio da intendere soprattutto nella sua valenza relazionale) alla cui base si pongono però la dimensione affettiva e i meccanismi dissociativi descritti da Janet (vedi a tale riguardo Craparo 2013a, b).
Quest’ultima considerazione proposta nell’Introduzione si richiama alle riflessioni di alcuni psicoanalisti, come ad esempio Philip Bromberg, per i quali il modello della mente di Janet può essere integrato nella contemporanea teoria psicoanalitica. È proprio ciò che ha ispirato la recente pubblicazione di Riscoprire Pierre Janet: Trauma, dissociazione e un nuovo contesto per la psicoanalisi (Franco Angeli).
Queste come altre tematiche, che attengono alla psicologia janettiana e alla sua influenza sulla clinica contemporanea, saranno gli argomenti affrontati nella presente rubrica, anche attraverso l’ausilio di brevi interviste video.
Bibliografia
Bromberg P (1998-2001). Clinica del trauma e della dissociazione. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2007. Craparo G (2013a). Postfazione. In P Janet (1889). L’automatismo psicologico, pp. 513-519. Tr. it. Raffaello
Cortina, Milano 2013.
Craparo G (2013b). Addiction, dissociazione e inconscio non rimosso. Un contributo teorico secondo la
prospettiva evolutivo-relazionale. Ricerca in psicoanalisi 24, 2, 73-84.
Ellenberger HF (1970). La scoperta dell’inconscio. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1977.
Freud S (1915-17). Introduzione alla psicoanalisi. In Opere vol. 8. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1976.
Freud S. (1924). Autobiografia. In Opere vol. 10. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1978. Janet P (1889). L’automatismo psicologico. Tr. it. Raffaello Cortina, Milano 2013.
Janet P (1913). La psicoanalisi. Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 2014.
Janet P (1923). La medicina psicologica. Tr. it. Il Pensiero Scientifico Editore, Roma 1994.
Liotti G (2014). Le critiche di Pierre Janet alla teoria di Sigmund Freud: corrispondenze nella psicotraumatologia contemporanea. Psichiatria & Psicoterapia, 33, 1, pp. 31-40.
Ortu F (2014). La psicopatologia di Pierre Janet. Psichiatria & Psicoterapia, 33, 1, pp. 11-30.
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