Lo spaventapasseri si trova lì, immobile.
È immerso in un campo pieno di ortaggi, ma non assaggerà mai uno dei frutti del suo orto.
Eppure li osserva tutto il giorno, contemplandone la bellezza dai suoi occhi spenti. D'altronde, si dice, sono solo due bottoni di qualche vecchia giacca.
È lì impassibile, sotto il sole che rigenera la vegetazione.
Ha degli stracci come vestiti, non gli calzano alla perfezione, ma non gli interessa, tanto fanno il loro dovere.
Gli uccelli che passano, lo guardano e ne hanno un po' timore. Lo evitano e vanno via.
Talvolta qualche corvo coraggioso prova a beccarlo, sperando di ottenere qualcosa, ma tira fuori solo paglia, poco interessante per il suo palato.
Sentirsi pieno di paglia non gli piace.
A volte, si dice, vorrebbe avere anche lui delle braccia, delle gambe fatte di carne ed ossa.
Perché no anche delle ali, come i corvi, chissà dove potrebbero portarlo.
A volte, sogna di camminare con le sue gambe, senza dover essere sorretto da un palo di legno, e andare sul sentiero dorato.
È così vicino, eppure pare irraggiungibile, lì appeso com'è non può fare quella poca strada che manca per consentirgli di arrivarci.
E poi, c'è il problema della paglia.
"Come faccio se la perdo in giro?" Si dice.
E poi la paglia non lo riempie granché. Diciamoci la verità, il contadino poteva metterci più impegno a sistemarlo.
E’ anche colpa dei corvi, che gli beccano quella poca che ha.
"No, non si può fare. Sarebbe stato carino, ma alla fin fine non è mica colpa mia."
Si convince a guardare il suo orto, ma con la coda dell'occhio riguarda il sentiero dorato.
All'improvviso mille pensieri gli passano per la testa. Molti sono tristi.
Si sente vuoto. E perché è vuoto, è diventato anche solo. Non basta, perché di quelli che passano da lì, nessuno lo nota.
"Io i corvi non li sopporto, se la tirano. ma poi per cosa? Saranno belli loro!"
Vorrebbe quasi piangere ma si ricorda che dai bottoni le lacrime non scendono.
Uno spaventapasseri lo conosco, ormai anche da un po’.
Lui ormai lo sa di avere il cervello, ma non è molto convinto di volerlo usare. È più comodo pensare di non averlo, così declini ogni responsabilità agli altri.
Ad un certo punto però, è arrivato a scontrarsi con la realtà. Gli altri passano, lui resta lì.
Che ne sarebbe stato di lui? Fino ad ora non ha pensato molto a vivere, ha pensato a tenersi in vita.
Odia profondamente la vita che fa. Eppure in fondo, vorrebbe piacersi. Perché sa che se volesse, allo specchio potrebbe anche apparire una persona “vera”.
Ha chiesto aiuto, un po’ passivamente, affinchè non morisse. Ok, ci siamo.
Adesso una nuova consapevolezza. Ha provato a scendere dal palo per andare sulla strada dorata, ma i muscoli non lo hanno retto!
Però ha fatto una scoperta… “Ok, sono vivo! E voglio vivere! Voglio anche pensare, leggere, raccogliere patate dall’orto, cucinare e giocare a scacchi con la gente.
Voglio parlare, ascoltare, qualche volta piangere e anche ridere e non mi importa dei bottoni che mi bloccano le lacrime, io ci sono ed esisto”.
Adesso ha scoperto che è vero quello che diceva mesi fa, e che lui è davvero il dottore di se stesso. Lui sa cosa gli manca, ora deve imparare a chiedere aiuto.
Aiuto che non sia delega, perché questa volta, viene da lui la richiesta.
Nessuno lo costringe a lasciare la sua postazione, è lui che vuole lasciarla.
Non sarà facile. La postazione che aveva in strada forse non era la più sicura del mondo, ma era la più semplice. Alla fine, la conosceva bene. Eppure, odia così profondamente il se stesso di qualche giorno fa, che gli repelle l’idea di poter tornare a fare quella vita.
