Trieste, Febbraio 2013.
Primo giorno al sert.
Primo anno di specializzazione.
Sono con la mia tutor, che mi presenta ad un utente definibile “storico” del servizio.
“La dottoressa è nuova, farà un periodo qui al Sert”, “Benvenuta dottoressa, benvenuta nel magico mondo di Oz”.
Da quel momento, il sentiero dorato non l'ho più lasciato.
Mi sembra di percorrerlo sempre.
Bologna, Ottobre 2020.
Mi sono specializzata e lavoro presso il Programma Integrato Dipendenze Patologiche e Assistenza alle Popolazioni Vulnerabili.
È un servizio neonato, che si occupa di far fronte a quell'utenza che un po' passa inosservata, che è difficile da trattare in quanto "bassa soglia".
Il mandato è favorire l’integrazione tra i servizi territoriali per la cura della persona venendo incontro alla popolazione in condizioni di grave emarginazione o esclusione sociale, nonchè della popolazione detenuta.
Si è resa necessaria un’evoluzione dei servizi proprio per garantire un intervento clinico adeguato a questo tipo di utenza con problematiche sociali importanti, che rende difficile una presa in carico “ordinaria” da parte dei servizi di salute mentale e per le dipendenze.
È un anno difficile, il coronavirus ci ricorda quanto siamo vulnerabili. Lavoriamo con la mascherina, il gel e il distanziamento sociale e, considerando il lavoro che svolgiamo, non è un granché.
Quando sono tornata a lavoro dopo la maternità, in aprile, in pieno picco di contagi, mi è dispiaciuto.
Non era così piacevole ritornare a lavoro sapendo che le persone con cui ti saresti interfacciato avrebbero visto di te solo gli occhi.
Poi, devo essere sincera, ho imparato ad apprezzare l'espressività che riusciamo a mostrare anche con mezzo volto coperto. Non c'è che dire, l'animo umano ha mille risorse per esprimersi.
A volte dei pazienti mi chiedono di togliere la mascherina. A volte, diciamo così, non sono troppi ligi nel tenerla.
Mi sono resa conto che le persone che avevo conosciuto in passato erano i meno richiestivi in proposito.
Poi mi sono accorta che, coi “nuovi”, mano mano che si approfondiva la conoscenza tale richiesta veniva sempre meno manifestata.
Ho pensato allora a quanto conta anche il potere della parola, quanto la distanza fisica può essere scavalcata dalla vicinanza emotiva.
Ho rimandato positivamente il suo comportamento ligio nei confronti dei DPI ad un ragazzo del carcere, che conosco da un po’. “Basta che vieni” mi ha risposto.
In questi mesi il mondo è cambiato e non poco, e riflettevo su quanto la vita di strada riesce a darti la misura di quanto la società sta vivendo.
Le strade completamente vuote, poi mano mano sempre più ripopolate, e vizi e virtù che si interfacciano nelle vie di Bologna sono all’ordine del giorno.
Poi questa città ha l’incredibile capacità di porti davanti a delle realtà sociali completamente diverse mettendole una di fianco all’altra e facendole scorrere assieme.
Degrado e opulenza fanno letteralmente a pugni nel centro della città. Emblematico il parco della Montagnola, di una bellezza unica e piazza di spaccio, nonchè riparo per molti senza tetto che si trovano a passare di qui.
E durante il coronavirus, manifestazioni di speranza come gli arcobaleni colorati alle finestre hanno fronteggiato gruppi di altrettanti giovani menti che con spirito nichilista si avvicinavano alle sostanze come strumento di rivalsa nei confronti di qualcosa che non sapevano cosa fosse.
"La vita è bella, se la sai gestire. Sennò può diventare davvero molto molto brutta".
In un 2020 in cui la gestione della vita relazionale è ancora più del solito in divenire, la paura delle prospettive future si capta ancora di più.
Il desiderio di una vita “normale” si fa ancora più tenace e, allo stesso tempo, la paura prende il sopravvento rendendola un miraggio.
Viviamo in questo mondo fatto di ombre che si affacciano al sentiero dorato, la via magica della vita, ma che non arrivano ad attraversarla, perché bloccati da quel qualcosa che li mantiene ai bordi, in quel grigio che in realtà contiene tutti i colori, ma che mischiati alla rinfusa non fanno sì che possano essere riconosciuti.
La guardano con un po' di desiderio, un po' di malinconia, forse qualche rimpianto, e anche tanta amarezza.
Perché ci sono persone che il sentiero dorato lo percorrono camminando, altre correndo. Qualcuno a volte rallenta, qualcun altro si ferma, o si perde in vicoli grigi per la paura di arrivare alla fine e scoprire che quello che tanto desidera non può averlo, non esiste, o lo aveva già ma non arrivava a comprenderlo.
Ma forse lo scopo del percorrere questo sentiero, è proprio capire questo. Le armi per affrontare le tue paure e dunque ottenere la capacità di vivere la tua vita non le avrai a fine percorso, ma le svilupperai solo durante il viaggio.
L’idea di scrivere questa rubrica nasce col desiderio di mostrare quanto è coperto, invisibile all’occhio umano spesso impegnato a guardare altro. Credo sia opportuno rendere giustizia a storie che non sono solo dimenticate e messe in un angolo, ma spesso etichettate con pregiudizio e luoghi comuni.
Per questo vorrei scrivere quello che arriva al nostro sguardo, i racconti che vengono dalla strada, dal carcere, dalle persone le cui storie sono irraccontabili perché non interessano a nessuno, per dare una lettura diversa a quella che in genere viene data.
Il nostro servizio essendo appena nato ha il vantaggio di essere plasmato sulla base delle esperienze che noi operatori stiamo acquisendo giorno per giorno, e seguendo l’evoluzione delle situazioni sociali emergenti, evolviamo anche noi, traendo insegnamento e acquisendo competenze da chi le storie le vive ogni singolo giorno.
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