Quello che c’è al di là del campo, è inesplorato. Un po’ lo teme, un po’ lo desidera ardentemente.
Scopre delle sensazioni viscerali che non aveva mai provato. Inizia a fremere dal desiderio, e non per un desiderio di una sostanza, che nasce e poi muore ciclicamente e che lui conosce fino allo sfinimento, è un desiderio di scoperta di vita.
È felicità mista a paura, una paura folle, ma “bella”.
Ha incontrato delle persone che lo hanno visto, ha scoperto che se si mostra in realtà non è poi così male. Certo, non piace sempre a tutti, e di questo ha davvero molta paura.
Lui vuole essere intelligente, avere un cervello e vuole che gli altri sappiano riconoscere la sua intelligenza.
Si sente umiliato profondamente quando qualcuno lo tratta con sufficienza. “Il solito tossico”, lui non si sente così. Le medicine le conosce tutte, e pure meglio dei farmacisti. E lui non è solo questo. Ha tanto nella sua testa, ma non ha voluto mostrarlo poi molto. Il problema è che ha tanti pensieri, non sa metterli in ordine, soprattutto non sa gestirli.
“Essere intelligenti non è sempre un bene, anzi a volte ti rovina”.
Perché se non lo capissero, lui ci starebbe male. E allora meglio tacere.
La maschera dello spaventapasseri è perfetta, passa inosservata.
Però il risvolto della medaglia, è che così si sente solo. Nessuno lo conosce davvero perché nessuno sa cosa pensa.
Ma ora basta, è il momento di farsi vedere. Ancora non sa bene come, soprattutto è difficile individuare da chi.
La cocaina ha acuito i suoi sospetti, “le paranoie”, iniziava a vedere ombre cattive dovunque. La sentiva come vetro in vena, ogni volta che se la “faceva” si sentiva sempre meno una persona.
Già, per lui fidarsi delle persone non è facile, figurarsi con la coca.
Ogni volta che parli, sembra che hai il filo spinato in gola, e ad ogni parola sanguini. Dopo due ti fermi, fa troppo male. Gli ho detto che al momento, non serve sentirsi obbligato a parlare di cose dolorose, ha ribadito che a lui serve avere qualcuno che “ci sia”, nei momenti belli e in quelli brutti.
Forse può partire dal far vedere la faccia bella, le cose che sa fare. Lui sa fare diverse cose, non è mica uno stupido. Ha sempre vissuto per strada, ma la cultura la ha.
Ora ha iniziato a farle queste cose belle, gli piacciono, si sente gratificato dal rimando positivo che gli altri gli danno. Non se la ricorda l’ultima volta che qualcuno gli ha fatto i complimenti per la sua cucina, forse non non c’è mai stata.
Certo, anche la visibilità può diventare una droga. Ne ha bisogno a questo punto. Non la visibilità di tutto quello che è, ma ha bisogno di mostrare le sue capacità, soprattutto ha bisogno del riconoscimento.
Ma sa che vuole relazioni autentiche. È l’autenticità e la sincerità delle emozioni il nodo che lo fa sciogliere, passare da quel corpo inerte ad un ragazzo che non vede l’ora di sperimentarsi.
Perché ancora non è certo di avere qualcosa che non sia paglia nella sua testa, ha bisogno che gli altri glielo riconoscano.
“Vorrei un attestato, qualcosa che faccia vedere che sono formato. Sennò con la terza media, chi mi prende?”
Mi fa sorridere, perché mi ricorda inevitabilmente il mago di oz che non potendo dare il cervello, allo spaventapasseri dà un certificato di laurea.
Magari vediamo un po’, caro spaventapasseri, se questa volta il sentiero deciderai di percorrerlo davvero, o se dopo un po’ preferirai ritornare lì, nell’orto, a fissare la vita che muta davanti ai tuoi occhi, con la tristezza che non ti deturpa il viso, gli occhi cerulei che sembrano impassibili ma che nascondono un turbinio di emozioni che non sai nemmeno tu come far vedere.
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